Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno IV - n. 23 - 15 giugno 1899

RIVISTA POPOLA[(E .DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI 449 no dirsi ben fortunate quelle tessitrici che giungono a guadagnarsi 2 lire il giorno. La condizione dei tt ssitori che lavorano al telaio a mano è un po' migliore ma non tanto confortante, perchè se arrivano a 2, 5o e, perfino, 3 lire il giorno lo devono esclusivamente ad un eccessivo sciupìo di forze lavorando essi per un numero di ore superiore a quello degli sta bilimenti. Qoindi, una produzione che si ba.sa su questi salari ha già un grande elemento di vittoria che è sconosciuto affatto ai fabbricanti di Lione, di Crefeld e di Zurigo i quali devono pagare i loro operai con salari molto elevati. Le innovazioni industriali hanno apprestato una grande arma ai padroni, ma apportarono lutti e miserie nelle fila dei nostri operai, i quali furono costretti a cambiar mestiere ingrossando le legioni degli altri combattenti in campi diversi le grandi battaglie del lavoro. Questa inevitabile condizione di cose ebbe conseguenze sociali assai notevoli, perché la rivoluzione avvenuta nel campo della serica manifattura determinò quello stato latente di crisi da cui è infesta la rl!gina del Lario. L'offerta di lavoro, sempre abb0ndante in tutti i rami della produzione, divenne eccessiva in questi ultimi anni a causa di un'irruzione convulsiva di tutti i tessitori rovinati dal telaio meccanico e se ne sono visti perfino di qutlli che non sdegnarono, pur di vivere, di esercitare i mestieri più bassi. E questi flussi di mano d'opera si avverarono specialmente nei momenti più tristi della produzione comasca, in cui gli industriali privarono di lavoro migliaia e migliaia di operai della città per far lavorare a vilissimo prezzo quelli di campagna, oppure per iniziare la trasformazione degli antiquati sis•.emi produttivi. E nel '90 un giornale comasco ( 1) scriveva: « La tradizionale industna comasca, che da tempo immemorabile ha procacciata al nostro paese meritata reputazione anche per la non comune abilità dei nostri operai, senti anch'essa l' influsso dei tempi nuovi, e la necessità di trasformarsi adottando sistemi meccanici di lavorazione atti a permetterle di soste~ere la concorrenza, ormai formidabile, di altri paesi. E legge di progresso, a cui non si può sottrarsi ; e non saremo certo noi a dolercene anche se ciò può compromettere le sorti di centinaia di onesti operai la cui esistenza è stata finora at- ~accata al vecchio telaio che vuolsi gettare in un canto. E doloroso però constatare come rn generale coloro che di tale trasformazione si fanno iniziatod, tendono a portare la fabbricazione coi nuovi sistemi meccanici fuori di Como, privando così la città nostra di quel lavoro che fu sempre suo lustro principale e fonte di generale benessere, e l'abile nostra maestranza dal suo naturale elemento di vita. » Queste nuove condizioni industriali forono originate: come vedemmo, non dal capriccio ma dalle rinnovate necessità, le quali determinarono una politica non conforme agli interessi delle classi lavoratrici. Tali fenomeni necessari, per quanto dolorosi, non possono essere punto stigmatizzati dall'economista perchè rispondenti al carattere della febbrile vita moderna, solo è da deplorarsi come alcuni fabbricanti non sdegnarono di ricorrere ai più bassi metodi di sfruttamento pur di sostenere con onore il campo del mercato internazionale. E tutto ciò è dovuto a quella diffidenza reciproca, a quell'intima lotta che danneggia costantemente le classi industriali, ma più specialmente i poveri operai che di questo stato di cose risentono tutte le funeste conseguenze. I setaiuoli comaschi avrebbero potuto ottenere gli stessi risultati e anche maggiori senza osteggiarsi reciprocamente, ma, sostenendosi, avrtbbero potuto continuare con più audacia nelle loro trasformazioni e nei loro miglioramenti e provvedere con