Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno IV - n. 24 - 30 giugno 1899

RIVISTA POPOLAl{E Di POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI conseguenze del suo infame lavoro e scrive al direttore dell'ergastolo : - Quanta gente non soffrirà per queste mie rivelazioni ? Quante madri non piangeranno ? E saran poi vere queste notizie ! Ma il direttore del Penitenziario non si preoccupava dei tardivi scrupoli del galeotto e continua a preparar materia per il processo. Pietro Acciarito intanto, dopo esser passato dall' idiotismo dell'isolamento alla follia della gioia e da questa a quella data dalla disperazione torna a essere un pazzo tranquillo nella contemplazione di ·una prossima felicità e a quella sacrifica tutto, perfino la sua vanità di delinquente settario diventando una spia. Così si è imbastito il processo che ora si svolge in quel sudicio tempio della Giustizia che è ai Filippini e nel quale in questi due giorni Pietro Acciarito, è comparso per sostenere le sue accuse. E lo abbiam visto, questo pazzo ripugnante che ride ogni tanto come un ebete; abbiamo udite le sue risposte, a scatti, le sue frasi volgari e sconnesse ; e certo tutti si son sentiti agghiacciare l'anima quando l'altro ieri egli, saputo che il figlio non era mai esistito, ha gridato: - Ma queste son cose degne di Nerone ! In mezzo alla pazzia che ha travolto quella debole intelligenza, egli ha capito e ha trovato una idea giusta. Ieri poi ha domandato l'arresto del direttore dell'ergastolo ; e, certo, in Italia, in novanta casi su cento, si arresta per molto meno. Io domando intanto se - dopo che la legge ha condannato l'uomo che si chiamò Pietro Acciarito a divenire un numero, sia lecito alla fantasia inquisitoriale di un direttore di ergastolo il far tornare uomini i numeri consegnati alla sua tutela per poi mutarli in belve feroci o in bruti ripugnanti. Domando se v'è tra le pene stabilite dal codice per i più terribili reati quella di far trepidare il condannato tra la gioia e il dolore, tra la disperazione e la speranza, per un figlio che non esiste. Se debba essere ammessa in un paese civile questa inquisizione morale che, peggio che far morire il paziente, lo rende un pazzo ripugnante ... E dopo questo mi pare di non essere eccessivo se domando ancora quale idea si abbia in Italia della dignità della giustizia imbastendo uo processo clamoroso su una tela così sudicia da fare schifo al più volgare frequentatore delle aule dei tribunali .... V AMBA. ~ A~ro~osifo ~i~nsator~i~aIFlainanza italiana L'on. Achille Plebano ha pubblicato il primo volume della Storia della Finanza italiana dal 186r al r876 (1). Al libro auguro di cuore la buona sorte, che merita perchè è scritto con molta cura e con molta serenità. I fatti vi hanno la parte principale ; ma anche le teorie qualche volta vi fanno capolìno opportunamente. Il tutto è disposto ed esposto con ordine e chiarezza assai commendevoli. Qualche lacuna e' è da deplorare. Ad esempio : consacra sessanta pagine del libro alla Finanza del regno subalpino; ma non era altrettanto utile e doveroso dedicare uno spazio almeno uguale alla finanza del resto d'Italia sino alla vigilia della costituzione del regno ? Era utile ed anche doveroso. Si sarebbe visto che presso gli altri Stati della penisola vi erano degli istituti, che meritavano di essere conservati o migliorati, anzichè imporre a tutti gli ordinamenti piemontesi, che non in tutto erano i migliori ; si sarebbe appreso ch'era assai vario il carico tributario delle diverse regioni ; e, con questa constatazione, si sarebbe trovata la ragione del malcontento profondo che l'Italia nuova, colla uguaglianza nelle sole imposte, ha generato in alcuni punti; e infine sarebbe stato facile scorgere che ben diversi furono gli oneri che le singole parti del regno apportarono nella massa comune. Queste differenze sarebbero riuscite utili e doverose specialmente per indurre tutti