Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno IV - n. 15 - 15 febbraio 1899

RIVISTPAOPOLARE DI POLITICALETTERE E SCIENZ:ESOCIALI Direttore: Dr. NAPOLEONE COLAJANNI Esce in Roma il I 5 e il 30 d'ogni mese ITALIA: anno lire 5; semestre lire 3 - ESTERO: anno lire 7; semestre lire 4. Un nuinero separato s Oent. ,ao AnnoIV. - N. 15. Abbonamentopostale Roma15 Febbraio1899. SOMMARIO: On. Dr, EDOARDOPANTANO:Il 9 Febbraio 1849. LA RIVISTA: La viltà eroica della reazione italiana. PIETRO KROPOTKIN:E I panamisti del patriottismo. Prof. ETTOREC1ccOTTI: La violenza come fattore della vita sociale. Prof. MANFREDSI !OTTO-PINTOR:Intorno alle progettate aggiunte e modificazioni alla legge elettorale politica. SALVATORED1 GIACOMO: Pulcinella. On. Prof. ENRICOFERRI: Polemica personale. 'R..ivistadelleRiviste. - 'R..ecmsitmi. IL9 FEBBRAIO 1849c,) ------~~------- È una data solenne; una di quelle date che sono le pietre miliari della storia di un popolo. È un memoria? è una speranza? l'una e l'altra ad un tempo. In quella data memorabile sono consacrate due cose ugualmente grandi, ugualmente feconde - un Patto giurato col sangue, una Promessa raccolta da 27 milioni d'italiani. Tutta la grande epopea non è che là. Il sublime coraggio, gli eroici ardimenti che fecero più tardi delle mura di Roma le Termopili dell'italiana co• scienza, non sono che gli splendidi episodii, la con· sacrazioue solenne del 9 Febbraio I 849. Era scoccata la mezzanotte dell' 8 al 9. I rappresentanti del popolo rorr.ano stavano raccolti sin dal mattino in solenne adunanza nel Palazzo della Cancelleria. Discutevano i supremi interessi delL, patria, con calma, come si addice a persone serene, con co- (1) La proibizione delle riunioni popolari per commemorare l'anniversario del 9 Febbraio e il disegno di legge governativo inteso a restringere le pubbliche libertà - fra cui primissima quella della stampa - ci consigliano a riprodurre semplicemente le parole con cui, 22 anni or sono, il nostro collaboratore ed amico Edoardo Pantano rievocava sulle colonne del Dovere i ricordi di quell'epoca memoranda, senza che il fisco vi trovasse nulla ridire. · Del resto, d'allora ad oggi, questi anni passati sugli omeri del paese ne hanno perpetuate le miserie, solcando nell'anima popolare nuove e più tremende delusioni; e il linguaggio d'all'ora - che potrebbe essere quello dell'oggi - è ad un tempo ricordo e monito a coloro che dormono o facilmente obliano. N. d. R. raggio, come conviensi ad uomini liberi. Attorno ad essi, dalle tribune e fuori, nelle case e per le vie, vegliava la coscienza di tutto un popolo. I campioni delle mezze misure tentavano gli estremi mezzi per frenare lo slancio degli animi e indtbJlire la fede nella libertà. L'ultimo loro sforzo era compendiato nelle parole del Mamiani: « siamo noi maturi per la repubblica? » e l'Assemblea rispondeva con una frase dello stesso oratore « a Roma, o Papato o Cola di Rieozo ». Il vecchio sangue romano si ribellava ai codardi tentennamenti. Queste paure mascherate di prudenza, in cambio . di convincere irritano l'Assemblea. In pari tempo una lettera di Vincenzo Gioberti minacciava l'invio di truppe sarde per tutelare il Pontefice, e qualificava gli eletti del suffragio universale « un pugno di faziosi. » La tazza era colma - la sfida fu accettata. Alle 2 aut. del 9 Febbraio, in mezzo al più profondo silenzio, il presidente, Galletti, proclamò che il Governo assumeva il glorioso nome di Repubblica Romana. Immense, entusiastiche acclamazioni coronarono la voce dell'oratore. Al mattin0, il presidente Galletti, preceduto dalle bande musicali, circondato dai rappresentanti, dai circoli de111ocratici, dagli operai con le bandiere, saliva al Campidoglio, e di là annunziava al popolo che la repubblica tornava a ravvivare l'antica Roma. E questo grido ripercosso dall'eco di centomila petti commossi, rivendicava l'onta patita per tanti anni dalla sola bandiera che fece grande l'Italia. Segnò il patto che solo può collegare gl'italiani in una comunione di liberi affratellati - segnò la promessa di compierlo quandochessia - e la consacrò ùa parte sua col piu nobile martirio. E quel patto, quella promessa, furono intesi da tutta Italia. Giovani di ogni contrada Jella penisola vennero a fare olocausto della loro vita in prò della minacciata repubblica. Erano pochi, di fronte a nemici molto maggiori: ma erano belli ed erano fieri. Cosa importava a loro di morire? Essi erano venuti soltanto per ratificare il patto e la promessa votata dal popolo romano, non per tuteiare la propria esistenza; e le ratificarono a Villa Panfili, a Villa Corsini, a Porta San Pancrazio, al Vascello.

