RIVISTPAOPOLARE DI POLITIC.ALETTERE E SCIENZ:ESOCIALI Direttore: Dr. NAPOLEONE COLAJANNI Esce in Roma il 15 e il 30 d'ogni mese ITALIA: anno lire 5 ; semestre lire 3 - ESTERO : anno lire 7; semestre lire 4. Un nuD1.ero separato, Oent. ~ AnnoIV. - N. 17 Abbonamentoposta.le Roma15Marzo1899. SOMMARIO: LA REDAZION:EColajanni rieletto. Òn. ETTORESoccI : Felice Cavallotti. On. L. DILIGENTI:Il trattato di Commercio e l'articolo dell'on. Crispi. FELICEALBAN:I Quarantasei discorsi .... Doti. P. BRIGANTIe B. SALEMI:L'Emigrazione italiana negli Stati Uniti. Ing. ITALOGASPARETTt: Il riordino degli Istituti di Previdenza ferroviari. OSCAR vV 0LFF: I partiti ed i trattati di commercio in Germania. 'R...ivistadelleRiviste. - 'R...ecet1sio11i. Colajanni rieletto Con 626 voti di maggioranza il nome di Napoleone Colajanni è uscito trionfante dall'urna. A lui maestro ed amico il nostro saluto del cuore. Agli elettod di Castrogiovanni che così fieramente e solennemente schiacciarono la corruzione e l'arbitrio coalizzati, basti l'onore di avere a loro rappresentante una delle più nobili illustrazioni dell'Ideale e della Scienza. LA REDAZIONE. Feli~e Cavallotti I Parentali di Felice Cavallotti sono riusciti solenni in ogni parte d' Italia. Ovunque si pensa e si palpita, ovunque si soffre e si spera, nell'ateneo come nell'officina, nella scuola come nei campi e nelle miniere, la memoria di Lui che visse lottando e lottando morì, trasvola come la strofa alata di un inno: il funerale si muta in apoteosi. Cavallotti non è morto, nè morra mai nella mente del popolo, il quale s'inchina soltanto alla azione e chiede al!' azione i suoi eroi e i suoi paladini. Il popolo non piange il poeta, non l'artista, non l'oratore: i cui discorsi, come ben disse Carducci, sfidano il tempo. Che ne sa il popolo se Cavallotti fosse classico o romantico, positivista o idealista, evoluzionista o rivoluzionario? P~r il popolo Cavallotti vivente pocea dirsi gia un mito. Egli era l'azione fatta persona. S' indicevano l' elezioni e oggi lo si sapeva nell'Alca Italia, domani in Sicilia, domani l'altro in Toscana o in Romagna: alla guerra Cavallotti era tra i Garibaldini: scoppiava il colera e lo si vedeva al letto degli ammalati: i giornalisti andavano a rappresentare l' Italia in Spagna, e chi faceva sentire la voce alca, solenne, maestosa della patria nostra tra i discendenti del Cid? Era lui, sempre lui. E che cosa dire dei duelli? Ne ebbe persino tre in un giorno solo. Con Bizzoni nei bei tempi del GazzettinoRosa a Milano, sfidò tutti gli ufficiali di un reggimento di Usseri. Alla Camera poi non ebbe mai posa. Il giuramento, il suffragio universale, la misera sorte dei maestri di scuola, le inconsulte dotazioni della Corona, la enormità delle convenzioni ferroviarie, la infausta impresa Africana offrirono le armi più micidiali contro gli avversari a quest'Atleta della discussione, a questo gigante della parola. Quando poi furono svelate le brutture bancarie e il governo simoneggiò sfacciatamente, e l' affarismo fu eretto a scienza di stato, e le più sacre idealità furono derise ed il fango trovò adoratori sfacciati, giornalisti plaudenti e inneggiatori nauseabondi, Cavallotti si alzò di cento cubiti sopra tutti gli altri ed intraprese l' epica campagna per la quale il suo nome, suonerà di generazione in generazione: guerra a tutto quanto di putrido disonora oggi l' Italia. Qualunque reggimento civile precipita a ruina se non ha prr propria base il galantomismo. Compreso da questa verità, Fdice Cavallotti che applicava alla politica il metodo esperimentale e la tattica Garibaldin3, si piantò, fiero come Argante, innanzi a tutti sventolando il vessillo della moralità. Pencolavano gli amici ed ei continuava imperterrito la via che si era prefissa: lo sconsigliavano avversari politici dai quali era stimato rd egli stimava, ed ei, sorridendo, crollava la testa e diceva a sè stesso: « Sempre avanti per la verità e la giustizia »: lo minacciavano i nemici ed ei senza muover collo o piegar costa, gridava agli amici paurosi: « Avanti sempre per la verità e la giustizia ». Cavallotti segui nel parlamento la tradizione di Bertani: lottò sempre, e sempre si oppose a quella sistematica negazione che in politica è una vera inerzia, inefficace e dannosa come tutte le inerzie.
RIVISTA POPOLARE 'DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOC-\ALl Spinse il disinteresse allo scrupolo: lo si disse ambizioso e in dieci legislature non fu che una volta sola membro della Giunta delle Elezioni ... egli che tante volte avrebbe potuto esser ministro! Richiesto se avrebbe accettato il potere, rispose: Si, insieme ai miei amici, ma sarebbe l'ultima mia croce. Era una croce per lui quello che è la prima ambizione di tanti altri! . . . Eppoi Cavallotti insisteva sempre che l'andare al governo alla spicciolata non potea chiamarsi un trionfo di partito ma una dedizione d'individuo. Tutto questo però il popolo non lo sapeva, come come poco al popolo importa oggi che l'Estrema Sinistra, morto lui, sia divenuta acefala. Il popolo sapeva che Cavallotti era sempre il primo, tutte le volte che si combatteva pt.:r la libertà e la giustizia: il popolo che odia i dottrinari s'inchina a Cavallotti, ne fa il suo eroe, perchè fu sempre invaso dalla febbre dell'azione, perchè pagò sempre di persona, perchè visse lavorando, perchè nell'anima del poeta sentiva battere la grande anima sua. E i Parentali di Cavallotti riescono imponenti come quelli di Mazzini, come quelli di Garibaldi. ETTORE Socc1. IL TRATTATO DI COMMERCIO E L'ARTICOLODELL'ON. CRISPI La rottura del trattato con la Francia che segnò un nuovo e in gran parte inaspettato cambiamento nel nostro indirizzo commerciale ed economico, produsse conseguenze assai più gravi e funeste di quello che non possa produrre oggi in senso benefico il ristabilimento del resto in proporzioni ridotte delle relazioni allora troncate. Le cifre del nostro commercio esteriore lo dissero abbastanza nel loro complesso. Nel triennio r 884-86 alla vigilia della rottura dd trattato che giova ricordare non ci legava soltanto alla Francia, ma a quasi tutti gli altri Stati europei colla clausola della nazione più favorita, il nostro movimento commerciale tra esportazioni e importazioni ascendeva a 2, . p9,236,ooo. Invece nella media del triennio r 89 r-9 3, dopo consolidati gli effetti della rottura, ancorchè raddolciti dai compensi dei nuovi trattati a scartamento ridotto con la Germania con l'Austria e anche colla Svizzera, di cui menò vanto alla Camera l'On. Chimirri, si cadde a 2,096,000, e se si è risaliti nel triennio r8~4-96 a 2,190,493,000, si rimane sempre in perdita di 