Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno IV - n. 16 - 28 febbraio 1899

RTPIST A POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALl offendendo, distruggendo la dignità e la personalità umana che si dimostra di amar il paese, di averne a cuore gl'interessi e il decoro ; e a chi nei fenomeni sociali guarda bene addentro e di ogni fatto ricerca e studia le conseguenze, non e oggi possibile, anche trascurando la grave ingiuria fatta alla giustizia, non fieramente protestare contro i presi provvedimenti, e ammonire che in tal modo assai male si provvede all'avvenire e alla prosperità della nazione. Il fatto odierno, che implica, senza dubbio, un'alta questione di principio, è pieno di conseguenze gravissime, fra le quali notiamo prime quelle d'ordine morale, tanto nei riguardi del maestro che degli alunni. Conseguenze che acquistano poi una grave importanza sociale, specialmente per il provvedimento adottato a Milano, ove si è colpito non solo chi, nei modi e nelle forme consentite dallo statuto e dalle leggi, ha usato de' suoi diritti di cittadino, ma pure altri che, per concorde testimonianza òi tutti, non hanno mai discorso nè trattato di politica. Ed è appunto di queste conseguenze sociali, che immancabili nascono da quelle morali nei riguardi dell'insegnante e dell'educazione, che noi vogliamo parlare, premendoci di mostrare verso quale abisso possano incamminarci certi metodi di governo, allorchè una inconsulta intolleranza di partito li ispira e li dirige. • * • Nessuno ce lo vorrà negare: gl'insegnanti sono uomini come tutti gli altri; hanno una mente ed un'anima, un pensiero ed un sentimento come ogni altra persona che non sia un matto od un degenerato; e perciò anch'essi avranno idee filosofiche politiche sociali religiose, le quali sentiranno talora il bisogno di esprimere, per le quali vorran pure qualche volta dire una parola, combattere una battaglia. Nessuno mai in una pubblica amministrazione si è sognato di negar ali' impiegato, che solo in ufficio è pubblico ufficiale e la cui carica non esige un dato modo di sentire e di pensare, quella ragionevole libertà che spesso si dice inviolabile patrimonio di tutti i cittadini e che, senza dubbio, è una delle condizioni indispensabili al progresso. E non lo si è mai fatto, perchè il più meschino buon senso ha detto su bito che simile pretesa è cosa contraria non solo ad ogni sentimento di giustizia e di dignità, ma anche agli interessi medesimi della nazione; non lo si è fatto mai, perchè si è subito capito essere cosa inumana e, diremo pure, impossibile senza una degenerazione del carattere. Difatti in tal modo si viene a distruggere quanto nell'uomo vi ha di più sacro, e a togliere dal cozzo delle idee e delle lotte per l'ideaie - per cui il mondo progredisce - tante energie e tanti entusiasmi: non è dato certo ad alcuno rinunciare, quandochessia e indifferentemente, al proprio sentimento e al proprio pensiero, che formano come l'essenza del l'essere nostro. • * * Orbene, in quali condizioni morali verranno per ciò a trovarsi i maestri? e di tali condizioni quali le conseguenze rispetto all'educazione e quindi anche alla società? D'era in avanti due spettri terribili - quello del licenziamento o dell'avvertimento riprensione diffida per ragioni politiche - saranno la spada di Damocle sospesa sul capo degli iasegnanti, i quali, per quanto ossequenti alle patrie istituzioni, sino ad oggi hanno pur pensato un pochino colla loro testa. E se consideriamo che questa classe di pubblici ufficiali, sopratutto per la non invidiabile condizione economica, non è certo quella più indipendente, quella che alla vita politica dà il maggiore contributo di uomini e di forze, facilmente ci possiamo render conto di quanto i maestri dovranno ancor più comprimere sè stessi, violentare mente ed anima. Saranno coiltretti a dar al loro pensiero, alle loro aspirazioni