'RJfTISTA POPOLAREDI 'POLITICALETTERE E SCIENZE SOCIALl Cosa importava loro di morire ? Erano venuti a scrivere un poema ed a cantare un rnno sulle antiche e gloriose macerie di Roma repubblicana. Poi - volontari della morte - riempirono con le proprie ossa il sepolcro della libertà e vi segnarono sopra la formula del nuovo ineffabile riscatto, la Roma del Popolo nell'Italia del Popolo. Caddero I ma caddero dopo aver gettato la pietra fondamentale di un edifizio che bisognava erigere - i termini di un problema che bisognava ancora risolvere - l'edifizio dell'Unità, il problema della Libertà. Caddero come cadono gli eroi de Ile leggende modulando i canti soavi di patria e d'amore, inebriandosi di sacrificio, immortalandosi di coraggio. Caddero, ma caddero frammezzo ad un popolo che aveva saputo strappare, in pochi mesi, alle tombe dei Lsuoi padri, il segreto delle grandi Ìm· prese. ci vendicammo col tingere le zolle dei suoi campi di Borgogna del sangue generoso dei nostri migliori combattenti per la sua libertà. Però molto ancora ci resta da fare, onde raccogliere degnamente il voto dei caduti del 1849. Vi arriveremo noi? La nazione è calma alla superficie - inquieta al fondo. Vi é come un rimorso nella sua tranquillità che le impedisce di gioire in pace. Essa sente che la si deruba, ad una ad una, durante la sua apatia, di tutte le sue glorie, di tutte le sue pubbliche liberta. Sente che la si materializza per farle obliare il ricordo - e lo slancio dei progressi morali politici e materiali conquistati con tanti sudori. La sua quiete le sembra il prezzo di un'apostasia. Eppure è inerte! ... Dr. EDOARDO PANTANO. Laviltàeroicadellareazione italiana ~ Caddero circondati da fanciulli fatti eroi, da madri combattenti al fianco dei loro figli. Caddero dopo aver cementato nei giorni della Tardi, ma sempre in tempo, la stampa francese tutta sventura ciò che non avevano cementato nei gior- - ad eccezione, per noi assai gradita, dell' fntransigeant ni dello splendore. diretto dal rinnegato Rochefort - ha mandato « ai conCaddero col soffio potente <li amore e di fede « fratelli della stampa italiana un saluto d'incoraggiache dà la coscienza delle gioie fruite e dei dolori « mento e di simpatia per coloro che cominciarono e sofferti in comune. « continuarono la nobile e generosa campagna a favore Caddero, come si cade quando il sepolcro di- .. « dell'amnistia immediata e completa per tutti i conventa un altare e il lenzuolo funerario una han- « dannati politici italiani; e l' ha mandato credendo di diera. « non mancare alle convenienze internazionali interes- « sandosi della causa delle libertà e dell'umanità ». * * * Su-:"quel sepolcro, su quella bandiera, il popolo italiano non può nè deve riconoscere altro, fuorchè la splendida consacrazione di un'Idea - l'Idea repubblicana. Qualsiasi stemma di nobiltà impresso sulle ossa frementi dei caduti per la Repubblica, sarebbe una crudele ironia. L'ultimo dei superstiti dal tremendo disastro, e dalla leggendaria resistenza, avrebbe il diritto di raschiare dal tumolo contaminato l'insegna insultatrice. Dove sono ora tutti quei generosi che sopravvissero alla grande epopea ? Mentre alcuni fanno di quelle sacre memorie strumento alla loro ambizione, i più - quelli che nulla chiedono, nulla sperano - giacciono nell'ombra, tranne pochi ; per ricercarne la grande maggioranza bisognerebbe forse scendere a frugare nelle pareti affumicate de!le officine, nei ricoveri di mendicità, nelle sale degli ospedali, nelle case di lavoro, nei reclusorii, nei ree.essi oscuri del proletariato. Toccherebbe ad essi di elevare una colonna, un tumulo, una lapide al Vascello che portasse incise soltanto queste parole: ai Martiri repnbblicanidel 1849, i loro superstiticompagni. A noi tutti che abbiamo una fede ed un cuore - il debito di concorrere col nostro obolo ad elevare quella pietra che rivendichi dall'oltraggio gli eroi dormienti. Quasi 30 anni sono trascorsi dalla Repubbica Romana del 1849 a tutt'oggi. Molti eventi si sono compiuti da quel giorno. Una gran parte delle speranze cullate per anni si realizzarono per volontà di popolo. Della Francia di Bonaparte, che assassinò la Repubblica romana, È venuto lardi il saluto se si pone mente che la stampa inglese e belga ba preceduto di molti mesi l'atto di solidarietà della francese ; ma e arrivato sempre in tempo perchè è pervenuto io Italia nel momento più opportuno: mentre era più viva la discussione sull'amnistia. Come sia terminata la discussione tutti sanno, e ~arebbe cosa superflua ricordare la figura miserevole di quei deputati, che l'approvarono fuori e la respinsero entro Montecitorio. Questo fenomeno della doppia coscienza non è nuovo e non abbiamo bisogno di stigmatizzarlo adesso. A parte, però, ogni osservazione sul merito intrinseco dell'atto di giustizia che s'invoca dal ministero, noi crediamo conveniente ritornare sulla motivazione sbagliata e pericolosa data da molti all'ordine del giorno Riccio, col quale si faceva il comodo del ministero, che crede di pacificaregli animi colla cura continuata della galera, e con quella ripetuta del piombo se la prima non bastasse. Stoltamente si è ripetuto, dai ministri e dai loro degni accoliti, che la Camera non può e non deve inva• dere il campo riservato alla Corona, perchè l'amnistia è atto riservato esclusivamente alla generosità del Re, Noi abbiamo già ricordato che il nostro Mirabelli,illustrando ciò che aveva scritto un eminente professore di diritto costituzionale, il Mortara, aveva dimostrato che il diritto di amnistia può e deve essere discusso dal Parlamento. Adesso un valoroso giornale di provincia, La Nuova Sardegna, ha riprodotti lunghi brani di un eloquente discorso di Angelo Brofferio nel Parlamento su• balpino, in favore della legge per l'amnistia del maggio del 1848; legge che non fu combattuta dal Guardasigilli di allora, Conte Federico Sclopis - un giureconsulto che valeva, se non erriamo, l'on. Finocchiaro Aprile! - e che venne approvata quando erà Presidente del Consiglio Cesare Balbo - un conservatore autentico, che valeva, se non sbagliamo, dieci Pelloux. Quelli del 1848 si potrà dire che erano i tempi della luna di miele tra la monarchia sabauda e la libertà. Ma assai più tardi, quando non poche grinze eransi delineate sul viso della prima, nel 1870 e nel 1872, gli on. Rattazzi e Mancini - due sovversivi coi fiocchi ! - sostennero

