Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno IV - n. 16 - 28 febbraio 1899

RIVISTA POPOLARE 'DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOClALl Ma considerando partitamente e nel loro insieme le manifestazioni tutte della vita contemporanea, molto più evidente diviene il fatto della decadenza, finora più intuito cd affermato, che dimostrato. Nelle società :tttuali tutto è decadenza : la politica e la morale, lo stato e la famiglia. Guardandoci d'attorno non scorgiamo che miseria, miseria nei cervelli e miseria nei cuori, inerzia nel!' intelletto e inerzia nelle membra. li fatto è molto più evidente nelle razze latine, per le quali ·si è già intonato il de profundis, e nelle quali pare che si sia quasi del tutto consumata quella somma di energia, che le fece assurgere a sommi splendori; lo è molto meno se si considerano le razze nordiche, arrivate da ultime nel gran teatro della vita. Questo diverso grado di evidenza ha prodotto il dispregio per i popoli latini, l'entusiasmo e l'osanna per i barbari del nord. Ma la differenza non è che apparente. Nelle razze latine il distacco fra lo splendore passato e la miseria attuale è enorme, in quelle nordiche questo distacco non può esistere con tale evidenza. Queste ultime sono razze che producono - si dice - che si espandono, sono quindi nella piena vigoria della vita. Ma la decadenza non significa già l'esaurimento della vitalità di una razza; il vasto impero latino decadde, eppure ciò non impedì che i Latini d'Italia, debitamente rinsanguati da altri popoli, dopo una lunga epoca trascorsa nel limbo dell' intelletto, arrivassero al cinquecento. I popoli uordici sono stati anch'essi attaccati dalla decadenza, che se non si rivela an.:ora - come tra i Latini - con la corruzione immensa della vita pubblica, si comincia a rivelare in quel malessere che invade a poco a poco la loro arte, in quella demenza di llfohi dei loro scrittori filosofeggianti. Ma cos' è dunque decadenza ? Non tenterò io certamente di dare una definizione di essa, fenomeno complesso quant'altri mai, e che mal si potrebbe inquadrare in una formula rigida e precisa ; vediamone piuttosto i caratteri più generali. In un'epoca di decadenza manca un ideale capace di indirizzare il lavoro degli uomini verso un utile reale dell'individuo e della società. Non già che facciano difetto ideali svariatissimi, che si vanno enunciando ogni giorno per mezzo dd libri pseudo 2 rtistici o pseudo filosofici, e che si affermano nelle varie forme dell'arte; ma quand'anche questi nuovi, strani e complicati ideali si raggiungessero, cosa si sarebbe ottenuto di utile? Gli è ben vero che spesso si vedono degli uomini volenterosi, che col loro lavoro assiduo arrivano ad una posizione invidiabilissima ed utile a loro; ma il loro lavoro in che è riuscito utile alla società? Per converso, altre volte si promulga una legge destinata a giovare molto metafisicamente alla nazione, ma di quale utilità sarà tale legge agli individui, se ne togli quei pochi che trovano sempre da guadagnare, sia che si debba aumentare il naviglio da guerra, sia che si debba provvedere ad una fornitura per un pubblico servizio ? E ciò produce la meschinità di un'epoca. Manca l'equilibrio tra l'utilità pubblica e la privata. L'utile del solo individuo è decadenza, lo è anche quello della sola nazione. Nelle pubbliche amministrazioni i funzionari ricercano soltanto il proprio vantaggio, e non sempre nei modi più puliti : il proprio utile ricercano i rappresentanti dei cittadini ; i governanti non hanno altro recondito ideale, e questo è uno dei caratteri dell'epoca attuale che è divenuta immoralissima nella sostanza, quantunque tenti di conservarsi monda nelle ipocrite leggi. È quasi regola per gli individui ottenere utili immensi per mezzo del furto, sia che questo venga consumato nelle forme per le quali incorre nel codice penale o nella leg!!e morale, sia che venga consumato in modo da oon sembrare tale. Dal ladro di piazza che ruba il portafoglio a un passante, risalendo via via per tutti i