239 milioni. Le sole esportazioni poi che avevano raggiunto nel triennio 1881-83 la cifra di 1,167,921,000, nel quadriennio I 888 9 r, pur citato dall'On. Chimirri, precipitarono a 867 milioni, e se hanno ril'reso fino a 1,042,103,000, nell'ultimo quadriennio sono sempre in perdita di 125milioni. (r) Non si è dunque riusciti a riacquistare (1) Dopo scritte queste linee e queste cifre ho avuto il riassunto del commercio speciale di importazione e di esportazione, dedotti i metalli preziosi, dal 1° gennaio al 31 decembre 1898. La verità vuole che dica che il movimento dell'anno 1898 segna un miglioramento notevole su quello degli anni precedenti. poichè si è arrivati tra importazioni ed esportazioni a 2,616,904,650 mentre il maximum fin quì avuto nel 1876 era giunto a 2,515,568,208, e l'anno avanti, 1897, non si aveva avuto che 2,315,105,600. Le importazioni che nel 1897 avevano tutto il perduto come asseriva l'ex Ministro di Agricoltura del primo gabinetto Rudinl che pur pretese correggere gli errori del gran Ministero, travolto dalla irriverente evocazione delle sante memorie, llel 31 gennaio 1891,non dalle disastrose conseguenze della rottura del trattato. Certamente fu ripresa una parte del commercio così sciaguratamente cessato con la Francia, un po' pd nuovi trattati, sebbenè pallidissima copia di quello dd 1881 1 più per la trnacia al lavoro anche in onta a tanto voluto scompiglio del popolo italiano, ma una parte sola di quel commercio che da un maximum di 9i6 milioni era disceso a poco più di 300. C,ò poi non vuol dire che possano con· fortarci le cifre presenti dei nostri scambi internazionali, che raggiungendo appena circa l'ottava parte di quelli della Gran Brettagna, poco più del quinto di quelli della Germania o del quarto della Francia, ci lasciano troppo al di sotto del livello di tutti i popoli civili. E questo mentrè il grande e costoso sviluppo ddle nostre comunicazioni ferroviarie stradali e marittime, l'incremento dei nostri poni, i grandi lavori edilizii ed agricoli, e sopratutto l'aumento della popolazione avrebbero dovuto determinare uno sviluppo di traffici che ci sottraesse ali' onta e al danno di tanta inferiorità. Gli ottimismi degli uomini di governo passati e presemi che fecero capolino nella discussione del trattato, forse per prevenire i dolorosi ricordi d'una politica personale assai scorretta e così funesta la paese, furono dunque poco bene ispirati, e sopratutto dinanzi alla temperanza quasi eccessiva dei rappresentanti dell'Estrema, privati, è vero, di alcuni dei loro duci più autorevoli, per morte o per as· senza. E forse furono (i superstiti) indotti a così miti consigli dal lodevole desiderio di non appassionare il dibattito e di non fornire pretesti a una diminuzione di snffrag1 favon!voli nelle cieche urne. Però ciò che non fu detto alla Camera, eccetto che brevemente, ma con grande esattezza ed efficacia dall'on. Mirabelli non sarà inutile dirlo ora che il trattato è fatto compiuto, mentre non può giovare per alcun verso l'alterazione della verità storica che si ebbe a sentire in qualche discorso alla Camera, e che sopratutto si nota nell'ultimo articolo dell' on. Crispi. L'on. Chimirri non contento di esaltare i suoi trattati del 1881 e 1892 con le potenze centrali che, in realtà, salvo la clausola del vino con l'Austria, la quale ci fu anche prima, avvantaggiarono di ben poco le nostre esportazioni, volle giustificare anche il colpo di testa della denunzia e l'altro della rottura del trattato, asserendo che la denunzia che fece il Governo italiano nel 12 dicembre 1886 l'avrebbe fatta altrimenti il Governo della Repubblica. L'asserzione, come ben disse l'on. Mirabelli, è arbitraria: il fatto è che si era giunti a pochi giorni dalla scadenza, e la Francia tanto assetata di protezionismo, raggiunto la cifra di 1,114,830,639 sono arrivate a 1,223,181,904, ma anche le esportazioni che erano a 1,091,734,230 nel 1897 si sono spinte a 1,203,569,304. Se questi aumenti si accentueranno, e giova sperarlo col nuovo trattato, avremo una mi!l?re sperequazione cogli altri Stati civili e un incremento pos1t1vo di attività e di benessere, anche malgrado il punto nero che si può notare nell'aumentata eccedenza delle importazioni.
'R..IJTISTAPOPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI secondo l'on. Crispi non aveva pe:1sato alla denunzia, nè è credibile che l'avrebbe fatta. E la ragione prima si rileva dalle parole pronunziate dal signor Meline in questo argomento autorevole in Francia non meno del Governo, il quale nel 15 decembre 1887, come relatore della legge che modificava i dazi doganali, in vista della rottura italiana diceva che sui 2 n articoli che comprendeva il trattato del 3 novembre 1881,48 soltanto erano speciali all'Italia, gli altri erano pur vincolati con altri paesi, di guisa che la denunzia del trattato italiano non avrebbe cambiato sensibilmente la situazione economica generale- In realtà la Francia aveva tutto l'interesse ad attendere l'epoca in cui scadendo gli altri suoi principali trattati avrebbe potuto attuare la nuova tariffa a•;tonoma voluta dal Meline e suoi, e questa epoca coincideva anche con la vera scadenza del trattato italiano, che sarebbe rimasto in piedi, senza la denunzia del Conte di Robilanr, fino al 1° febbraio 1892. Queste avvertenze dimenticava e11identemente l'on. Chimirri parlando alla Camera il 25 gennaio scorso, e ancor più le dimentica l'on. Crispi nd suo articolo della Rivista d'Italia, 15 fobbraiv, al quale e per il nome dell"autore e per Li incisione delle frasi che produssero qualche impressione, giova principalmente rispondere. . •• L'oa. Crispi comincia col prendersela col trattato del 3 novembre 1881 che aveva portato le nostre esportazioni in Francia fino a quasi 500 milioni (oggi sono a meno di 1;0) ma che aveva secondo lui sollevato lagnanze in Italia come in Francia. In Italia invece non si lagnavano che gli esportatori di bestiame, la qual voce fu impossibile con· venzionare per tema delle importazioni americane anzichè italiane in Francia; e per l'appunto quando si discusse !J tariffa del 1887, lo scrivente potè provare alla Camera che in Italia le importazioni bovine, ebbero quell'anno a superare di qualche centinaio di mila lire le esportazioni! Che poi fosse la produzione agricola italiana in balla del fisco francese, cote ;u sola eccezione non basta davvero a dimostrare, mentre la qu1si totalità delle nostn:: esportazioni in Francia, che giunse a costituire fino il 60 per 010 di cote3ta parte dei nostri scambi, si componeva di prodotti agricoli. E basti il dire, che l'esportazione dei nostri vini in Francia spintasi fino a 2,800,000 