Rl'l'ISTA POPOLARE 'DI POLITICA LETTERE E SClENZE SOC1AL1 esplicitamente la competenza del Parlamento, non solo nel discutere dell'amnistia, ma anche del diritto di grazia, ch'è un pò diverso. Il 2 r Giugno 1872, P. S. Mancini esplicitamente dichiarava : « Bisogna ignorare i primi rudimenti del sistema costituzionale per non sapere che anche le prerogative più sacre ed elevate della Corona si possono discutere, perchè s'intendono sempre esercitate sotto la responsabilità dei ministri. Fu quindi ognora incontestato nel Parlamento il diritto di chiedere conto del modo con cui essi han fatto esercitare alla Corona le sue importanti prerogative ». Ministri e deputati, dunque, che invocano il rispetto ai diritti della Corona danno un esempio clamoroso di ignoranza del diritto costituzionale; e fanno peggio, dal punto di vista monarchico perchè : « Coloro fra i con- " servatori, chetroppohanno insistito e insistono sulla pre- « rogativa sovrana come su cosa di wi non possa discu- « tersi, hanno favori/o la tendmza pericolosamenteradi- « calechemuta le parti e capovolge le responsabili/af aceu- " do credere che se l'amnistia non si dà è il 'R..eche non « vuol darla ». L'osservazione non è nostra; è dell'on. Torraca che l'ha fatta nell'organo ufficiale della reazione in guanti gialli, nel Corriere della Sera di Milano. * ,. * Al movimento popolare, che si ripercosse nella Camera dei Deputati, in favore dell'amnistia, come atto di giustizia, che lasciasse sperare in un mutamento d'indirizzo inspirato al rispetto della legge della libertà, il generale Pelloux ha rispc,sto eroicamente con atti e con parole, che non consentono il menomo dubbio sulla sua intima essenza di reazionario neanche ai meglio disposti a giudicarlo benevolmente. In quanto agli atti non ci riferiamo a quelli passati, tristissimi e notissimi, ma a quelli presenti, cioè: alla presentazione dei disegni di legge coi quali s'intende mettere il bavaglio alla stampa, restringere il diritto di riunione e di associazione e militarizzare gl'impiegati delle ferrovie, delle poste e dei telegrafi ( 1). Non vale la pena di rilevare le voci che corrono sulla presentazione di questi disegni di legge, che si vuole improvvisamente determinata dal voto di alcuni zanardelliani contro il ministero nella questione dell'amnistia. Se così fosse, avremmo una nuova prova della lacrimevole meschinità dei criteri politici dei nostri uomini di Stato, i quali mutano di punto in bianco, dall'oggi al domani, per fare dispetto ad una diecina di deputati, che non li hanno voluti seguire sino in fondo in una condotta contraria alla Costituzione, alla legge, alla giustizia. Sul fatto del mutamento in ventiquattr'ore il Mattino osserva che nessun Aristofane avrebbe la potenza d'immaginare e di scrivere una scena così grandiosamente ironica; ma è chiaro che se il reazionario-liberale, come lo chiama Scarfoglio, si addormentò liberale e si svegliò reazionario, ciò si deve al fatto che il suo liberalismo fu sempre un travestimento indecente: doveva perciò costargli ben poca fatica il togliersi la maschera. Che se la dovesse togliere, e presto, lo aveva esplicitamente annunzfato l' on. Sonnino, che non è il primo venuto, nella sopracennata discussione nella quale dichiarò che accordava la sua fiducia al ministero perchè era sicuro che avrebbe presentato le tante invocate leggi reazionarie. La quintessenza di queste leggi venne formulata dall'on. Prinetti, che si è fatto il portabandiera della Vandea Lombarda e che par non pensi altro se non a cancellare la memod1 del po' di bene fatto passando dal Ministero dei Lavori Pubblici. E la quintessenza è que&ta: legalizzazione.... del/' arbitrio, cioè della violenza e della iniquità. Il contrasto tra la legge e l'arbitrio è tanto gigantesco che il concetto racchiuso nella formula prinettiana cre- (1) A proposito de11a, legge sulla stampa. il Don Chi!iciott.e U.$1.Sìcu1·a ch'essa sia. fa.tica. speciale dell'on. Porti~. Noi crediamo di non audare errati affermando che l'ex deputato repubblicano di b'orlì letto l'mtrcfilet voleva dare quercia per calunnia, llll\ che ne fu trattenute d..1 sentimento della sOJidaricti\ ministeriale. diamo che nemmeno in Serbia avrebbe potuto trovare buona accoglienza. Delle restrizioni alla iibertà di stampa, al diritto di riunione e di associazione per ora non c'intratteniamo. Avremo agio di occuparcene altra volta. Una sola parola vogliamo dire sulla militarizzazione degli impiegati delle ferrovie ecc., perchè incontra minore opposizione - pare impossibile! - anche tra individui e giornali, che combattono strenuamente contro le altre leggi liberticide. Questa militarizzazione implica la più enorme violazione dei sani principi politici, economici e giuridici. A chi si preoccupa della necessita di non vedere interrotta la continuità e la regolarità di certi importanti servizi pubblici noi non abbiamo che da ricordare questi pochi precedenti eloquentissimi: in Inghilterra avvenne uno sciopero di policemen; nella stessa Inghilterra e in !svizzera si ebbero scioperi di ferrovieri e non si andò incontro al finimondo. Ai governanti e ai legislatori inglesi e svizzeri non passò mai per la mentt! di' presentare un grottesco e turpemente reazionario disegno di legge che avesse la più lontana rassomiglianza con quello presentato dal generale Pelloux. Anzi nella repubblica elvetica i governanti presero le parti dei ferrovieri scioperanti ! - .. ,. ,. La presentazione dei progetti intesi a legalizzare l'arbitrio assicura la vittoria nel record della reazione balorda all'Italia; ma il linguaggio che da qualche tempo tiene il Generale Pelloux con una baldanza che solo un soldataccio può adoperare di fronte alla Camera