gradi del ladroneccio, per la cambiale non pagata e per il sacçheigio del pubbliço den;iro 1 si arriva fino a quel ladro intellettuale, che, giovandosi dei colpi di grancassa che l'imbecillità o l'interesse altrui gli profondono, trova il modo di smerciare migliaia e migliaia di copie di un suo libro ove non è scritto niente, a quattro lire la copia, commettendo una vera sofisticazione artistica, come un droghiere commette quella delle sut: derrate. Si raggiunge così la ricchezza o il benesstre, ma possiamo dire con Henry Becque che ai nostri tempi « !es grandes fortunes sont faites d' infamies, le petites de saletès. » Nè giova il dire che in ogni tempo sono stati ladri, malversatori del pubblico denaro, e letterati ridicoli; bisogna anche vedere in quale proporzione essi esistano nel nostro secolo. Un altro non dubbio segno di decadenza è il nioltiplicarsi spaventevole delle leggi, che s'incalzano t'una sull'altra, come le toppe su un abito cadente a brandelli. Fatta appena una legge si scopre un inconveniente di essa, che tosto si tenta rattoppare con un'altra legge, o con un regolamento, o con una circolare di un ministro. L'esuberanza delle leggi produce evidentemente una tale complicazione nella vita pubblica, che molto lavoro viene inutilmente sciupato. L'organizzazione sociale, come una vecchia nave in balia dell'uragano, fa acqua da tutti i lati, essa decade e forse il giorno in cui si inabisserà definitivamente nelle onde non è molto lontano. Nei periodi di decadenza sembra che una specie di pazzia si estenda su tutto un popolo. Viene ricercato dappertuttJ lo strano e il meraviglioso, e il pubblico applaude sodisfatto. All'inizio della rovina dell'impero romano gl'imperatori diedero sulle pubbliche arene spettacoli inauditi, spesso feroci, ma pur sempre grotteschi. Leggete piuttosto gli epigrammi di Marziale. I nostri teatri sono stati invasi dagli is,ni, e le rappresentazioni che in essi si danno sono meravigliosamente strane. L'arte degli autori e diventata quella del poeta secentista: È del poeta il fin la meraviglia, Cbi non sa far stupir vada alla striglia! Accentuandosi la decadenza, si sente quasi il bisogno di un grande bagno di metafisica, che per un certo tempo renderà piu fitte le tenebre. Nei primi secoli del Cristianesimo i cervelli si sbizzarrirono a loro agio, fu una vera orgia di metafisica e di d~menza. Ora - sembra quasi un paradosso - nel secolo delle scienze sperimentali, v 'hanno non dubbii segni di una tendenza ~imile. Essa forse non si è ancora molto bene concretizzata, ma si vanno enunciando delle astruserie religiose, mistiche, simboliche, che trovano dei proseliti. Uomini d'ingegno ripudiano la scienza, l'unica cosa che sin'ora - e forse non per molto tempo - si è salvata dal generale sfacelo, per affidarsi al loro intendimento personale, al loro criterio non sempre sano, considerando fenomeni e cose soltanto soggettivamente. Quante teorie non si sono enunciate più o meno chiaramente in questi ultimi anni! Non v'è novella, non bozzetto, specialmente nell'enorme produzione letteraria francese, che non contenga una teoria bella e fatta sulla felicità, sull'amore, sulla donna, sul vizio, sulla virtù, e cosi via. Son venuti alla moda così gli scrittori psicologi, i quali ci vendono come psicologia la loro patologia speciale! E come allo sfacelo della latinità, si sente il bisogno di declamare in pubblico e per il pubblico. Noi s'amo abituati a vedere dei ministri o clei deputati, persone di levatura comunissima, dalle abitudini ordinarie, intonare in pubblico con gesto eroico il: Suoni la tromba, intrepida.... Vi è la smania di recitare, come gli attori sul teatro, sul gran teatro della v:ta. Nessun crede affatto all'inno intonato, ma il gesto è stato bello, e si applaude. Gli entusiasmi per gli ideali, celebrati nei banchetti, :illa Camera, o nelle commemorazioni, fanno parte del copione della partitura politica. Calato il sipario e spenti i lumi, ministri e deputati se ne andranno tran,

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