RIVISTA POPOLARE D1 POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI 347 gioni intime del suo dolore e dei suoi disinganni. La lettera è del Gennaio 92; e dice nella conclusione cosi: « Il motore di codesti libri fu l'impeto di gioventù, l'odio dell'oppressione, l'amore del vero o di quello che io credeva tale. Lo scopo fu la gloria di dire il vero, dì dirlo credendo giovare, di dirlo con forza e novità. Il raziocinio di codesti libri mi pare incatenato e dedotto, e quanto più v' ho pensato dopo, tanto più sempre mi è sembrato verace e fondato ; e interrogato su tali punti tornerei sempre a dire lo stesso, ovvero tacerei n. E poco dopo soggiunge : « In due parole, io approvo solennemente tutto quanto quasi è in quei libri; ma condanno senza misericordia chi li ha fatti ed i libri medesimi, perchè non c'era bisogno che ci fossero, e il danno può essere maggiore assai dell'utile ». Lasciando stare le sottigliezze e le distinzioni un pò sofistiche di questo ragionamento, e lodando fin a un certo punto lo scrupolo dello scrittore, egli, in conclusione, disapprova che quei libri siano stati divulgati, non per la sostanza di essi, ma per la opportunità. Egli temeva d'esser messo in fascio co' demagoghi francesi, e di essere perciò disistimato e odiato e disprezzato dagli uomini onesti. Tralasciando lo studio di questo sentimento di nobile e generoso timore, e restringendoci al nostro assunto, noi non possiamo in nessun modo dedurre dalla lettera citata, che i sentimenti del!' Alfieri, circa alla religione si fossero cogli anni mutati da quelli eh' egli nutriva quando scriveva il cap : 8 della Tirannide. Fino a pochi mesi prima della sua morte egli credeva non solo il cattolicismo, ma il cristianesimo in generale, sostanzialmente nemico del viver libero. Nè il cattolicismo, nè il cristianesimo era dunque la religione dell'Alfieri. Qui sento dal lettore richiamarmi alla memoria il sonetto famoso sul culto cattolico. « Alto, devoto, m;stico, ingegnoso, Grato alla vista all'ascoltar soave "· Verissimo : il culto, o più propriamente il rito cattolico è qui solennemente lodato. Ma chi ben consideri, questo sonetto non è ispirato ali' Alfieri da un altu sentimento religioso, ma più tosto da quell'artistico compiacimento che viene alla mente del poeta da quella solennità di pompe, onde il culto cattolico s'impone al cuore e alla fantasia di un popolo altamente artistico e immaginoso com'è il nostro. Una delle ragioni secondarie, infatti, per cui la Riforma ebbe poca o nessuna presa in Italia fu la somma semplicità e austerità del rito protestante. E a questo mirava l'Alfieri nella chiusa dì questo sonetto : « Guai, se per gli occhi e per gli orecchi al core, Vaga e tremenda in un, di Dio non scende L'immago in noi I Tosto il ben far si muore. « Dell'uom gli arcani appien sol Roma intende. Utile a' più, chi può chiamarla Errore? Con leggi accori~ alcun suo mal si ammende» La chiave del sonetto è in quest'ultima t<?rzina. L'Alfieri, come i vecchi Romani, stimava la re!igione una misura di prudenza, un mezzo potente di ubbedienza, d'ordine, di civiltà. Uno dei mo• tivi, infatti, per cui sì scagliava contro la rivo• luzionc francese, contro gli enciclopedisti che l'avevano preparata e particolarmente contro il Voltèro e i voltereschi fu appunto codesta. È il concetto del Macchiavelli. Il sonetto, per altro, fu scritto parecchi anni prima della lettera al Caluso e prima ancora dei famosi epigrammi contro papi e cardinali ; esso perciò, non può darci l'ultima parola del poeta sul suo sentimento religioso. Un fatto clie parrebbe contraddire recisamente alle opinioni espresse nella Tirannide è quello che ci viene affermato dall'Abate di Caluso, cioè, che l'Alfieri tollerò agli ultimi istanti, un padre Confessore, e non furono trascurati (si noti la frase) i conforti della religione ; se non che, il prete non giunse in tempo. Ma nei ragguagli che la Contessa d' Albany dava al Foscolo su gli ultimi momenti del suo grande amico, il fatto affermato a denti stretti dall'Abate di Caluso non è neppure accennato; e nella lettera da costui appiccicata alla vita dell'amico, le parole sopra riferite sono cosi poste e di tal tenore, che abbiamo ben ragione di credere trattarsi di una di quelle solite affermazioni dì troppo zelanti amici : qualcosa di simile a ciò che del Leopardi scriveva il famoso padre Scarpa. La prudente bugia dell'Abate potrebbe parer confermata dall'aneddoto narratoci da M. D'Azeglio nei suoi " Ricordi ,,. Che l'Alfieri andasse qualche volta in chiesa e proprio nella Chiesa di Santa Croce, ci viene anche affermato nei celebri versi dei " Sepolcri ,, e non c' è ragione di dubitarne; che l'Alfieri fosse tal uomo da sfidare i sarcasmi dei giacobini, se la coscienza gli avesse consigliato dì ricredersi e di andare a comunicarsi, è fuori di dubbio; ma che egli entrasse in chiesa proprio per recitarvi le orazioni quando ancora teneva per vero ciò che aveva scritto nella Tirannide, non mi par credibile. L' Alfieri ebbe probabilmente, anzi certameme, un sentimento religioso ; ma ciò non vuol dire che fu cristiano, cattolico o protestante. Egli fu religioso al modo di tutti gli animi eccelsi : credette ad un Ideale di libertà, di giustizia, di carità. E se negli ultimi anni, profondamente rattristata dagli avvenimenti d'Italia, sfinito dalle ostinate fatiche, disdegnoso della gloria e della vita, raccoglievasi per lunghe ore nelle chiese di Firenze, ogni anima non volgare comprende ch'egli non vi dimorava per assistere al sacrificio del pane e del vino, ma per quella nostalgia dell'Infinito ch'è la febbre tormentosa ed esauriente di tutti i cuori sublimi. M. RAPISARDI ILSOCIALISMO diNapoleone Col~anni (GIUDIZI) « Per la causa di giustizia scientifica ed obbiettiva checché piaccia ad Enrico Ferri di negare od inferire, debbo riconoscere in Napoleone Colajanni un diritto sovrano di priorità nella coltura nazionale. La sua prima edizione del Socialismo, fu il primo atro dichiarato ed esplicito di dottrina socialista autentica, che l'Italia vide, anche se non comprese. Atto tanto più meritevole di storico rilievo poichè appunto veniva, contro il Ferri, ignoro affatto di marxismo o de' suoi derivati leggittimi, ad opporre a quel facile sociodarvinismo criminale la poderosa energia unitaria della genesi collettivista .... « E da ritenere indubitato che il Colajanni, con quel libro si metteva, di pieno diritto, alla testa della propaganda dottrinaria socialista in Italia, e sui competitori ed emuli, nel senno del poi, acquistava il titolo più lampante ad essere ritenuto e salutato maestro. « Dopo la prima edizione i progressi da lui fatti, come so-
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