ed al paese, può essere tollerato soltanto in questa Italia senza energia. In fondo, in fondo, il Presidente del Consiglio, ai Deputati, che in nome del paese gli hanno chiesto il ritorno allo Statuto e l'amnistia ha sempre risposto: più domandate questecosee meno ve le daro; voglio resistere alla piazza; non mbisco imposizioni! Queste risposte arroganti, che hanno raccolto talora gli applausi della Camera immemore dei proprì diritti e dei proprì doveri, costituiscono la negazione più sfacciata del regime rappresentativo. In Inghilterra da circa settant'anni nessun ministero avrebbe osato dirle, perchè sicuro che si sarebbero ribellati tutti i rappresentanti del popolo, appartenenti a tutte le gradazioni politiche. La resistenza folle alla pubblica opinione venne elevata a sistema di governo dai Polignac e dai Guizct, e condusse in Francia alle barricate de 1830 e del 1848. Ma la resistenza, può essere deplorevole e mantenersi rispettabile, quando chi la enunzia e la pratica sa di an• dare incontro a qualche pericolo. Purtroppo questo non è il caso tra noi! Il generale Pelloux si atteggia a ministro sacripante perchè egli sa che nè lui, né le istituzioni corrono alcun pericolo annunziando e praticando la resistt:nza. Resistenza! Contro chi? Ecco il punctum ... L'atteggiamento del Presidente del Consiglio quindi, vorrebbe apparire eroico, ma non serve che a nascondere la suprema viltà di chi sa di potere impunemente infierire contro un organismo sociale la cui coscienza è oblite• rata, e che non possiede la volontà e la forza di far rispettare i propri diritti. La conoscenza piena di questo doloroso stato di cose indmse !'on. Colaj.mni a mtttere come epigrafe al suo recentissimo libro, L'Italia nel I898 queste parole di Filippo Turati: il quarantotto italiano compiutonel 60 non fu neppure politico, fu strettamentenazionale e meschinamente unitario e dinastico L'Italia attende ancora il suo quaranlottottopolitico, cbe le dia le condizioni essenziali della vita moderna e le permetta di studiarne il passo sulla via già percorsadalle 11azionesorelle. Così è. L'Italia deve ancora fare il quarantotto politico; e dopo deve fare gl'italiani. Solo allora la soldatesca iattanza che eleva a criterio di governo, la resistenza potrà essere seria e rispettabile, ma attualmente non è che una eroica viltà. LA RIVISTA.

RIVISTA POPOLAREDI POLI1ICA. LETTERE E SCIENZE SOCIALI I PANAMISTI DELPATRIOTTISMO Prendiamo con gran piacere dai Temps Nouveaux (N. 40), l'organo più autorevole degli anarchici, questo articolo del Principe Kropotkine perchè esso, mentre flagella a sangue gli speculatori del patriot· tismo, dà le ragioni sentimentali elevatissime per le quali anche un internazionalista ha dell'affetto pel loco natio. Lo ripubblichiamo assai volentieri, perchè in ltalia r.on manca la nefasta genia dei panamisti del patriottismo. Prima, si diceva che il patriottismo era l'ultimo rifugio del briccone. Oggi, si e trovato di meglio. Il patriottismo è diventato il Panama del giornalismo. Si comincia mascherandosi col berretto frigio. Si lanciano degli articoli quasi anarchici in ciascun numero del proprio giornale. Si fa una campagna contro il tale o tal'alt,o governo. Ciò rende bene - per le novità del soggetto. Ci si crea una clientela tra i lavoratori e i malcontenti di tutte le qualità. Ma presto ciò cessa d'interessare. I lavoratori, innamorati della critica, domandano al giornalista che si spinga più in là ; ch'esso li segua nelle loro rivendicazioni socialiste; ch'egli adotti un programma socialista, non solo nelle parole ma anche nei fatti. Ma, il socialismo è la povertà. È una vita modestissima. Un socialista che gettasse il denaro dalla fine~tra per la sua amante, pei palchetti ali' Opera, pei festini e pel resto, presto sarebbe classificato dal popolo. E ciò che accade a questi falsi fratelli. Il popolo volta loro le spalle, e la tiratura del loro giornale diminuisce. Non si può immaginare il terrore del giornalista quando gli si dicono queste terribili parole: « La tiratura diminuisce ! » Allora il giornalista abbandona tutti i suoi scrupoli. Conserva soltanto quelli che gli possono essere necessari per avere ancora una certa aria di ex-rivoluzionario - e diventa patriotta. .. * * li patriottismo come questi lo intendono, loro, quello paga. Ciò paga anche benissimo, meglio delle azioni del Panama, o delle strade ferrate del Sahara. Si lascia queste agi' imbecilli - ai presidenti della Repubblica - mentre che il giornalista, più maligno, si mette a sfruttare il Panama del patriottismo. È così semplice! L'arte di fare il patriotta s'insegna in cinque o sei lezioni. È più facile che l'arte di andare in bicicletta. Comprate dieci numeri dei giornali « patriottici, antisemiti e antidreifusisti » e voi imparerete quest'arte in otto giorni. Niente di più semplice che il seguir le strade fatte. Per essere anarchici o anche socialista democratico, bisogna almeno pensare. Bisogna farsi una specie di programma. Bisogna sapere qualche cosa di nuovo, qualche cosa di pensato, senza di che si dicono delle bestialità. Per il patriottismo si trova tutto bell'e fatto. Delle idee se ne può fare a meno : le parole le rimpiazzano. E queste parole sono state fabbricate, da mille anni, da altri furboni. Non c'è che da ribattere i vecchi clichés. Basta la vernice ai giornalisti che perdono i loro denti e il loro ingegno. * * * E poi ciò rende bene! Accidenti se ciò rende bene ! Consultate soltanto la cronaca del r 5 gennaio dei giornali patriottardi. Leggete le liete riflessioni dei cronisti patriottardi riguardo al Figaro. La sua clientela, assicurata prima, faceva venir loro l'acqua in bocca. Oggi essa se ne va! E viene a loro. Due anni or sono, le azioni del Figaro si vendevano 1075 franchi ciascuna. Da che esso mostrò delle velleità dreifusiste, esse scesera a 990 franchi. Ed ecco che oggi non costano più, alla Borsa di 780 franchi. « II Figaro perde la sua clientela - gridano trionfando questi signori; è a noi che vengono i suoi lettori ! Ciò che pruova che noi