ettolitri ai 1887, rappresentava quasi il doppio di cotesto nostro commercio attuale. La verità più effettiva poi era che invece che delle inondazioni francesi con verosquilibriodei commerci, come dice l'on. Crispi, la bilancia commerciale con la Francia ci fu sempre in favore di più che 100 mil/oni, e si oltrepassò anche i 200. É assurdo dopo ciò il pretendere che le lagnanze sul bestiame determinassero il Conte di Robilant a denunziare il trattat0. La decisione fu imposta dalla Triplice da un lato, dalle esigenze non meno possenti dei sindacati industriali Jall'altro. Di questi erasi fatto strenuissimo d,fensore nel Ministero Crispi, l'oo. Vittorio Ellena ass·mto al sottosegretariato di Stato del M nistero di Agric••ltura, ma con poteri ed influenze di gran lunga superiori a quelli d'un Ministro. .. * * L' 0n. Crispi ci dice poi che la Repubblica mandò sulla fine del decembre 1887, i suoi delegati a Roma per riprendere i negoziati d'un nuovo trattato. Dimentica bensì di notare che prima i negoziatori italiani Luzzatti, Branca ed Ellena erano stati a Parigi dove appunto mentre si trattava scopp ò la bomba dd!a clamorosa visita del Prt'sidente dei Ministri italiani a Friederichsruhe. Ciò nondimeno es!:endo stati interrotti anche per altre ragioni i negoziati, la Francia consenti a ravviarli e a mandare a Roma un plenipotenziario esperto e conciliativo quale era l'ex-Ministro Tessereinc de Bort. Questi msistè per il mantenimento del trattato del 1881, fh.o alla scadenza del :892, dimostrando giustamente che ogni modificazione a carico d'una parte del commercio francese esigeva un compenso corrispondentt:. Le conferenze in .Roma però si chiusero colle inaccettabili domande del dazio sul bestiame, e colle dichiarazioni che stanno nella Nota 3 febbraio 1888 dell'on. Crispi all'ambasciator.: della Repubblica, citata dall'on. Mirabelli, e che conclude che il Governo del Re ha dovutopersuadersi che lepropostedel Governofrancese avrebbero per resultato la pro,oga pura e semplicedel trattato del J novembre188r, che gli intendimentiespressidalla Camera dei Deputati e le mie dichiarazioninon hanno ammessa(/) Rifare un trattato per soli 4 anni, quando se ne aveva uno che aveva portato a un maximum non mai raggiunto le nostre esportazioni non era forse null'altro che una dedizione completa a quegli influ,si stranieri che ispiravano ·con altri nomi le più eroiche ripugnanze, e anche pit'; alle p1essioni utilitarie di alcuni gruppi di produttori che miravano a fare di tutta Italia una vasta colonia per quasi esclusivo uso e consumo di una ristretta zona del paese? L'on. Crispi dice di aver accolto gli intendimenti espressi dalla Camera, ma chi non sa che a questa si fece cap;re che la tariffa del I 887 non doveva essere che un'arme pei negoziati, e che la imposizione d'una politica irosa e piena di suggestioni megalomane aveva condotto il Parlamento a renunziare ad ogni sua facoltà nelle mani del capo del Governo da cui si attendevano i più sfolgoranti succcssi politici ? Cosi soltanto il 29 febbraio I 888, poichè ali' on. Crispi piacque anche di respingere la proroga di sei mesi già votata dal Parlamento francese e ridurla a due, le Camere italiane in mezzo al più scenico .;pparato seppero che il capo del Governo aveva deciso di impegnare il paese affatto impreparato in una lotta, di cui doveva pagare tutte le spese la parte più vasta e più disagiata, alla quale, checchè dica !'on. Crispi, aveva il trattato del I 881, schiuso nuovi e brillantissimi orizzonti. Ma la Francia aveva chiarito i suoi intendimenti ostili col colpire del 100 per 100 i prodotti italiani soggetti a un dazio di entrata, e del 50 per 010 quelli che ne erano esenti, e questa tariffa promulgata il 31 decembre 1887 andò in vigore il 1° marzo 1888. Lt verità è che fu detto e anche dimostrato che la nuova tariff<1 italiana spauracchio che doveva divenire definitiva, era assai più elevata della tariffa generale francese allora vigente, e quindi il Go-
RIP'ISTAPOPOLARE'DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCJA.Ll verno della Repubblica fu autorizzato ad aumentarla fino al punto di raggiungere i dazi applicabili ai prodotti similari francesi in Italia, più a gravare del 50 oyo gli articoli esenti nella stessa tariffa generale. Invece l'on. Crispi nel 29 febbraio 1888 volle imporre un aumento del 50 010 su tutti i prodotti francesi, oltre l'altissima tariffa generale che andava allora in vigore, sicchè ben disse poi l'on. Branca che quella fu una seconda tariffa differenziale che stabili un regime assolutamente proibitivo a carico delle esportazioni francesi. Il sentito bisogno di alcuni di cotesti prodotti indusse ali' abolizione del 1890, la quale dette luogo ali' applicazione della -nuova tariffa generale per parte della Francia, non appena venne attuata nel febbraio 1892. Gli epiteti e i giudizì dell'on. Ctispi non suonano davvero ciò che più di esatto e di equanime possa attendersi da parte d'un uomo di Stato che fu più volte al potere e forse aspira a tornarvi. .. * * Quello che segui è noto, e fu rure accennato in principio di questo scritto. I paesi più cari all'oo. Crispi furono sopratutto colpiti da una crisi facilmente prevedibile, e specie colla sovrapproduzione vinicola eccitata cosi incautamente dallo stesso Governo mediante i più strani abusi del credito in quelle regioni. E fu principalmente tutta una co~- pagine finanziaria ed economica che perdè il suo primo punto d'appoggio al quale avrebbesi dovuto per lo meno assicurare una efficace sostituzione. L'on. Crispi dice che questa guerra di tariffe durata 10 anni fu nociva alle due nazioni, ed è vero; ma conveniva che chi aveva cura di governo, considerasse che il commercio coll'Italia rappresentava per la Francia, come notava il deputato Bourgeois del Jura, circa il 6 OJO dei suoi scambii, mentre per l'Italia il commercio francese ascendeva al 38 010 dei medesimi. Se dopo ciò il plenipotenziario francese venuto a Roma dopo Friederichsruhe - che ~econdo l'on. Crispi non doveva dar motivi di allarme, ma non poteva darli neanche di affetto - avesse cercato di attraversare la continuazione del trattato non vi sarebbe stato troppo a meravigliarsene specialmente poi dato lo stato degli animi in Francia, quale lo descrive l'on. Crispi; ma invece fu precisamente il contrario. Certamente quello che si aggiunse dopo, cioè la vertenza per la successione di Hussein a Firenze, il dissidio a Massaua, di cui parla l'on. Crispi, le parole minacciose alla Camera, di cui non parla, non potevano agevolare la ripresa delle trattative soprattutto essendo venuti in chiaro i danni molto maggiori risentiti dal più