e speranze l' indirfazo voluto dal superiore del momento, e la loro opera dovranno uniformare agli interessi di questo o quel partito, di questa o quella chiesuola. Per cui preoccupazione continua e precipua dei nostri insegnanti, timorosi di offendere le opinioni e i sentimenti di chi sta a capo della cosa pubblica, sarà quella di pesar tutte le parole che, col cambiar delle amministrazioni, dovranno esse pure cambiai e contraddirsi e distruggersi magari. E non basta. Quale sarà la condizione del maestro fuori di scuola ? Evidentemente egli si troverà in questo dilemma : o rinunciar a pensare e, si può dire, a vivere, o esporsi ai fulmini dell'autorità, tenendosi pronto a cercar altrove, col pane, quella libertà di pensiero che in patria gli si nega e che pure è potente fattore della sua coltura e della fermezza del suo carattere. E pur troppo, giacchè anzitutto la vita ha bisogni materiali e lo stomaco è quel gran tiranno che tutti conoscono, la maggior parte degli insegnanti dovrà violentare il suo spirito ; dovrà, in omaggio a' suoi doveri di marito di padre o di figlio, chiudersi nel suo monco sorvegliato e mal retribuito ufficio. Solo i migliori ed i più liberi potranno emigrare, e cosi di,enterà maggiormente grave quella sventura, cui or non è molto accennava nella Vita Internazionale Cesare Lombroso, scrivendo intorno all'emigrazione dell'ingegno. .. * * Gli è chiaro che il maestro, il quale non sa e non può altrimenti provvedere ai bisogni della vita, non potrà più dedicarsi anche idealmente alle questioni che agitano la nostra società, agli studi moderni che la scienza e la scuola vivificano : perchè - appassionandovisi, prendendovi parte viva e attiva, sentendo nella mente e nell'anima un pensiero ed un sentimento capaci di portar nuova luce - facilmente - per un fatto psicologico contro cui gli ukase dell'autorità nulla possono - entrerebbe nel campo proibito, dal quale i nostri governanti, con quanta ones1à e saggezza non iappiamo, vogliono esclusi tutti gli insegnanti. Naturale conseguenza, pertanto, di questo stato di cose sarà il servilismo che il Sergi chiama altra forma degenerativa del carattere, della massima importanza individuale e sociale, poiche negli uomini servili, intesi qui nel senso morale. vi ha un cc oscuramento » del carattere prossimo all'abolizione della personalità psichica. « Il sentimento di compiacere ad una persona potente, scrive l'illustre professcre dell'Università di Roma, predomma, nell'uomo servile, su tutti gli altri sentimenti ; le sue azioni volontarie sono sottoposte principalmente a questo sentimento predominante. Chi si trova in questa condizione subordina ogni sua energia psichica a quella della persona cui è sottomessa, cui serve, e fonde cosi tutti i suoi sentimenti e le sue idee con quelli del padrone, perchè non sa pensare e sentire diversamente ». E continua: « li danno sociale del servilismo è che gl'individui che patiscono siffatta degenerazione nonsono atti a grandi azioni e specialmentesono incapaci di iniziative. Queste si generano nei caratteri inipendenti che hanno, perciò, una perrnnalità spiccata e distinta. E una conseguenza non meno dannosa segue da c:ò: la gente servile consideragli uomini di carattereindipendente assoluti padroni delle proprie energiepsichiche comeribelli, come ~ente inquieta, turbolenta,pericolosaalla societae ne é perciò la maggior nemica ». Ma pur troppo, è sempre Giuseppe Sergi che parla, questi pensieri non entrano nella mente dei rettori di popoli i quali « purche mantenganola disciplinae l'ordine come in un brancodi animali domestici » non hanno interesse a mantenere le persone di carattere spiccato, le sole atte al progresso, al perfezionamento umano d'ogni genere. Or dunque, quale opera di educazione sarà quella dei nostri maestri, i quali non potranno avere un carattere

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