siamo nel vero!» Ciò rende bene - dunque bisogna seguire la corrente. La pornografia pagherebbe, forse, meglio. Ma ciò richiede del talento - dunque siamo patriotti. Il primo imbecille può esserlo. E per questo che essi hanno avuto delle tenerezze per quel ladro, Katkoff, che, per l'intermediario di Cyon - l'ebreo alleanzista - se credete, amico di Boulanger, - ha loro insegnato l'arte di arricchirsi cambiando il mantello del rivoluzionario coll'abito gallonato del patriotta. Si comprendono le lacrime - d'invidia - ch'essi versavano sulla sua tomba. Ah ! noi sappiamo bene che vi sono dei patriotti. Per quanto si dica e si faccia, fintanto che vi saranno delle lingue diverse, dei canti nazionali, dei raesi vari, l'uomo che ha parlato la tal lingua fin dall'infanzia, che è cresciuto in mezzo a un tal paese e ad una tale civiltà, che fu cullato da una tale canzone, amerà questa canzone, questa civiltà, questo paese, questa lingua al di sopra di ogni altra civiltà, lingua e canzone. Per poco che questa ci viltà e questa lingua si sentano oppresse, o che il paese sia sotto la tirannia, egli l'amerà di più, con trasporto. Sì, certo, il patriottismo in questo senso esiste, anche pc! senza patria, per colui che, malgrado tutto il suo odio per gli oppressori del suo paese nativo, ama di esso teneramente la lingua, le sue montagne, i costumi e glir.~si. . . d è 'b·1· . h .. '<-uesto sentimento esiste, e poss1 1 1ss1moc e pm l'uomo diventerà internazionalista p:ù egli amerà le individualità locali di cui si comporrà la famiglia interna.- zionale, più cercherà svilupparne i tratti caratteristici. E come per l'anarchia, che rialza, rinforza l'individuo in luogo di foggiai e tutte le individualità sul me.Jesimo modello. Si, vi sono dei patriotti che amano il loro paese nativo. Ma sarebbe una vergogna ed una canagliata di confondere questi con quelli, gli amanti del loro paese nativo con i bricconi gallonati del panamismo sedicente pat:iottico. * *,. Quando si ama qualcuno, una personalità reale o una personalità astratta, paese o naziol).e, la si stima prima di tutto. Si cerca di vederla bella, stimata da tutti, onorata per tutte le sue qualità. Vedete i patriotti della Giovine Italia nel passato! Vedete i patriotti polacchi o finlandesi! i..eggete, per esempio, quell' ammirevole libro /ii Giorgio Brandes - il grande critico dell'epoca - sulla Polonia. Tutto in Polonia è consacrato all'amore del paese. Questo amore penetra in ogni linea dei suoi poeti, dei suoi romanzieri, dei suoi giornalisti. Anche i socialisti internazionali della Polonia, più internazionalisti di tanti altri, amano il loro paese, più ancor;i che i nazionalisti polacchi. Creare una letteratura bella, gr,mde, piena d'ideale - ecco dov' è posto il loro amor proprio. Le millanterie - essi le disprezzano. Riconoscere ciò che le altre nazioni hanno fatto di grande, e provare che la piccola Polonia, in tutte le sue disgrazie, è restata anche grande - ecco la loro ambizione. Porla ai primi posti con le sue lettere, la sua arte, con l'educazione popolare, col vigore del suo partito socialista internazionale, per la grandezza d'anima, coi suoi fili conducenti alla rivoluzione internazionale -- ecco il loro ideale. Questi sono senza dubbio dei patriotti. Ebbene, sarebbe permesso, dopo ciò, mettere in paragone con loro i panamisti del patriottismo in Francia ?

'R,JVIST A 'POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI Questa gente che disprezza il popolo francese e non vede che un mezzo per rialzarlo - quello di dargli ..... che cosa? - Una testa di legno come Boulanger per padrone, o un piccolo Bonaparte, o un altro Cesare fog. giato da essi d'accordo con la corte di Russia ! ! Questi signori che credono che potranno arrivare a v:ncere una nazione così formidabile come la Germania _ con che cosa? Con dei piccoli segreti, con dei pezzi di carta ch'essi ruberanno quà e là, a mezzo degli abru• titi Sandherr, degli Esterhazy o degli Henry ! ! Oh! im• becillità di rammolliti ! Bisogna essere imbecilli per seguire un momento solo questi grandi preti delle corti marziali I per credere un momento soltanto che questi difensori dei tribunali di guerra vedano altra cosa che il loro dio - la tiratura dei loro giornali ! Un uomo che ama, tiene al di sopra di tutto, alla dignità di ciò che ama. Ma questi signori che si fanno piccoli, spregevoli, untuosamente spregevoli, per piacere a un Katkoff o ad uno Czar che li disprezza - è ciò che si oserebbe chiamare amore del suo paese? Amore da souleneurs, forse ! Ma certo non amore da patriotti. PIETRO KROPÒTKINE. ~~~ Laviolenczoamfaettodrellvaitasociale Recenti avvenimenti hanno data nuova occasione ad uomini e partiti politici e sociali di manifestare 'il loro modo di vedere e di contenersi circa a' metodi di condotta da seguire nell'esplicamento della loro azione e ali' impiego della violenza nell'accelerare o ritardare alcuni desiderati di giustizia sociale. Mentre si affievolisce l'eco delle semplici esplosioni di sentimento, e la reazione, con i suoi eccessi ciechi e irritanti, feconda e coltiva nuovi inevitabili atti di violenza; mentre stanno per passare nel dominio della storia i fatti che hanno dato luogo a dichiarazioni, fatte spessissimo in buona fede, e pure accolte, in malafede, con recriminazioni interessate; mentre tutto ciò avviene e passa, lo studioso delle forme e de' fenomeni della vita sociale ha un compito più preciso e più utile: studiare, da un lato, in qual maniera e per opera di quali agenti avvengono alcuni atti di violenza, e, dall'altro, quale azione questi riescano ad avere nella vita sociale. Mi occuperò un'altra volta della psicologia del propagandista di fatto e delle condizioni subbiettive, in cui si producono alcur:i atti. Intanto ne esaminerò, sia dal punto di vista morale che da quello pratico, il valore obbiettivo, lieto se, senza preconcetti, ma sperimentalmente, per virtù di fatti e di osservazioni, potrè mostrarne J'manità, e, più ancora, il danno sociale che ne deriva. I contrasti sociali si vanno rendendo