debole. Sarebbe stato troppo il pretendere che dopo che dalla nostra parte era partita prima la denunzia, poi la rottura definitiva, lasciando stare altre ben note asprezze testimoniate anche dall'ultimo scritto, fossero i francesi tornati a proporci ciò che conveniva a noi anche più che ad essi. L'on. Crispi cita le parole che avrebbe detto il Tessertinc de Bort all'Ellena sulla impossibilita d'un accordo tra la Francia e l'Italia finchè durasse la Triplice. Ma dopo quanto ripetutamente propose nelle conferenze si deve intendere che l'ostacolo per lui si riferiva all'Italia più che alla Francia. Non era poi serio, diciamolo pure, il riprendere i negoziati quando tutti i disastri scatenati in tanta parte d'Italia non rattenevano più tardi l'on. Ellena, divenuto anche Ministro ,.IelleFinanze, dal dichiarare alla Camera, nella discussione del trattato colla Svizzera, che se la Francia avesse voluto concederci la tariffd minima, egli si sarebbe appena degnato di accettarla non tenendosi obbligato ad alcun correspettivo ! Quos vult perdere ecc. ecc.! C:on tali collaboratori bensi l' on. Crispi può aver diritto a qualche attenuante nel grave giudizio della sua opera al r 888. Nulla dirò della questione di Tunisi che porterebbe troppo in lungo. Niuno può affermare quello che sarebbe seguito se fosse rimasto al potere nel 1896 l'on Crispi. Forse non si sarebbe stipulato il nuovo trattato tunisino nè il nuovo trattato di commercio, ma non si sarebbe nemmeno fatta sgombrare Biserta e Tunisi ai Francesi. E allora? se non la guerra si avrebbe avuto gran parte dei danni che essa cagiona, nè ~i sarebbe accresciuto il nostro prestigio non facendola soltanto per quelle semplici ragioni che adduce !'on. Crispi ,che cioè il nostro esercito e la nostra flotia non sono ancora ordinati! E in tali condizioni non val meglio avere tutti i benefizii della pace corupreso il piatto di lenti, che per l'oo. Crispi raffigura il modesto trattato di commercio attuale ? ~ L. DILIGENTI Deputato al Parlamento QUARANTASDEISCOR.S.:.I Ladiscussionpearlamentaresui provvedimeurteiazionari. Con enormi maggioranze, di 200 e più voti per ciascuna votazione, la Camera l'ha data vinta al governo di Pelloux, e a chi lo conduce e lo comanda. La tendenz..a, - la più aperta e decisa tendenz..a - per una repressione proprio sistematica e « come si.deve » - ha avuto la sanzione la più cordiale, la più esemplare da parte di quattro quinti della Camera. A che farsi illusioni sulle seconde letture, sulla forma definitiva degli articoli delle « leggi di Febbraio » ? Per quanto sia regola del jure che la « forma è il fondo », qui siamo invece in piena eccezione. La forma sarà poco meno di nulla: la sostanza è, e sarà, che il P.arlamento italiano ha approvata, incoraggiata, sanzionata la tendenz..a di queste leggi, cioè il novo ordo, o meglio il restaura/io ordo, in cui sentono il bisogno di mettersi gli istituti politici sorti in Italia coi plebisciti del I 860. Chassez.l.e naturel, il revient au galop, dicono i nostri buoni vicini. Talvolta, invece del galoppo si tratta del trotto e magari del passo: ma il « naturale » ritorna sempre. L'aveva previsto Mazzini sin dal 1860; lo aveva detto anche Carlo Cattaneo; e, attraverso le loro grandi illusioni, lo intuivano, lo comprendevano del pari Garibaldi e Cavallotti. E così fu. Ci misero è vero quarant'anni; ma, un po' al trotto, un po' al passo, con molta sapienza, con assai perseveranza gli « istitnti ,, dei plebisciti stanno per riprendere il loro « naturale. » Si può dire, anzi, che, a diversi acconti, l'hanno già ripreso. E, in fondo in fondo, è logico, è umano che sia cosi. Gli istituti politici e sociali sono quel che sono. Pretendere da essi qualsiasi cosa piccola o grande, ma contraria alla loro storia, alla loro tradizione, alla missione
'R_IJTISTAPOPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI che hanno sempre esercitata, alla ragione stessa della loro esistenza, è pretendere l'assurdo. Ora, combattere coll'assurdo vuol dire incamminarsi a uscirne presto o tardi con le costole rotte: e in tal caso la rottura delle costole non si può davvero impu• tare soltanto ali' assurdo: ma anche, e in maggior misura, a chi ha creduto di poter scherzare con le cose serie. Questo ha voluto fare il popolo Italiano nel 1860, nel 1866, nel 1870: onde se ora ne es~e con le costole rotte, è proprio con sé stesso che deve prendersela, è proprio per suo conto che deve recitare il confiteor, e quale confiteor I Tanto più poi che agli istituti sullodati è arrivato questo bel caso: di vedersi più o meno pressati, sollecitati, quasi spinti, con rispettosa violenza, ad affrettare non , più ìl passo ma addirittura la corsa verso il loro antico « naturale. " Che più? Mentre tali istituti si accontentavano del cinquanta o del settanta per cento, certo per fare le cose più a modo, - hanno trovato invece della brava gente che implora per essi il cento per cento e più ancora se possibile: magari il mille per cento. * * * Questa almeno è l'impressione genuina che ogni italiano di buon senso dovrebbe avere provata leggendo i resoconti delle discussioni svoltesi alla Camera dal 18 Febbraio fino a questi giorni, intorno ai noti progetti di legge sulle associazioni, sulle riunioni, sulla stampa, sulla militarizzazione e sui recidivi. S. Barzilai, nell'ultima puntata di questa Rivista, ha sintetizzato il valore giuridico di quelle proposte di leggi. Nondimrno di qualche interesse possono riuscire, ancora oggi, alcune linee di vivisqione, sul significato delle discussioni stesse e sul valore sintJmatico di tutta quella immane congerie di discorsi, di quello straripamento di eloquenza, paragonabile appena a un fiume indiano. - Lo sappiamo, ci o,serverà qualcuno: parole, parole, parole! - No, caro amicq: questa volta non si tratta solo di parole: perchè dietro a quelle parole stava e sta nn pensiero, e dietro a quel pensiero un'azione, della quale non tarderemo a sentirne gli effetti. « Vivise~ioniamo " dunque un po', se ci si permette il vocabolo. Ascoltando o leggendo i dibattiti di quel torneo, ogni osservatore imparziale deve aver convenuto in questo: che i sostenitori dei progetti reazionari erano anzitutto ben sicuri del fatto loro, e quindi che parlavano tanto per parlare, solo in omaggio al formalismo parlamentare, prescrivente_ che sulle leggi in discussione parlino, alternantisi, gli oratori favorevoli e contrari. Se no, non si capirebbe davvero perchè circa venti oratori fra deputati e ministri si siano scomodati ad aver l'aria di sostenere e difendere le leggi reazionarie. Tanto valeva votar subito, mettendo senz'altro in linea i trecento voti della