'R..IVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI 345 sempre efficace e d'una tutela previdente e benevola, in guisa che le generazioni avvenire sentissero sempre i legami del sangue e della razza; possedimento, se con le navi e i soldati volesse garantire la sovranità sul territorio e sulla p:,polazione che lo occ11pa, senza curarsi che gente italica vi prenda stanza. lo quest'ultimo caso resterebbe da esaminare qu1le dovesse essere il carattere del possedimento, se per difesa o per sfruttamento o per vanagloria. Si può pensare davvero di fondare delle colonie in Cina, di dirigere cioè colà delle correnti di immigrazione? Chiunque, appena conosca gli elemeati della geografia, sa che è ridic-Jlo peniarlo. L'Impero Chinese con una superficie di I I milioni di Km. quadrati ha una popolazion~ di 357 milioni, quasi tutta riconcentrata nella Cina propriamente detta, la quale ne contiene 346 milioni su 5,396,000 chilometri quadrati. Se confrontiamo queste cifre con quelle rispettive dell'Europa, possiamo dire che su per giù mentre la superficie della Cina è poco più della metà dell'Europa le popolazioni sono quasi eguali, e infatti mentre la popolazione relativa è in Cina di 64 abitanti per Km. quadrato, in Europa è di 38 appena. Che se poi passiamo ad esaminare le condizioni della provincia in cui dovrebbe svolgersi la nostra sfera d'influenza, noi troviamo che il Ce-Kiang ha con una superficie di 95,000 Km. (uguale perciò, all'incirca, a quella dell'Italia settentrionale, tolta la Liguria) una popolazione di 12 milioni di abitanti, cioè ha una popolazione relativa di 124 abitanti per chilometro quadrato, quasi uguale a quella dell'Italia settentrionale che è di 125. Si può pensare sul serio di dirigere al CeKiang la nostra emigrazione? E si badi che le provincie limitrofe sono anche più abitate; il Fu Kian a Sud ha 170 abitanti per Km.; il Nyan-Uei a N. E. ne ha 148, il Kiang-su a N. ne ha 210. Un' altra considerazione ba fatto il prof. Ricbieri per chiarire sempre più l'assurdità del pensiero d'una colonia, e cioè che la popolazione della Cina è cosi densa che in essa si sono manifestate delle vaste correnti di emigrazione, a frenare le quali, a respingere cioè il così detto pericolo giallo di cui tanto si parlava alcuni anni fa, l'America e l'Australia hanno dovuto fare delle leggi proibitive, quelle leggi che ora gli Stati Uniti minacciano di rinnovare contro l'emigrazione italiana. Colonia, dunque, niente. E, allora, un possedimento che si vuol fondare ? Lasciamo da parte le considerazioni d'ordine morale che ci potrebbero essere suggerite dal fatto d'una violenta occupazione; è certo che per fondare un possedimento bisognerà impadronirsene e poi bisognerà conservarlo. Ora non è a credere che tutto ciò sia assolutamente facile per il Ce-Kiang, data la· sua estensione e la sua popolazione. L'idea che si ha della debolezza della Cina è erronea, in quanto che si confonde la debolezza - reale - del governo cinese con quella - affatto immaginaria - della nazione, e la debolezza del governo prova appunto la difficoltà di mantenere soggetto quel popolo. Non si riflette che è il governo dei dominatori Manciù, (ossia la dinastia Tsing che venendo dalla Manciuria cacciò nel 1644 dal potere la dinastia dei Ming) quello che rovina, sotto l'azione di numerosissime società segrete, dai nomi piu strani, che lavorano tutte a liberare il paese dal giogo straniero. Non si riflette che il Cinese, quando si batte per una causa che sente, è tanto valoroso e sprezzatore della vita, quanto è laborioso e frugale nelle contingenze abituali. Basta a provarlo il ricord0 della ribellione dei Tai-ping, anche a voler tacere della sanguinosa sconfitta che le Bandiere Nere inflissero ai Francesi a Langsow; quella ribellione avvenuta appunto nel Ce-Kiang durò nientemeno che 15 anni dal 1848 al 1863, costando la vita a 2 milioni di persone senza contare gli enormi danni arrecati dalle devastazioni, anzi dalle distruzioni di intere città. Si aggiunga che in Cina vi ha un estesissimo numero di letterati, spesso famelici e turbolenti, d'un fanatismo incredibile, e si veda se si P?