a (1) Roux e Frassati. Torino 1899. L. 6. maggiore equità nel giudicare dei diritti del mezzogiorno e del dovere dello Stato di provvedere ai suoi bisogni. Di che in appresso. Non occorre insistere su di alcuni fenomeni, che accenno qui di volo, perchè più volte sono stati lumeggiati. ~osi 1~ _spro€orzione nell_'incre~~n~o ~elle spese dette intangibili e rn quello pe1 servizi civili si scorse eh' è di antica data. Le spese intangibili erano 21 5 milioni di lire nel 1862 e arrivarono a 538 - sempre in cifra tonda - nel 1876; invece le spese pei servizi civili con varie e lievi oscillazioni annue da 284 milioni salirono a 292 ! Ecco la prima vergogna dello Stato italiano. E sia detto ad onore degli uomini che governarono sino al 1876: in quel periodo non ci fu aumento - salvo nel 1866 per la guerra coll'Austria; e l'aumento considerevole e giustificato figurò nella parte straordinaria - nelle spese militari, che attraverso alle ordinarie oscillazioni annuali da 204 milioni discesero a 201 milioni. Si comprende perchè aumentarono le spese intan(Jibili di oltre il 15 o oro : aumentarono spaventosamente i debiti. E questa fu la colpa maggiore della destra. Riesce tanto più doloroso questo aumento in quanto che - come risulta dai dettagli che si trovano nelle pagine 5 I 3 e 514 - per un capitale nominale di oltre quattro miliardi l'Italia non ne incassò che due miliardi e ottocento quindici milioni. In parte ciò avvenne per errori degli uomini ; in parte per forza delle cose: uno stato nuovo e circondato di diffidenze non poteva godere di un grande credito e non poteva fare delle emissioni a condizioni non usuraie. Del resto con quanta leggerezza procedettero gli antichi finanzieri d'Italia venne ricordato dall'on. Rava in parecchi suoi discorsi pregevoli nei quali si occupò delle emissioni per provvedere alle costruzioni fondiarie ; e risulta anche meglio da quello che l'on. Pleba~o scrive sulla famosa 'R.,egiacointeressatadei Tabacchi, di criminosa memoria. Mentre lo Stato nel 1867 con quel contratto assunse un debito effettivo di 2 37 milioni, da estinguersi in 15 anni, e sul quale pagò l'interesse del 6 010 e non ne incassò che 171; la Società invece con un capitale di 50 milioni, non interamenti versati, nel periodo di 15 anni, tra interessi e dividendi incassò 103 milioni... Il grasso affare voleva la pena di far commettere qualche reato - massime quello che va sotto il nome di ProcessoLobbia - ai grossi banchieri e poteva bene indurre il Brenna a scrivere al cognato deputato Paolo Fambri, dopo una buona fregatine di mani: facciamo quattrini.... La parte dal Plebano consacrata a questa infausta Regia cointeressatadei Tabacchi è abbastanza buona ; ma non si può dire altrettanto dell'altra in cui si occupa del corsoforzoso. Mi pare manchevole; non tiene conto dei risultati dell'Inchiesta parlameutare e della relazione Seismit-Doda; e si mostra assai benevola verso gli uomini che lo decretarono. Constata l'egregio autore « che il corso forzoso dei ~ biglietti di banca ha pesato gravemente e tuttora pesa « sulla vita nazionale, ponendo l' Italia in condizioni di « inferiorità di fronte agli altri paesi, nel movimento « economico del mondo ». (p. 202 ). Ma. a benefizio di chi fu imposto questo grave peso del corpo forzoso - camicia di Nesso di cui non ci siamo liberati nemmeno col nuovo onere di 35 milioni d'interesse del debito pubblico, che fu imposto per la sua abolizione nel 1881 ? A benefizio dei banchieri e degli industriali dell'Alta Italia in grandissima prevalenza. Il corso forzoso fu imposto pel salvataggio della Banca Nazionale, del 'Banco sconto e sete e di altri istituti bancari e società industriali del Settentrione. Ciò che cautamente confessa il Plebano che riporta una pagine di una Rivista finanziaria di quell'epoca, nella quale si constata che il panico del mondo finanziario si manifestò

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