maggioranza governativa. E invero: forse che ci fu una correlazione qualunque fra gli argomenti addotti in favore delle leggi dai venti oratori della destra, del centro e della sinistra ministeriale, e quelli addotti contro dai ve:itisei oratori dell' estrema sinistra? Mai più: anzi sotto questo punto di vista lo spettacolo offerto dal Parlamento è stato qualche cosa di eccezionalmente fin de siecle. Gli oratori repubblicani, socialisti e radicali mettevano tutto l'impegno nel produrre contro le leggi argomentazioni rigorosamente esatte e precise dal punto di vista sia politico che giuridico, e la loro parola, anche quando assurgeva a calda trascinatrice eloquenza, era .però sempre meditata, riflessiva, ragionatrice. Gli amici nostri potevano quindi ritenersi autorizzati a credere che gli avversari - i difensori dei progetti - per quanto determinati a non cedere, li seguissero almeno sul terreno dei loro argomenti, e ribattessero, un dopo l'altro, i criterii della opposizione. Niente, invece, di tutto ciò. Gli oratori della reazione continua vano a parlare per conto proprio: a rivolgersi a tutt'altri che ai loro contradditori; a indirizzarsi a una specie di pubblico assente, fuori dell'aula, col quale mostravano d' intendersela molto bene, e dal quale ben sapevano di essere approvati e applauditi. * *,,. In verità abbiamo sentito molte volte comHatire le assemblee delle nostre modeste associazioni popolari, perchè, si dice, la parola degli oratori non è quivi sempre ornata, e le discussioni talvolta sono· apparentemente sconnesse. Or bene: in tutta coscienza e senza esagerare in nulla, noi possiamo asserire che queste assemblee, dalle discussioni compatite e bonarie, in fatto di serietà, di ,logica nelle discussioni, di coerenza nelle deliberazioni, e soprattutto di sincera dignità di contegno, si lasciano invece indietro, e di molto, certe assemblee legislative di nostra conoscenza. E ci si scusi la digressione. * *.. Tornando ora alla giostra parlamentare fin de, siècle, come non provare tale impressione, quando si rileggono i discorsi degli oratori favorevoli ai progetti di repressione? l\fa a chi si rivolgevano essi, a chi supponevano mai di darla a intendere? Ai loro colleghi, o alla pubblica opinione intelligente del paese, forse? Ci par difficile: anzi riteniamo che non lo pensassero neppure essi stessi. E, invero, potevano mai supporre di parlar sul serio il Majorana e il San Giuliano, quando sostenevano che le leggi repre~sive si dovevano approvare, anche se contrarie allo Statuto, perchè, in fondo, lo Statuto dev'essere pur suscettibile di progresso, e non deve intendersi come come una muraglia della China? Proprio dai loro pulpiti tutta questa grazia di Dio? Così che, per una magra volta in cui i partiti esttemi si erano messi a difendere lo Statuto, come superstite tavola di sai vezza nel generale naufragio, eccoli a sentirsene rimproverare siccome colpevoli di tendenza reazionaria, proprio da coloro che gli Statuti e gli istituti politici rispt:ttano e fingono di servire, solo in quanto questi si adattano ad essere strumenti di dominio per la loro classe. Ah, lo Statuto non è, dunque, immutabile! Ma allora se voi lo volete cambiare per ritornare ai metodi borbonici e austriaci - ante 1859 - perchè non si potrà riformarlo anche, per il verso opposto, fosse pure per mutarne in senso radicale i primi dieci articoli? Nondimeno il Majorana e il Di San Giuliano fu proprio con tali argomenti che apersero il torneo. Qual meraviglia, quindi, se, data una simile sinfonia, gli oratori susseguenti della reazione - massimi e minimi - si sono poi sbizzariti nella più éclatante eccentricità... legislativa? Ecco per esempio il Sonnino, il quale per serbare l' ii plomb scopre che, oggi come oggi, le leggi attuali sono insufficienti a salvaguardJre l'ordine pubblico. Eppure lo stato monarchico italiano è ben da ormai quarant'anni che esiste, e di burrasche ne ha attraversate a josa. A parte che dal 1860 al 1894 l'arsenale delle leggi repressi ve è andato fornendosi delle armi più raffinate e insidiose per militarizzare, senza parerlo, il sentimento pubblico, come può reggere la trovata del Sonnino, di fronte al ricordo delle agitazioni veramente rivoluzionarie che scossero poderosamente il paese all'indomani di Aspromonte, ali' indomani della Convenzione di Settembre e dei fatti di Torino nel 1864, all'indomani di Mentana, e più avanti ancora nel periodo del processo Lobbia nel 1869, e finalmente nel 1870, quando la rivoluzione minacciante all'interno spingeva Quintino Sella a imporre l'occupazione di R,oma r
326 'f{_IVISTA POPOLARE 'Dl POLITICA LETTERE E SCJENZE SOCIALl Forse che l'on. Sonnino si presume ancora tanto giovane da ritenersi dispensato dal conoscere questi avvenimenti? Ma, on Sonnino, almeno la storia contemporanea un legislatore deve pur conoscerla, col sussidio non foss' altro dei giornali vecchi e delle biblioteche ! Or bene: le leggi politiche furono sempre rit~nute bastevoli prima e dopo tutte quelle agitazioni; e soltanto oggi se ne trova l' insufficienza? Forse che le istituzioni si ritenevano allora più sicure in mezzo al popolo, pur agitato e tumultuante? O forse che oggi l'on. Sonnino opina diversamente a tale riguardo ? L'illazione - per quanto logica - sarebbe tutta sua, dell'on. Sonnino, e noi gliene lasciamo intera la responsabilità. Non ci riguarda. Ma, francamente, son proprio cose queste da andare a lasciar trasparire alla Camera, da chi é in pectore un prossimo futuro Presidente di S. M. ? •:t ❖i' * Il Sonnino, poi, volle completare la sua difesa, rimettendo a novo uno dei più antiquati sofismi della reazione. « Me~lio una legge chiara, che non una vaga e soggetta ali arbitrio » disse. « Quando avremo fissato bene ciò che è concesso e ciò che non lo è, potremo essere anche clementi coi responsabili del passato, e vivercene tran:i_uilli ». Soltanto, per l'on. Sonnino e pei suoi amici, le leggi chiare sono quelle che proibiscono tutto, dovunque e comunque. E allora crediamo anche noi che egli e i suoi amici potranno sperare di non aver altre seccature al governo. Non vi saranno più arbitri, soltanto perchè, in forza delle nuove leggi, i cittadini italiani non potranno più nè pensare, nè stampare, nè associarsi, né riunirsi senza il preventivo beneplacito del Governo: il quale beneplacito non sarà dato più a nessuno, ci vuol poco a capirlo, tranne che ai Circoli Savoia e alle Congregazioni religiose, come argutamente faceva rilevare il deputato Gallini. Eppure è con tali ragionamenti che il leader dei conservatori italiani pensò di difendere alla Camera le leggi reazionarie. Abbiamo, dunque, del tutto