sempre più acuti: tanto più è utile e indispensabile attenuare per quanto è possibile gli attriti; è può essere opera meritoria e proficua mostrare come .a loro risoluzione non ha nulla a guadagnare e molto, invece, da perdere per I' intervento della violenza di qualsiasi genere, dell'alto e del basso. E prima di tutto un alto criterio morale che discredita e interdice la violenza. E, quando parlo di morale, non intendo già riferirmi a una pure astrazione e a qualche cosa di trascendente, ma a un complesso di norme dell'azione, frutto dell'esperienza de' secoli e che realizzano le condizioni concrete secondo le quali la società può persistere e progredire. Uno de' caratteri e delle condizioni più rilevanti del progresso sociale è appunto l'eliminazione graduale della violenza, la quale perciò viene sempre più ad apparire come qualche cosa d'illecito e anti-sociale. Si oppone l'abusata e gesuitica teoria del fine che giustifica i mezzi; ma i mezzi illeciti compromettono spesso anche il fine buono. Inoltre nella vita sociale così complessa, risultante com' è di tanti e così vari fattori, con un fine remoto da raggiungere, i mezzi acquistano spesso il valore e l'aspetto di atti indipendenti, la cui relazione con l'asserito scopo buono può essere dubbia o menzognera, e debbono quindi essere valutati per quel che valgono in sè stessi e per quel che appariscono. Il metodo poi è immorale e pericoloso, perchè si vengono con essa a coonestare passioni che spesso degenerano e s' introduce nella vita sociale un rnbbietlivism.o capace di tutti gli eccessi. Non senza una ragione, nè senza un'evidente utilità sociale si sono venuti perfezionando nel corso de' secoli i metodi di risolvere i contrasti interni del corpo sociale, nè si può impunemente riportarli a un'epoca ornai oltrepassata. Un uomo, una fazione non possono da soli rendersi giudici di tutta una complicata situazione e pretendere di risolverla con un atto di violenza. Tale atto, in questo senso, da chiunque venga, è un atto di dispotismo che violentemente fa arrogare a qualcuno un'azione sociale superiore a quella che gli può competere come individuo, e il suo atto riesce a turbare rapporti universali e complessi che non dovrebbero essere turbati o impediti. La violenza finisce per evocare e fomentare la violenza, riescendo così a far perdere di vista il fine retto e giusto e sviando tutti dal retto cammino con l'acrimonia che solleva. La società si trova così, per opera diretta o indiretta di qualcuno de' suoi elementi, spostata fuori del suo naturale ambiente civile e trabalzata al livello di epoche che la civiltà ha oltrepassato. Negare dunque il carattere morale alla violenza usata come fattore della vita sociale, significa mostrarne I' inutilità e rilevarne il danno; perchè, come si è accennato, dal punto di vista della morale positiva, che cosa è un'azione immorale se non un atto, che per via remota e indiretta, con effetto forse non immediatamente visibile ma parimenti certo, mina l'esistenza o intralcia il progresso del corpo sociale ? Ma, anche da un punto di vista pratico, considerando gli effetti immediati, la violenza si discredita; e le ragioni che si adducono a favore dell'utilità sua sono facilmente contraddette. La storia ci mostra che tutte le violenze, sia d'ordine individuale che collettivo, non hanno nè esercitata un'azione durevole, nè determinato alcun sostanziale mutamento d'ordine politico e sociale. Quale regicidio, da quello di Cesare a quello di Alessandro II, è riuscito a reali:.1zare, in parte almeno, lo scopo che i suoi autori si proponevano ? Quali persecuzioni, da quelle dirette contro il Cristianesimo a quelle adoperate contro gli oppugnatori del regime assoluto e della dominazione stranier;;, sono riuscite a prevalere e ad impedire che avessero il loro naturale sviluppo i germi di nuove forme di coscienza e di nuove istituzioni ? Ancora, le più violente scosse del corpo sociale, dalle sommosse alle rivoluzioni più propriamente dette, hanno usurpato nella storia un'importanza assai maggiore della loro efficienza. Non è già che io intenda fare il processo alla storia e che, come un Dr. Paugloss in ritardo, pretenda che essa abbia fatto male a procedere per la via, per cui, sotto l'azione di cause necessarie, ha proceduto, e che avrebbe dovuto prenderne invee.: una più piana e meno irta di triboli. Queste scosse violente sono state l'effetto spontaneo e inevitabile, talora anche impreveduto, di uno stato di disagi e di contrasti sociali; ma non sono stati che episodi e incidenti della sioria, ch1: talvolta hanno precipitato una lenta ed intima eYolnzione, più spesso l'hanno anche ritardata. Valga di prova il fatto che a tutte le rivoluzioni più importanti ha fatto sèguito un periodo di reazione, durante il quale, senza volerlo e senza saperlo perfino, si è ripigliata quell'evoluzione più graduale e assidua, che

RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI ha reso stabili e definitive le trasformazioni sociali, utilizzando con un processo di fusione, di adattamento e di assimilazione I opera tumultuaria de' giorni di rivoluzione. La violenza per le sue forme più immediate e palpabili è capace di allettare ed illudere; ma, o si attribuisce ad essa il merito di tutto un lavorio anteriore, o i suoi effetti sono caduchi. Quella forma odierna di violenza che prende il nome di propagandadi fatto mi pare destinata ad avere scarsa efficacia, al pari àelle altre formt: di violenza, Essa si proporrebbe, a quanto sembra, di raggiungere il suo scopo, eliminando gli organi del potere costituito, e, servendosi di questo stesso mezzo come di una pressione e di una intimidazio_ne sul resto del corpo sociale, obbligarlo a trasformarsi. E con quest'ultimo intento che i propagandistidi fatto si decidono ad attaccare l'organizzazione politica e sociale, che vogliono dissolvere, in qualunque de' suoi elementi anche non investito di un pubblico potere. Ma questa propaganda di fatto si basa sopra parecchie illusioni e sopra molti errori d'ordine così psicologico come