Ò affro_ntare a cuor leggero la prospettiva d'una guerra dr. c~nqm~ta. E un altro d~to citò anche il prof. Rich1en a dimostrare la quasi certezza di dovere affrontare una insurrezione se volessimo stabilire colla forza la nostra dominazione in Cina. Le tasse in quell'impero sono affatto minime; ascendono tutte insieme, giusta la valutazione del console inglese a Shang-hai, a 218 milioni e mezzo di franchi, cioè appena 62 centesimi per anno a testa. L'Italia che in fatto di metter tasse è maestra, non potrebbe fare a meno di imporne - e gravosissime - anche colà, tanto piu che il solo invio di una nave da guerra per la enorme distanza e per le tasse di passaggio del canale di Suez verrebbe a costare intorno a mezzo milione di lire. Si dirà, e lo ha detto il ministro Canevaro, che le aspirazioni del Governo si restringono soltanto alla baia di San-Mun per farne un deposito di carbone. Intanto in quella regione non vi sono giacimenti carboniferi, e le navi mercantili se ne provvedono facilmente da per tutto. Sarà dunque per le navi militari e solamente per il caso di una guerra; ora quali ragioni di guerra può avere l'Italia nel Pacifico? Se poi si vuole ammettere che l'occupazione potesse avere per iscopo di proteggere il commercio, c'è da oss~rvare in contrario non solo eh~ questa ragione manc:i, s100 a tanto che prevarrà la pohtica della porta aperta sostenuta dall'Inghilterra, e per la quale le nostre merci penetrerebbero in Cina con le stesse facilitazioni di quelle delle altre nazioni, ma anche - e questa considerazione è gravissima - che la baia di San Mun non potrà mai essere ua porto commerciale perchè, come dice il viaggiatore tedesco Richthofen tutto il comm~rcio del CeKiang ha il suo sbocco naturale verso Ning-po. L'Italia dunque si è cacciata in questa bega senza nemmeno conoscere sommariamente le condizioni di fatto del luogo prescelto, esempio solenne della nostra deficienza, quando tutte le altre nazioni prima di muoversi mandarono delle missioni sui luoghi a studiare quello che avrebbero potuto fare: basterà ricordare la missione della Camera di c?mmercio ~i L~one, di cui già si è pubblicata la relazione, compmtas1 dal 95 al 97; quella giapponese inc?ntrat~si con la prima, che visitò il Yang-tze; la miss10ne inglese della camera di commercio di Krefeld, Brema, ecc., oltre non pochi viaggiatori di questa nazione. Il prof. Richieri passò quindi ad esporre i dati del nostro commercio con la China nel quinqu~nnio 1892-96. 1 generi che noi più importiamo in Cina sono il corallo greggio e lavorato e i cappelli di feltro, due generi che si capisce facilmente non essere suscettibili di grandi aumenti ; la cifra che esprime la media del quinquennio è veramrnte meschina ; su per giù sono entrati in China ogni anno 800 mila lire di merci italiane. Anche l'esportazione dall'impero non può dirsi cospicua non raggiungendo in media che i 14 o 15 milioni all'anno, di cui una metà all'incirca rappresentati dalla seta, greggia e filata, cioè da un articolo che fa la concorrenza alla nostra produzione. Questi dati, me,chini in sè stessi Io diventano di piu se si confrontano con quelli di tutt~ le ii_nporta~ioni e le esportazioni della Cina nello stesso periodo d1 tempo; non tenendo conto delle merci trasportate con battelli cinesi, le importazioni furono in media di 550 milioni all'anno, le esportazioni per 800 milioni circa. Il conferenziere notò anzi a questo proposito che delle nazioni che hanno più traffici con la China, quali !a G_ranBrettagna, gli Stati Uniti, la Germania, la Russia, 11Giappone, la Francia, quella in cui lo sbilancio tra l'importazione dalla China e l'esportazione in China è veramente considerevole è la nostra sorella latina come si può vedere da questi dati: pel 1895, importazio~e 137 mil_ioni, espo_r~azi_on3e; pel 1896, importazione 79, esportazione 5 m1hom. Parallelo allo sviluppo del commercio è quello della navigazione: su 50 linee regolari di battelli a vapore che arrivano a Hong-Kong, appena una è italiana, sovven-
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