più convenienza al presente e all'avvenire di tessitori. (I) Il lavoratore Comasco. Ma noi, pur non essendo tanto ottimisti non disperiamo, anzi abbiamo una ferma fiducia eh; la manifattura. comasca perfezionandosi ancora schiuderà orizzonti nuovi ~lle ~la~~i !av_oratrici c?e da lung? tempo attendono g1or01 pm hetJ. E fin dora auguriamo che la festa del lavoro a cui Como invita tutto il mondo civile elevi la mente dei fabbricanti aflìnchè contribuiscano con slancio di illuminato egoismo a sollevare oscure miserie e a tergere pianti inauditi. UGo ToMBEs1. Sul regionalismo in Italia (Continuazione. Vedi Num. 20) Ili. La già sorta coscienza di questa verità ha tolto al regionalismo italiano il carattere anti-uoitario che esso ebb_e a~li ini~ii conserva_ndo~li. solo un senso mitigato di anttp~tla regionale. e d1 sc1?vmismo locale. L'opinione pubbhca delle classi borghesi e naturalmente unitaria. Il produttore lombardo che con tanti armeggii riuscì ad assicurarsi un mercato nell'Italia Meridionale, concepisce agevolmente che ogni attenuazione dell'unità nazionale è uPa riduzione dei proprii spacci e dei proprii profitti. Quel certo sviluppo industriale dell'alta Italia, per altro assai esagerato, non si mantiene, infatti, che grazie al fossato doganale .s~avato intorno all'Italia e per wi il consumatore mend1onale paga due e tre volte più ciò che potrebbe direttamente ritirare dalla Francia o dall'Inghilterra col succo delle sue vigne e con l'olio dei suoi oliveti. - L'interesse unitario dell'Italia meridionale è victversa un altro (r). Quando si parla dell'Italia meridionale si dimentica che si tratta Ji una popolazione di 13 milioni d'abitanti variamente distribuita in varie regioni, dalle abitudini dal modo di viv~re ~ dalla lingua differenti. Con quest~ processo sommano s1 passa sopra ad un cumulo di fatti. Per esempio: Napoli e la Campania hanno perduto tutto con l'unità, perché il regime borbonico accentrava tutta la vita dell'Italia meridionale in Napoli. Sono andate alla malora le floridissime industrie cotoniere del Salernitano e della Campania, quelle della seta di San Leudo Sorrento e di tutta la vallata del Liri. È avvenuto un'e~ norme spostamento d'interessi nella piccola borohesia che accentrava tutti gli impieghi pubblici e co~ì via. Ma la Puglia, allacciata all'Alta Italia, ma la Basilicota tolta dal passaggio della vaporiera al suo torpore di secoli ma l'i~t~ssa Calabria, tanto ricca d'ingegni e povera di quattnm, hanno perduto o guadagnato con l'unità? Non si dimentichi infine che, come mostrano gli studii già accennati del Pantaleoni, la Sicilia ha accresciuto e di molto la sua ricchezza. E tutto ciò spiega abbastanza bene l'esistenza innegabile dei sentimenti unitarii del mezzogiorno. Ora non ci sono che i gamius dd radicali~mo ad immaginare tutta una forza storica in contrasto con i fatti ed a supporre un interesse alla disunione che in Italia non c'e.. Ma questo sentimento alle apparenze bia- (1) Sarebbe tempo di por termine alla fola che il mezzogiorno abbia ottenuto in compenso dei dazii industriali il dazio sui cereali. Ecco come si distribuì nel 1898 in Italia la produzione "'ranaria, senza contare ht Sardegna. 0 Alta Italia Italia Centrale Italia Meridionale Piem. Ett. 3,600,000 EmiliaEtt. 6,130,000 ~ler. Adr. Ett. 6,450,000 Lombard. 3,380,000 i\Iarche 4,360,000 ~Jer. i\fedit. 5,780,000 Veneto 3,81 10,000 Toscana 3,920,000 Sicilia 6,!00 000 Liguria 360,000 Lazio 1,900,000 ' 11,118,000 16,310,000 18,330,000 Il mezzogiorno produce poco più di un terzo del g1·rmoitaliano. La sua produzione è quasi eguale a quel.la dell'ltalia CentraJ.c, Dippiù essendo la sua popolazione più grossa di questa ultima. essa è t1·ibutaria ad altre regioni del suo grano. Dunque il dazio sui cereali è una gravezza per essa e non un sollievo. Natw:almente non m'illudo ohe questa spiegazione soddisfi la suddofobia!

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