Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno IV - n. 17 - 15 marzo 1899

'R_IJTISTAPOPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI che hanno sempre esercitata, alla ragione stessa della loro esistenza, è pretendere l'assurdo. Ora, combattere coll'assurdo vuol dire incamminarsi a uscirne presto o tardi con le costole rotte: e in tal caso la rottura delle costole non si può davvero impu• tare soltanto ali' assurdo: ma anche, e in maggior misura, a chi ha creduto di poter scherzare con le cose serie. Questo ha voluto fare il popolo Italiano nel 1860, nel 1866, nel 1870: onde se ora ne es~e con le costole rotte, è proprio con sé stesso che deve prendersela, è proprio per suo conto che deve recitare il confiteor, e quale confiteor I Tanto più poi che agli istituti sullodati è arrivato questo bel caso: di vedersi più o meno pressati, sollecitati, quasi spinti, con rispettosa violenza, ad affrettare non , più ìl passo ma addirittura la corsa verso il loro antico « naturale. " Che più? Mentre tali istituti si accontentavano del cinquanta o del settanta per cento, certo per fare le cose più a modo, - hanno trovato invece della brava gente che implora per essi il cento per cento e più ancora se possibile: magari il mille per cento. * * * Questa almeno è l'impressione genuina che ogni italiano di buon senso dovrebbe avere provata leggendo i resoconti delle discussioni svoltesi alla Camera dal 18 Febbraio fino a questi giorni, intorno ai noti progetti di legge sulle associazioni, sulle riunioni, sulla stampa, sulla militarizzazione e sui recidivi. S. Barzilai, nell'ultima puntata di questa Rivista, ha sintetizzato il valore giuridico di quelle proposte di leggi. Nondimrno di qualche interesse possono riuscire, ancora oggi, alcune linee di vivisqione, sul significato delle discussioni stesse e sul valore sintJmatico di tutta quella immane congerie di discorsi, di quello straripamento di eloquenza, paragonabile appena a un fiume indiano. - Lo sappiamo, ci o,serverà qualcuno: parole, parole, parole! - No, caro amicq: questa volta non si tratta solo di parole: perchè dietro a quelle parole stava e sta nn pensiero, e dietro a quel pensiero un'azione, della quale non tarderemo a sentirne gli effetti. « Vivise~ioniamo " dunque un po', se ci si permette il vocabolo. Ascoltando o leggendo i dibattiti di quel torneo, ogni osservatore imparziale deve aver convenuto in questo: che i sostenitori dei progetti reazionari erano anzitutto ben sicuri del fatto loro, e quindi che parlavano tanto per parlare, solo in omaggio al formalismo parlamentare, prescrivente_ che sulle leggi in discussione parlino, alternantisi, gli oratori favorevoli e contrari. Se no, non si capirebbe davvero perchè circa venti oratori fra deputati e ministri si siano scomodati ad aver l'aria di sostenere e difendere le leggi reazionarie. Tanto valeva votar subito, mettendo senz'altro in linea i trecento voti della maggioranza governativa. E invero: forse che ci fu una correlazione qualunque fra gli argomenti addotti in favore delle leggi dai venti oratori della destra, del centro e della sinistra ministeriale, e quelli addotti contro dai ve:itisei oratori dell' estrema sinistra? Mai più: anzi sotto questo punto di vista lo spettacolo offerto dal Parlamento è stato qualche cosa di eccezionalmente fin de siecle. Gli oratori repubblicani, socialisti e radicali mettevano tutto l'impegno nel produrre contro le leggi argomentazioni rigorosamente esatte e precise dal punto di vista sia politico che giuridico, e la loro parola, anche quando assurgeva a calda trascinatrice eloquenza, era .però sempre meditata, riflessiva, ragionatrice. Gli amici nostri potevano quindi ritenersi autorizzati a credere che gli avversari - i difensori dei progetti - per quanto