torto quando diciamo che codesti signori non parlavano nè per la Camera, nè per la parte intelligente del paese? Quel che volevano lo si sapeva e lo hanno ottenuto: ma non avranno certo pensato d'esser_ presi sul serio in linea di argomentazioni legislative. E vero anche che oramai non se ne danno neppur pensiero. * * * Nè qui si fermarono le « eccentricità », chiamiamole cosi, degli oratori reazionari. Che fior di patrioti sono essi mai, e come tengono al decoro e al prestigio dell' Italia, ali' interno e all'estero! A sentirli, in meno di due o tre anni l'Italia è diventata un covo di malfaaori, di briganti, di delinquenti nati, di degenerati. Non si salva più nessuno, stando alle loro descrizioni. E la stampa e i giornalisti? Una geldra di ricattatori, di scrocconi, di calunniatori, di diffamatori, coutro cui la restaurazione del cavalletto, del taglio della mano e della lingua sarebbero dei provvedimenti appena appena, si e no, sufficenti. Anzi addirittura insufficienti, perchè, visto che i giornalisti in fondo in fondo pagan sempre di persona, e ormai vanno in carcere, ci sia o non ci sia il gerente, con istoica filosofia, gli oratori reazionarii della Camera si sono mostrati generosi in fatto di pene personali afflittive, e hanno invece suggerito la confisca e la cauzione estesa fino al tipografo, e magari anche al fonditore, alle cartiere e agli operai che vi lavorano, rei di fabbricare, magari a mille chilometri lontano, quegli esacrabili strumenti di reato che rendono possibile la pubblicazione dei giornali. Nè si chiedano i lettori se siamo diventati matti ad esagerare così. Nessuna esagerazione. Si leggano i discorsi del Gabba del Lucchini, del Torraca, e si vedrà come non v'è ombra di alterazione nelle nostre parole. Ma il record delle eccentricità si può dirè l'abbia riportato l'on. Colombo - il cdebre ministro della lesina - il quale, pur dimostrandosi scettico riguardo all'dncacia delle leggi repressive, perché nessuno poi - dice lui - osa applicarle, scappò fuori a dire che in Italia ormai " ai soldati è solo permesso di farsi ammazzare ». Testuale, dal resoconto stenografico. Sembrerebbe uno scherzo se dopo i fatti di Maggio, dopo la tragedia del giovane Mussi a Pavia, dopo i fanciulli le donue e i vecchi spenti a Milano, tutto ciò non sapesse di macabra ingenuità. Eppur tutto questo fu detto alla Camera italiana, nella forma più parlamentare possibile, per sostenere i progetti reazionari e sopratutto per aumentare .... il prestigio degli italiani all'estero. * •• Dopo ciò che mai rimaneva a fare, che mai potevano dire i deputati dei partiti popolari? . Discutere con chi non vi risponde? E come picchiare sui materassi. E non di meno, tutti i nostri amici delle Estreme presero il loro coraggio a due mani, improvvisandosi - in mancanza di meglio - difensori delle leggi esistenti, propugnatori delle libertà statutarie. Il caso era nuovo. Chi l'avrebbe loro detto soltanto pochi anni sono ? Ma questo era il compito che le circostanze loro imponevano: e questo compito sostennero con vigorosa potenza di logica, non mai scompagnata da alta serenità di contegno. Ciò va loro riconosciuto senza sottintesi nè riserve, in ragione appunto dell'abnegazione di cui dovettero e seppero dar prova, pur conoscendo anticipatamente che il prendersela con la tendenza del Paria mento attuale e de' parlamentari avversari, gli era come imitare un po' il Don Ferrante dei « Promessi Sposi " quando, incalzato dalla peste, se la prendeva con le stelle. Memorabili resteranno du 1que i loro discorsi , e tali da onorare qualunque libera tribuna. Ma cui bono tanto valore? Ben potè il Lazzaro mettere ancora una volta a confronto i fatti di Bari con le tragiche favole di Milano; - potè il Pantano ricordare i sapienti sacrifici sempre fatti dalla democrazia nelle ore supreme del paese; - poterono il Tecchio, il Girardini, il Gallini dimostrare tutto il substrato di subdolo, tutta la rovina del pubblico diritto e dei patti statutari da cui eran intessuti i progetti reazionari; - poterono il Barzilai, il De Nobili, il Mazza con implacabile arguta ironia dimostrare come gli stessi progetti mentre da un lato esautoravano la magistratura nell'onnipotenza che sancivano all'arbitrio poliziesco,dall'altro, col tranello del famigerato articolo 247 del C. P., fornivano al governo il mezzo di trattare qualunque avversario politico come un delinquente comune, carcerandolo, deportandolo e privandolo dei diritti civili e politici; - poterono il Socci, il De Felice, il Lojodice rivendicare con commossa facondia il decoro della classe dei giornalisti, esposti all'odio e al disprezzo del paese degli oratori avversari, e trovare apostrofi eloquentemente ammonitrici contro la paura e lo spirito di ven - detta da cui sono invasi i potenti dell'ora, richiamando loro l'esempio delle passate precipitate dominazioni;- po• terono il Galimberti, il Maggiorino Ferraris e il Lncca, nel loro ancor verde buon senso subalpino, gridare ai loro Hessi amici conservatori « badate ai mali passi - non tirate troppo la corda: a buon conto noi ci appartiamo da dei pazzi furiosi come voi minacciate diventare "i - poterono il Sacchi, il C. Del Balzo, il R. Luz-
\ I RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI 327 zatto tentare di persuader i contradditori cogli esempi della storia anche contemporanea, e di richiamarli alla ragione nell'interesse medesimo delle classi dirigenti;-po• terono il Costa, il Ferri, il Bisso\ati ricordare che quanto più accanita sara la persecuzione e la ceci1a contro ciò che è fatale e ineluttabile per legge di progresso e di scienza, tanto più minaccioso ed espiatorio sara il dì del giudizio e del risveglio; - potè il G1ttorno porre l'aut aut del ritorno ai tempi, che s'eran creduti archiviati nelle memorie delle ardimentose riscosse; - potè il Vendemini parlare di Costituente e di Patto nazionale, come estrema risorsa contro la sopraffazione dilagante; - potè, infine, il Bovio, rammentare al Parlamento la spada di Garibaldi e i « Doveri dell'Uomo » di Giuseppe Mazzini... .. ma con qual pro ? Tutto fu inutile contro la tendenza che si voleva proclamare, e che era nell'aria da mesi e mesi. E la « tendenza », sventolata trionfalmente dal Prinetti, fu votata quasi con impaziente frenesia da ben 310 legislatori contro pochi e racimolati 93. • ,. ,. La « tendenza » dunque, è passata e fara la sua strada, fino al compimento della parabola. Quale la conclusione? Noi non diremo che il popolo italiano sia peggiore del Parlamento che egli stesso vuol darsi. Il popolo italiano - a parer nostro - è migliore ass1i della fama che gli eventi sembrano volergli creare. Gli