'R,JVIST A 'POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI Questa gente che disprezza il popolo francese e non vede che un mezzo per rialzarlo - quello di dargli ..... che cosa? - Una testa di legno come Boulanger per padrone, o un piccolo Bonaparte, o un altro Cesare fog. giato da essi d'accordo con la corte di Russia ! ! Questi signori che credono che potranno arrivare a v:ncere una nazione così formidabile come la Germania _ con che cosa? Con dei piccoli segreti, con dei pezzi di carta ch'essi ruberanno quà e là, a mezzo degli abru• titi Sandherr, degli Esterhazy o degli Henry ! ! Oh! im• becillità di rammolliti ! Bisogna essere imbecilli per seguire un momento solo questi grandi preti delle corti marziali I per credere un momento soltanto che questi difensori dei tribunali di guerra vedano altra cosa che il loro dio - la tiratura dei loro giornali ! Un uomo che ama, tiene al di sopra di tutto, alla dignità di ciò che ama. Ma questi signori che si fanno piccoli, spregevoli, untuosamente spregevoli, per piacere a un Katkoff o ad uno Czar che li disprezza - è ciò che si oserebbe chiamare amore del suo paese? Amore da souleneurs, forse ! Ma certo non amore da patriotti. PIETRO KROPÒTKINE. ~~~ Laviolenczoamfaettodrellvaitasociale Recenti avvenimenti hanno data nuova occasione ad uomini e partiti politici e sociali di manifestare 'il loro modo di vedere e di contenersi circa a' metodi di condotta da seguire nell'esplicamento della loro azione e ali' impiego della violenza nell'accelerare o ritardare alcuni desiderati di giustizia sociale. Mentre si affievolisce l'eco delle semplici esplosioni di sentimento, e la reazione, con i suoi eccessi ciechi e irritanti, feconda e coltiva nuovi inevitabili atti di violenza; mentre stanno per passare nel dominio della storia i fatti che hanno dato luogo a dichiarazioni, fatte spessissimo in buona fede, e pure accolte, in malafede, con recriminazioni interessate; mentre tutto ciò avviene e passa, lo studioso delle forme e de' fenomeni della vita sociale ha un compito più preciso e più utile: studiare, da un lato, in qual maniera e per opera di quali agenti avvengono alcuni atti di violenza, e, dall'altro, quale azione questi riescano ad avere nella vita sociale. Mi occuperò un'altra volta della psicologia del propagandista di fatto e delle condizioni subbiettive, in cui si producono alcur:i atti. Intanto ne esaminerò, sia dal punto di vista morale che da quello pratico, il valore obbiettivo, lieto se, senza preconcetti, ma sperimentalmente, per virtù di fatti e di osservazioni, potrè mostrarne J'manità, e, più ancora, il danno sociale che ne deriva. I contrasti sociali si vanno rendendo sempre più acuti: tanto più è utile e indispensabile attenuare per quanto è possibile gli attriti; è può essere opera meritoria e proficua mostrare come .a loro risoluzione non ha nulla a guadagnare e molto, invece, da perdere per I' intervento della violenza di qualsiasi genere, dell'alto e del basso. E prima di tutto un alto criterio morale che discredita e interdice la violenza. E, quando parlo di morale, non intendo già riferirmi a una pure astrazione e a qualche cosa di trascendente, ma a un complesso di norme dell'azione, frutto dell'esperienza de' secoli e che realizzano le condizioni concrete secondo le quali la società può persistere e progredire. Uno de' caratteri e delle condizioni più rilevanti del progresso sociale è appunto l'eliminazione graduale della violenza, la quale perciò viene sempre più ad apparire come qualche cosa d'illecito e anti-sociale. Si oppone l'abusata e gesuitica teoria del fine che giustifica i mezzi; ma i mezzi illeciti compromettono spesso anche il fine buono. Inoltre nella vita sociale così complessa, risultante com' è di tanti e così vari fattori, con un fine remoto da raggiungere, i mezzi acquistano spesso il valore e l'aspetto di atti indipendenti, la cui relazione con l'asserito scopo buono può essere dubbia o menzognera, e debbono quindi essere valutati per quel che valgono in sè stessi e per quel che appariscono. Il metodo poi è immorale e pericoloso, perchè si vengono con essa a coonestare passioni che spesso degenerano e s' introduce nella vita sociale un rnbbietlivism.o capace di tutti gli eccessi. Non senza una ragione, nè senza un'evidente utilità sociale si sono venuti perfezionando nel corso de' secoli i metodi di risolvere i contrasti interni del corpo sociale, nè si può impunemente riportarli a un'epoca ornai oltrepassata. Un uomo, una fazione non possono da soli rendersi giudici di tutta una complicata situazione e pretendere di risolverla con un atto di violenza. Tale atto, in questo senso, da chiunque venga, è un atto di dispotismo che violentemente fa arrogare a qualcuno un'azione sociale superiore a quella che gli può competere come individuo, e il suo atto riesce a turbare rapporti universali e complessi che non dovrebbero essere turbati o impediti. La violenza finisce per evocare e fomentare la violenza, riescendo così a far perdere di vista il fine retto e giusto e sviando tutti dal retto cammino con l'acrimonia che solleva. La società si trova così, per opera diretta o indiretta di qualcuno de' suoi elementi, spostata fuori del suo naturale ambiente civile e trabalzata al livello di epoche che la civiltà ha oltrepassato. Negare dunque il carattere morale alla violenza usata come fattore della vita sociale, significa mostrarne I' inutilità e rilevarne il danno; perchè, come si è accennato, dal punto di vista della morale positiva, che cosa è un'azione immorale se non un atto, che per via remota e indiretta, con effetto forse non immediatamente visibile ma parimenti certo, mina l'esistenza o intralcia il progresso del corpo sociale ? Ma, anche da un punto di vista pratico, considerando gli effetti immediati, la violenza si discredita; e le ragioni che si adducono a favore dell'utilità sua sono facilmente contraddette. La storia ci mostra che tutte le violenze, sia d'ordine individuale che collettivo, non hanno nè esercitata un'azione durevole, nè determinato alcun sostanziale mutamento d'ordine politico e sociale. Quale regicidio, da quello di Cesare a quello di Alessandro II, è riuscito a reali:.1zare, in parte almeno, lo scopo che i suoi autori si proponevano ? Quali persecuzioni, da quelle dirette contro il Cristianesimo a quelle adoperate contro gli oppugnatori del regime assoluto e della dominazione stranier;;, sono riuscite a prevalere e ad impedire che avessero il loro naturale sviluppo i germi di nuove forme di coscienza e di nuove istituzioni ? Ancora, le più violente scosse del corpo sociale, dalle sommosse alle rivoluzioni più propriamente dette, hanno usurpato nella storia un'importanza assai maggiore della loro efficienza. Non è già che io intenda fare il processo alla storia e che, come un Dr. Paugloss in ritardo, pretenda che essa abbia fatto male a procedere per la via, per cui, sotto l'azione di cause necessarie, ha proceduto, e che avrebbe dovuto prenderne invee.: una più piana e meno irta di triboli. Queste scosse violente sono state l'effetto spontaneo e inevitabile, talora anche impreveduto, di uno stato di disagi e di contrasti sociali; ma non sono stati che episodi e incidenti della sioria, ch1: talvolta hanno precipitato una lenta ed intima eYolnzione, più spesso l'hanno anche ritardata. Valga di prova il fatto che a tutte le rivoluzioni più importanti ha fatto sèguito un periodo di reazione, durante il quale, senza volerlo e senza saperlo perfino, si è ripigliata quell'evoluzione più graduale e assidua, che
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