Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno IV - n. 17 - 15 marzo 1899

RIP'ISTAPOPOLARE'DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCJA.Ll verno della Repubblica fu autorizzato ad aumentarla fino al punto di raggiungere i dazi applicabili ai prodotti similari francesi in Italia, più a gravare del 50 oyo gli articoli esenti nella stessa tariffa generale. Invece l'on. Crispi nel 29 febbraio 1888 volle imporre un aumento del 50 010 su tutti i prodotti francesi, oltre l'altissima tariffa generale che andava allora in vigore, sicchè ben disse poi l'on. Branca che quella fu una seconda tariffa differenziale che stabili un regime assolutamente proibitivo a carico delle esportazioni francesi. Il sentito bisogno di alcuni di cotesti prodotti indusse ali' abolizione del 1890, la quale dette luogo ali' applicazione della -nuova tariffa generale per parte della Francia, non appena venne attuata nel febbraio 1892. Gli epiteti e i giudizì dell'on. Ctispi non suonano davvero ciò che più di esatto e di equanime possa attendersi da parte d'un uomo di Stato che fu più volte al potere e forse aspira a tornarvi. .. * * Quello che segui è noto, e fu rure accennato in principio di questo scritto. I paesi più cari all'oo. Crispi furono sopratutto colpiti da una crisi facilmente prevedibile, e specie colla sovrapproduzione vinicola eccitata cosi incautamente dallo stesso Governo mediante i più strani abusi del credito in quelle regioni. E fu principalmente tutta una co~- pagine finanziaria ed economica che perdè il suo primo punto d'appoggio al quale avrebbesi dovuto per lo meno assicurare una efficace sostituzione. L'on. Crispi dice che questa guerra di tariffe durata 10 anni fu nociva alle due nazioni, ed è vero; ma conveniva che chi aveva cura di governo, considerasse che il commercio coll'Italia rappresentava per la Francia, come notava il deputato Bourgeois del Jura, circa il 6 OJO dei suoi scambii, mentre per l'Italia il commercio francese ascendeva al 38 010 dei medesimi. Se dopo ciò il plenipotenziario francese venuto a Roma dopo Friederichsruhe - che ~econdo l'on. Crispi non doveva dar motivi di allarme, ma non poteva darli neanche di affetto - avesse cercato di attraversare la continuazione del trattato non vi sarebbe stato troppo a meravigliarsene specialmente poi dato lo stato degli animi in Francia, quale lo descrive l'on. Crispi; ma invece fu precisamente il contrario. Certamente quello che si aggiunse dopo, cioè la vertenza per la successione di Hussein a Firenze, il dissidio a Massaua, di cui parla l'on. Crispi, le parole minacciose alla Camera, di cui non parla, non potevano agevolare la ripresa delle trattative soprattutto essendo venuti in chiaro i danni molto maggiori risentiti dal più debole. Sarebbe stato troppo il pretendere che dopo che dalla nostra parte era partita prima la denunzia, poi la rottura definitiva, lasciando stare altre ben note asprezze testimoniate anche dall'ultimo scritto, fossero i francesi tornati a proporci ciò che conveniva a noi anche più che ad essi. L'on. Crispi cita le parole che avrebbe detto il Tessertinc de Bort all'Ellena sulla impossibilita d'un accordo tra la Francia e l'Italia finchè durasse la Triplice. Ma dopo quanto ripetutamente propose nelle conferenze si deve intendere che l'ostacolo per lui si riferiva all'Italia più che alla Francia. Non era poi serio, diciamolo pure, il riprendere i negoziati quando tutti i disastri scatenati in tanta parte d'Italia non rattenevano più tardi l'on. Ellena, divenuto anche Ministro ,.IelleFinanze, dal dichiarare alla Camera, nella discussione del trattato colla Svizzera, che se la Francia avesse voluto concederci la tariffd minima, egli si sarebbe appena degnato di accettarla non tenendosi obbligato ad alcun correspettivo ! Quos vult perdere ecc. ecc.! C:on tali collaboratori bensi l' on. Crispi può aver diritto a qualche attenuante nel grave giudizio della sua opera al r 888. Nulla dirò della questione di Tunisi che porterebbe troppo in lungo. Niuno può affermare quello che sarebbe seguito se fosse rimasto al potere nel 1896 l'on Crispi. Forse non si sarebbe stipulato il nuovo trattato tunisino nè il nuovo trattato di commercio, ma non si sarebbe nemmeno fatta sgombrare Biserta e Tunisi ai Francesi. E allora? se non la guerra si avrebbe avuto gran parte dei danni che essa cagiona, nè ~i sarebbe accresciuto il nostro prestigio non facendola soltanto per quelle semplici ragioni che adduce !'on. Crispi ,che cioè il nostro esercito e la nostra flotia non sono ancora ordinati! E in tali condizioni non val meglio avere tutti i benefizii della pace corupreso il piatto di lenti, che per l'oo. Crispi raffigura il modesto trattato di commercio attuale ? ~ L. DILIGENTI Deputato al Parlamento QUARANTASDEISCOR.S.:.I Ladiscussionpearlamentaresui provvedimeurteiazionari. Con enormi maggioranze, di 200 e più voti per ciascuna votazione, la Camera l'ha data vinta al governo di Pelloux, e a chi lo conduce e lo comanda. La tendenz..a, - la più aperta e decisa tendenz..a - per una repressione proprio sistematica e « come si.deve » - ha avuto la sanzione la più cordiale, la più esemplare da parte di quattro quinti della Camera. A che farsi illusioni sulle seconde letture, sulla forma definitiva degli articoli delle « leggi di Febbraio » ? Per quanto sia regola del jure che la « forma è il fondo », qui siamo invece in piena eccezione. La forma sarà poco meno di nulla: la sostanza è, e sarà, che il P.arlamento italiano ha approvata, incoraggiata, sanzionata la tendenz..a di queste leggi, cioè il novo ordo, o meglio il restaura/io ordo, in cui sentono il bisogno di mettersi gli istituti politici sorti in Italia coi plebisciti del I 860. Chassez.l.e naturel, il revient au galop, dicono i nostri buoni vicini. Talvolta, invece del galoppo si tratta del trotto e magari del passo: ma il « naturale » ritorna sempre. L'aveva previsto Mazzini sin dal 1860; lo aveva detto anche Carlo Cattaneo; e, attraverso le loro grandi illusioni, lo intuivano, lo comprendevano del pari Garibaldi e Cavallotti. E così fu. Ci misero è vero quarant'anni; ma, un po' al trotto, un po' al passo, con molta sapienza, con assai perseveranza gli « istitnti ,, dei plebisciti stanno per riprendere il loro « naturale. » Si può dire, anzi, che, a diversi acconti, l'hanno già ripreso. E, in fondo in fondo, è logico, è umano che sia cosi. Gli istituti politici e sociali sono quel che sono. Pretendere da essi qualsiasi cosa piccola o grande, ma contraria alla loro storia, alla loro tradizione, alla missione

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