altri popoli, come l'anglo-sassone, come il francese, come il tedesco, sono arrivati alla presente loro maturita politica, dopo aver lottato per secoli onde costituirsi a indipendenza, onde darsi una personalità nazionale: e sono nazioni indipendenti da secoli. Il popolo italiano, invece, è risorto egli pure dopo una lotta epica, romantica, quasi favolosa di cinquant'anni: ma dietro a lui stavan tre secoli di oppressione, di servitù, di intorpidimento di coscienza e di intelletto nazionale. O ;correva, quindi, che, nel giorno della grande miracolosa risurrezione, il popolo italiano avesse potuto pensare a tutto ciò, provvedendo per una rotta ben diversa, e quale invano il suo redentore - che a Staglieno attende e spera ancora - affannosamente gli addita va. Al contrario, quasi infatuato, o fors'anco esausto del supremo e sovrumano sforzo compiuto, prese ... un dirizzone. E n'è avvenuto quel che doveva avvenire. Ora non è in trenta o quarant'anni che si può rimet• tere in sesto una spina dorsale deviata: a meno di ricorrere a rimedi sovrani, riprincipiando daccapo. E pensare che ci credevamo tanto avanti! Pensare che, ancora due anni sono, i partiti popolari cozzavano tra di loro come tanti milionari annoiati. E ora? Ora i nostri deputati più estremi, per fare qualche cosa, sono costretti a richiamare il Governo... al rispetto dello Statuto. Il che è quanto dire che tutto è da rifart>, a cominciare - come ammoniva Mazzini -- dal cominciamento. Sarebbe tempo. FELICE ALBANI L'EMIGRAZIONE ITALIANEAGLSTI ATUINITI In vista della prossima discussione della legge sull'emigrazione, di cui la relazione è stata già presentata alla Camera dal nostro amico Edoardo Pantano, pubblichiamo questi due articoli che ci mandJllo da New Yorck due nostri egregi collaboratori, perchè, senza saper l'uno dall'altro, da punti di vista e con sentimenti diversi, si completano nello studio del problema del!' Emigrazione italiana negli Stati Uniti. St>per molti paesi d'Europa l'emigrazione è un fenomeno necessario, per noi, non è ardito il dirlo, rappresenta un grande fattore di movimento nazionale. Le relazioni fra vecchio e nuovo mondo aumentano senza cessa: maggiormente i vincoli si stringono, più il problema dell'emigrazione diventa complesso dal punto di vista politico, economico e sociale. Un problema siffatto, interessando ugualmente lo stato da cui il movimento parte e quello a cui t:sso fa capo, dev'essere studiato e sciolto dall'armonia delle parti interessate. Senza ripetere cifre· statistiche, pur troppo note, mi limito ad un esame pratico ed obbiettivo, prendendo in considerazione speciale la nostra emigrazione negli Stati Uniti d'America. Quivi il nostro elemento non rappresenta se non forse la sessantesima parte della popolazione totale _dellacontrada: non è il più progredito, nè il meno. E in massima parte un elemento grezzo che ha valore economico inestimabile per le contrade nuove, capaci di sviluppo rapido, come l'America. Il mio giudizio sulla nostra emigrazione potrebbe forse esser inteso in senso partigiano, perchè è sentimento italiano che parla, cedo quindi il posto ad uno dei commiss1ri del Bureau of lmmigration, dal cui rapporto prendo i brani Sèguenti: ( 1) (1) Mùcella11eous 'Doc11111e1o1ftstl,e House of Represwlat-ive, for t/Jejirsl Sessio11of t/,e 52<l Co11gress. - (1891-92) << Sono famiglie, più che individui, in cerca di ventura: facce brune, mani callose, vigorose fattezze; se illette_rati, non stupidi, e se poveri, non accattoni. » « E genio di un popolo le cui istituzioni sono germe di moderni ordinamenti. « La razza latina (si intende parlare dell'elemento italiano, che oggi è quello di essa maggiormente rappresentato negli Stati Uniti) possiede qualità intellettuali ed industriali che si dimostreranno non senza valore nella fusione con l' Ameriean stock. » « Centinaia di Italiani mettono piede in New York senza una sola lira in tasca; tanto maggiore è il credito, che essi meritano, se giungono ad assicurarsi i mezzi di sussistenza. » Ho voluto riportare queste brevi citazioni c?me risposta a non pochi articolisti che giudicano con parole enfatiche di fatti e cose che non hanno mai viste. Quando l'ultima amministrazione di Cleveland era ne' suoi ultimi giorni di vita, fu proposto un bill proibitivo dell'immigrazione. Il Congresso l'approvò, Cleveland vi appose il veto e si dimostrò cosi un uomo liberale di fronte al protezionismo della maggioranza repubblicana. A quell'epoca l'emigrazione europea che più sarebbe stata colpita sarebbe stata la giudaica russo-germanica, l'italiana e la portoghese. Qutl bili ncn fu e forse per molti anni non sara legge; ma esso rappresenta per noi un monito, se non una minaccia, finchè persisterà l' attuale condizione di cose. Gli Stati del Nord-Est sono quelli che raccolgo~10 il massimo contingente della nostra emigrazione, perchè fin dai primi anni ivi essa fu attratta dalla straordinaria facilità di lavoro. Invero le immense rtti ferroviarie, i grandi opifici e le innumerevoli opere pubbliche compite allora richiedevano molte braccia per lavori di pura manualita. Quelli che oggi giungono si fermano ancora nel Nord-Est, perchè ivi è il loro congiunto o l'amico,
328 'f{.lVISTA POPOLARE D1 POLITlCA LETTERE E SCIENZE SOCIALl per mezzo dei quali essi sperano lavoro pronto ed il più profittevole possibile. Ognuno sa che gli Stati suddetti sono centri manifatturieri e minuari, e che per quanto la richiesta di braccia per comuni lavori manuali non manchi, pure essa non può accomodare le centinaia di migliaia che già vi sono, e tanto meno quelli che verranno. Le costruzioni ferroviarie e le altre opere pubbliche non sono su tanta vasta scala come per lo passato, mentre le braccia grezze aumentano; quindi la terra di adozione iii rende artificialmente poco adatta allo sviluppo delle attiyità del nostro emigrante. Questo in quanto all'elemento agricolo. L'elemento operaio italiano poi, che giunge nell'America del Nord, viene anch' esso dalle sezioni rurali, molto raramente dalle città; quindi è in generale inferiore alle richieste. Come in tutti i grandi centri manifatturieri, la domanda è per operai specializzati, perchè dalla loro specializzazione dipende la celerità e la perfezione del lavoro. Così la massa dei muratori italiaui non trovano lavoro fuori della muratura in pietra rozza, la quale è molto meno rimuneratrice della muratura in mattoni e in pietra da taglio e molto meno ancora del lavoro in gesso. li calzolaio proveniente dalle provincie non ha idea di una cajzoleria a vapore e della maniera di eseguirvi i lavori. E un operaio intelligente; ma non è possibile che sia perfetto senza