determinati a non cedere, li seguissero almeno sul terreno dei loro argomenti, e ribattessero, un dopo l'altro, i criterii della opposizione. Niente, invece, di tutto ciò. Gli oratori della reazione continua vano a parlare per conto proprio: a rivolgersi a tutt'altri che ai loro contradditori; a indirizzarsi a una specie di pubblico assente, fuori dell'aula, col quale mostravano d' intendersela molto bene, e dal quale ben sapevano di essere approvati e applauditi. * *,,. In verità abbiamo sentito molte volte comHatire le assemblee delle nostre modeste associazioni popolari, perchè, si dice, la parola degli oratori non è quivi sempre ornata, e le discussioni talvolta sono· apparentemente sconnesse. Or bene: in tutta coscienza e senza esagerare in nulla, noi possiamo asserire che queste assemblee, dalle discussioni compatite e bonarie, in fatto di serietà, di ,logica nelle discussioni, di coerenza nelle deliberazioni, e soprattutto di sincera dignità di contegno, si lasciano invece indietro, e di molto, certe assemblee legislative di nostra conoscenza. E ci si scusi la digressione. * *.. Tornando ora alla giostra parlamentare fin de, siècle, come non provare tale impressione, quando si rileggono i discorsi degli oratori favorevoli ai progetti di repressione? l\fa a chi si rivolgevano essi, a chi supponevano mai di darla a intendere? Ai loro colleghi, o alla pubblica opinione intelligente del paese, forse? Ci par difficile: anzi riteniamo che non lo pensassero neppure essi stessi. E, invero, potevano mai supporre di parlar sul serio il Majorana e il San Giuliano, quando sostenevano che le leggi repre~sive si dovevano approvare, anche se contrarie allo Statuto, perchè, in fondo, lo Statuto dev'essere pur suscettibile di progresso, e non deve intendersi come come una muraglia della China? Proprio dai loro pulpiti tutta questa grazia di Dio? Così che, per una magra volta in cui i partiti esttemi si erano messi a difendere lo Statuto, come superstite tavola di sai vezza nel generale naufragio, eccoli a sentirsene rimproverare siccome colpevoli di tendenza reazionaria, proprio da coloro che gli Statuti e gli istituti politici rispt:ttano e fingono di servire, solo in quanto questi si adattano ad essere strumenti di dominio per la loro classe. Ah, lo Statuto non è, dunque, immutabile! Ma allora se voi lo volete cambiare per ritornare ai metodi borbonici e austriaci - ante 1859 - perchè non si potrà riformarlo anche, per il verso opposto, fosse pure per mutarne in senso radicale i primi dieci articoli? Nondimeno il Majorana e il Di San Giuliano fu proprio con tali argomenti che apersero il torneo. Qual meraviglia, quindi, se, data una simile sinfonia, gli oratori susseguenti della reazione - massimi e minimi - si sono poi sbizzariti nella più éclatante eccentricità... legislativa? Ecco per esempio il Sonnino, il quale per serbare l' ii plomb scopre che, oggi come oggi, le leggi attuali sono insufficienti a salvaguardJre l'ordine pubblico. Eppure lo stato monarchico italiano è ben da ormai quarant'anni che esiste, e di burrasche ne ha attraversate a josa. A parte che dal 1860 al 1894 l'arsenale delle leggi repressi ve è andato fornendosi delle armi più raffinate e insidiose per militarizzare, senza parerlo, il sentimento pubblico, come può reggere la trovata del Sonnino, di fronte al ricordo delle agitazioni veramente rivoluzionarie che scossero poderosamente il paese all'indomani di Aspromonte, ali' indomani della Convenzione di Settembre e dei fatti di Torino nel 1864, all'indomani di Mentana, e più avanti ancora nel periodo del processo Lobbia nel 1869, e finalmente nel 1870, quando la rivoluzione minacciante all'interno spingeva Quintino Sella a imporre l'occupazione di R,oma r

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