essere stato prima mediocre. Se egli cerca dunque posizione in una fabbrica e vi è ammesso, gli sono affidati lavori secondari con un salario relativamente meschino. I bisogni della vita sono pressanti; necessariamente quindi non gli resta che accettare o aprire bottega da ciabattino. L' istessa norma, con le opportune variazioni, si applica su per giù agli altri mestieri. A queste condizioni di inferiorità si aggiunga l' ignoranza della lingua e in molti l'analfabetismo con tutte le sue conseguenze morali, e si tirino le somme. L'elemento che l'Italia fornisce ali' emigrazione è ciò non pertanto sobrio, laborioso, pronto al sacrifizio e, quantunque poco adatto, molto adattabile. Negli Stati del Sud e dell' Ovest esistono praterie sterminate e foreste selvagge che giammai videro uomo civile. Vi andrebbe il nostro agricoltore? Chi vuole esercitare agicoltura deve legarsi alla terra; invece molti dei nostri contadini mirano al mare sospirando il ritorno in patria. L'ignoranza favorisce la nostalgia, e questa previene !'attività e lo sviluppo del benessere. La densità della popolazione della maggior parte degli Stati è bassissi111a, ed essi sarebbero ben lieti di vedere popolarsi la loro contrada di elemento civile, e più lieti ancora se all'elemento negro p0tessero sostituire il bianco. La prospettiva per i volenterosi di colonizzare è lusinghiera. In molti punti il solo sboscamento pagherebbe il lavoro ed il costo della franchigia, restando la terra un extra premio. Molti Tedeschi e moltissimi Irlandesi innoltratisi nell' Ovest, hanno cosi costituita la loro fortuna. Dalla lettura dei documenti sulla immigrazione negli Stati Uniti mi sono convinto che quel progetto di legge non fu inspirato da nessuna considerazione preconcetta contro l'elemento italiano. In quei documenti si descrive l'emigrazione giudaica russo-germanica come pericolosa per la Confederazione. Dingley dice: « Non è facile esagerare lo squallore e la miseria di questi emigranti russi, isolati dal resto, perchè troppo bassi di fronte agli emigranti di altre razze, ed è impossibile guardare in quelle facce emaciate dalla fame, senza essere mossi a compassione. » li Console degli Stati Uniti a Glascow, dove la massima parte dell' emigrazione giudaica fa sosta in attesa dei vapori transoceanici, cosi scriveva nella sua relaxione: « Forse non vi è porto di imbarcazione per emigranti verso gli Stati Uniti, il quale abbisogni di investigazione più accurata, che questo ». L' emigrazione giudaica è composta in gran parte di gente senza mestiere e degradata dalla miseria ~ dalle feroci persecuzioni. Essa rappresenta un gran numero di peddlers, o venditori ambulanti e molte famiglie mendiche, che possono diventare un peso per lo stato che le accoglierà. Questa popolazione si ferma a preferenza nelle città e da una parte rovina il piccolo commercio, dall'altra dà un grande contingente alla criminalità. Perciò il commissario per l'immigrazione ammoniva che è giunto il tempo di mettere da parte le ragioni umanitarie, per cui queste vittime della persecuzione europea sono state fin'ora accettate nell'Unione, e badare più seriamente alla conservazione propria. L'arma principale di cui il bili si serviva per arrestare questa specie di immigrazione consisteva nello sbarrare l'entrata agli analfabeti. Ora, presentando la nostra emigrazione un numero rilevante di illetterati, anch' essa sarebbe stata colpita. È confortabile però che una tale condizione di cose diminuirà notevolmente negli anni avvenire, e quando le misure proibitive saranno adottate, i nostri emigranti non verranno cosi direttamente colpiti, come sarebbe accaduto al tempo di Cleveland. In ogni modo, se anche restrizione avverrà, il male che essa necessariamente produrrà, in certo qual modo sarà compensato dal vantaggio che la nostra emigrazione, per forza di cose, migliore di quello che è oggi, sarà più apprezzata e contribuirà ad aumentare la nostra stima all'estero. Parecchi anni fa mi occorse di leggere il resoconto di un discorso pronunziato da Nitti ali' inaugurazione della Scuola di Agricoltura in Portici. In quello egli fa. ceva un acuto esame della nostra emigrazione in America. Io divido in massima molte delle sue vedute, ma non saprei accettare alcune di esse, specie in riguardo all'emigrazione verso gli Stati Uniti. Si è detto e ripetuto spessissimo che la potenza degli Anglo-Sassoni, l ostilità degli Irlandesi, la concorrenza dei Tedeschi e Scandinavi, il precedente dei linciaggi siano argomenti sufficienti per ammettere che l'emigrazione nostra non avrà fortuna negli Stati del Nord, o, per lo meno, minore che nelle Repubbliche del Sud, essendo queste di origine latina, più adatte per clima ed a preferenza popolate da gente di minore attività fisica e intellettuale di noi. In ciò io vedo delle esagerazioni. Nell'America del Nord la razza anglo-sassone controlla la ricchezza del paese e i poteri dello Stato; ma ciò non ha impedito il pacifico sviluppo di altre razze. Anzi tutti gli elementi, che con essa sono venuti a contratto, sono stati da essa assimilati e fusi come elemento americano, eccezion fatta dei Chinesi. Prima che gli Ita• liani avessero presa la volta degli Stati Uniti, fornendo attività grezza all'intrapresa americana, .il loro posto e1a tenuto dai Tedeschi, dai Francesi del Canada, dagli Irlandesi. Da una parte questi cominciarono col tempo a specializzare il loro mestiere, l'intrapresa dall'altra aumentò, e l' Italiano fu necessario e quindi accettato. Se la domanda minaccia di diventare superiore ali' occupazione, che l'intrapresa offre all'attività grezza, non vi è in ciò nessuna ragione a preoccuparsene. Non de,·e dimenticarsi che gli Italiani, i quali offrono la loro grezza attività in lavoro alla giornata, sono i contadini che disertano le campagne del Napoletano e della Sicilia a preferenza. Non mancherà loro una posizione se essi, invece che al lavoro alla giornata, si dedicheranno ali' agricoltura; e l' elemento che sta alla somn;a della cosa pubblica li proteggerà. E dovrà farlo per doppia ragione. Prima, perchè nuova ricchezza sarà prodotta al paese per mano dei nuovi coloni; secondo, perchè legandosi alla terra, essi saranno legati alla famiglia americana, e se non essi, certamente i loro figli. « L'attaccamento dell'Italiano al paese d'origine è profondo e leale (dice il rapporto a cui più innanzi ho accennato), la sua adattabilità è grande; se egli giunge a perdere i legami con la madre patria, li acquisterà con la terra di adozione. La varieta di elemento rafforza la raz~a1 e siccome l'elemento latino contribuì non poco o I)
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