sociologico. Eliminare violentemente tutti gli organi de' poteri costituiti è impresa più impossibile che difficile. Oltre di che la struttura della nostra società capitalistica fa delle persone, che operano come organi del potere costituito, un'accidentalità, dal più al meno. L'ordinamento permane col mutarsi delle persone mediante le quali esso agisce e che vengono rapidamente sostituite non appena spariscono per ragione materiale o violenta. La violenza ribelle, in questo caso, al pari della violenza reazionaria, coglie il male negh effetti o nelle sue forme esteriori piuttosto che nelle cause, e quindi non raggiunge menomamente lo scopo che si propone. Nè meno vane delle conseguenze immediate, sono le conseguenze più remote della violenza, la pretesa di costringere, sotto l'incubo della intimidazione, il presente ordinamento sociale a dissolversi e trasformarsi. La società pur essendo un organismo, è un organismo discreto e discontinuo. Quindi la violenza esercitata su di una delle sue parti non si propaga o riflette in maniera uniforme, sicura e durevole, su tutte le alt. e parti. L'intimidazione è subito attenuata ne' suoi effetti dal- !' illusione della violenza reazionaria, prontamente sfruttata con sentimento opportunista da partiti e fazioni. Sopravvengono pure presto, nel giro rapido e vario della vita, altri avvenimenti che richiamano l'attenzione o la distraggono; e così l'ultima eco del tragico attentato si dilegua senza lasciare traccia apprezzabile. Il propagandistadi fatto conta sulla forza dell'esempio e della suggestione, e immagina che l'effetto del!' intimidazione possa essere reso durevole con la ripetizione tenace degli attentati. Gli esplosivi, osserva qualcuno di essi, sono capaci di moltiplicare straordinariamente il potere di un individuo; e basta quindi un numero relativamente ristretto di persone per organizzare, pur sotto forma individuale, un movimen~o di ribellione e di resistenza persistente e pauroso. E, in altri termini, Muzio Scevola che col racconto de' suoi trecento compagni di riserva induce Porsenna a sgombrare il territorio di Roma. Ma il vero è che il propagandistadi fatto è un prodotto anomalo maturato in ispeciali condizioni e determinato da particolari ambienti, nè lo si può moltiplicare a volontà. Tutta l'esperienza passata, antica e recente, mostra che si tratta di manifestazioni sporadiche, le quali, per quanto si ripetano, restano rare e prive di connessione. Ed è fortuna che sia così perchè diversamente si avrebbe in vista la possibile formazione di oligarchie e di cospirazioni che potrel:>bero agire tanto sotto l' illusione di spingere violentemente la società a forme più umane, come sotto il proposito di mire meno pure e più personali, · Non meno vana è la speranza di ottenere con questo mezzo che la società si trasformi. Anzitutto la grande massa, poco educata a riflettere e indagare le cause remote de' fatti, o vinta da diversi ordini di pregiudizì, si ferma al semplice fatto e a' suoi episodi, delizia di cronisti e di perditempo, senza risalire molto alto. Poi, anche l'effetto che sembra più certo e più vicino, quello di richiamare l'attenzione pubblica su tante stridenti ingiustizie sociali, è in buona parte neutralizzato dalla stessa natura della massa, dominata quasi esclusivamente dal sentimento e che di fronte alla vittima di oggi dimentica il prepotente di ieri. Ma, se anche quest'ordine di fatti rendesse più forte l'impulso della trasformazione sociale, non perciò ne agevolerebbe il compimento. I mutamenti sociali, invocati a sanare tante delle nostre piaghe, non possono essere istantanei, ma hanno bisogno per compiersi di una lunga elaborazione. Non s'improvvisano dunque in un momento di panico, nè si attuano altrimenti che provando e riprovando con un giuoco sapiente di pressioni e di resistenze. Queste innovazioni non si ottengono dove manchi una massa compatta e concorde che fe reclami assiduamente; ma non si ottengono neppure in un ambiente poco educato, eccessivamente inquieto, dissipatore di tempo e di forza. Allo stesso modo che una riforma tributaria non si fa che con un bilancio equilibrato ed elastico, una riforma sociale si fa più facilmente, se non solamente, in un paese più ricco, più ponderato, più schivo di violenze, meno impulsivo. Nello stesso ambito delle istituzioni borghesi i maggiori passi verso una riforma sociale l'hanno fatti i paesi più prosperi, dove il proletariato ha avuto più agio di scegliersi la sua via e di batterla più continuamente con minori scosse. La stessa precisa indole della nuova trasformazione sociale, lo stesso compito de' partiti rivoluzionari sono destinati a dissuadere ed eliminare sempre più gli attentati e le altre forme di violenza ; e li eliminerebbero in tutto, se a suscitarli ancora non concorressero talvolta cause puramente individuali, e più spesso i gravi disagi e la bestiale violenza reazionaria. Come l'attentato si presentava quale un mezzo comune ne' tentativi di redenzione politica, così diviene ora assolutamente sporadico nel movimento di redenzione sociale. Negli Stati antichi, organismi limitati e semplici e nelle organizzazioni politiche impersonate in un uomo, l'attentato poteva dare l'illusione di produrre effetti apprezzabili; e in ambienti molto ristretti poteva anche produrne. Negli Stati moderni, organismi vasti e complessi, e con la mira di trasformare un ordinamento impersonale, qual' è il sistema economico capitalistico, l'attentato e i metodi ad esso consentanei perdono di significato. Lo stesso sentimento pubblico, inconsapevolmente, istintivamente, sente 'questa differenza" e assume un atteggiamento diverso dinanzi alle manifestazioni violente. Nella nostra vita pubblica è cominciata a penetrare e va sempre più penetrando l'apologia della calma, la suggt:stione del sanguejreddo. Le violenze di linguaggio demagogiche, che altra volta entusiasmavano, ora sono accolte con diffidenza. L'antico rivoluzionario era un ribelle veduto attraverso le lenti del romanticismo ; il nuovo rivoluzionario si atteggia perfino a statista. Di fronte alla gravità del compito e alla necessaria diversità di metodi muta pure l'atteggiamento individuale. E, per colmo di sorpresa, di fronte alla legalità che l'uccide, è il potere costituito che rinnega e viola la legge, che abbandona il terreno della legalità e diventa, insieme, insidioso e violento. La violenza così rientrata per una via forse inaspettata nella vita sociale, non solo turba per se stessa, direttamente, ogni progresso ottenuto ne' metodi di lotta sociale, ma tende ad abbassare il livello del terreno comune di lotta ed esercita un'azione indiretta sulla parte ;tvversa, che sempra in apparenza CO$tretta ad adattar~i

RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALJ a' soli mezzi di vita e di lotta resi possibili da un potere incivile e antisociale. La tattica legalitaria de' partiti rivoluziona1l, che sembrava così riuscita e così piena d'avvenire, è certamente messa a dura prova e pare che debba infrangersi contro una difficoltà obbiettiva e insormontabile. E, difatti, i suoi avversari mettono innanzi la questione in questi termini, con l'aria trionfante di chi la crede già risoluta : « Che cosa ne avviene della conquista de' pubblici poteri mediante il voto, se il voto è tarpato, sofisticato, soppresso? Che cosa ne avviene della rivendicazione affidata alla parola e allo scritto, se la libertà di parola e di stampa sono oppresse ? Che altro rimedio si ha fuor della violenza per resistere alla compressione violenta e all'arbitrarie limitazioni di libertà ? » E, in apparenza, sembra che non vi sia nulla da replicare e che altra via non resti fuor di quella suggerita dall' impulso del momento e che non resti da opporre se non violenza a violenza. Pure, ciò facendo, si dimenticherebbe facilmente tutto quanto si è avuto asio di osservare innanzi sugli effetti e la funzione della v10lenza nella vita sociale, e, al tempo stesso, si farebbe troppo onore a qualche lupo ........ e a qualche dittatore da strapazzo, attribuendo loro la facoltà di potere con una violenza cicca e convulsa arrestare o spegnere il movimento di redenzione sociale. Chi ha una notizia esatta della struttura del corpo sociale e di tatti i continui movimenti di azione e reazione che in essa hanno luogo e del mutamento intimo che in esso avviene nel corso del tempo, sa che tutte le compressioni arbitrarie perdono da sè stesse la possibilità della loro durata e si esauriscono per fatto loro stesso. Contro allo sforzo meccanicamente volontario e violento del despota, della classe, della fazione, che pretende comprimere e soffocare il naturale sviluppo ddla società, vi è l'espansione lenta, ma continua, ma orgauica, ma rinascente e invincibile del corpo sociale che vive, e cresce, e non può vivere e crescere altrimenti che svolgendo tutte le sue attività. La continuità e la natura organica di questo movimento non può che vincere la resistenza tutta fittizia dell'altra. La compressione è obbligata ad esercitarsi sull' involucro esteriore, sugli effetti, lasciando quasi immutate le cause e moltiplicandole talvolta per la reazione che suscita. Per giungere alle cause, per soffocare assolutamente il movimento di redenzione, dovrebbe giungere ad un punto, in cui il movimento di redenzione e le ragioni di esistenza della società moderna si confondono in una sola radice. È la società stessa quindi che bisognerebbe sopprimere, le sue fonti di v:ta e le sue funzioni. Le stesse condizioni materiali di esistenza della società nostra rendono impossibile, anche più che non fosse difficile una volta, di reprimere il potere delle stampa e impedire la diffusione delle idee. Con i frequenti contatti internazionali, con l'intreccio cosi avviluppato de' mutui rapporti, come si riesce ad impedire che alcuui sentimenti si comunichino e si diffondano, che alcune idee facciano la loro strada ? Le ansie sospettose che fanno fi ugare e rifrugare tutto quanto varca la frontiera, la censura che comprime e tortura il pensiero sono un incubo insopportabile per una società moderna, e finisccno col non potersi reggere per opera di quelli stessi, a cui favore s'invocano. Ciò può avvenire solo in un paese d'economia primitiva, com'era sino a ieri ed è in gran parte la Russia; ma ecco che il suo crescente sviluppo industriale, la sua latente evoluzione economica minano lentamente ma continuamente questa complicata architettura di ritorte e cancelli; sin che non accada che il paese, come il gigante di un poema cavalleresco italiano, non si senta tanto forte da rimettersi in cammino portando con sè la rete, in cui era caduto e che non valeva ad arrestarlo. De' paesi, che pretendono al nome di civili, solo l' Italia può pensare altrettanto ; o, meglio, possono pensarlo per essa alcuni faziosi e alcuni ti-oupiers - alcuni soltanto e de' più ignoranti e de' più tristi, spesso di quelli che, battuti vergognosamente quando solo erano chiamati a dar saggio di sè, pensano ora di riabilitarsi in patria, facendovi trionfare la causa dell'arbitrio e della barbarie. Ma ecco che lo stesso avvilimento dell'Italia di fronte al mondo civile scalza e demolisce la stolta e criminale opera loro. Questo proposito liberticida, oltre ad essere stolto ed insostenibile a lungo, è anche in gran parte ineffettuabile. La stampa, compressa e imbavagliata in un paese, leva più altamente la voce in un altro, e gli stessi progressi materiali dell'arte della stampa fanno sì che uno scritto possa facilmente essere riprodotto a centinaia di migliaia di copie, che la facilità de' mezzi di comunicazione e di scambi diffonde dovunque. A p1escindere poi da quanto è scritto e stampato, c' e nel mondo morale, come nel mondo fisico, un fenomeno di endosmosi e di esomosi, per cui idee, opinioni, sentimenti si scambiano e si allargano senza che si possa seguire e talvolta nemmen sospettare la traccia visibile del loro cammino, e senza che gli argini e i diaframmi materiali lo possano impedire. Dopo tutto, le parole dette o scritte non sono che le ombre delle idee e de' sentimenti, come questi sono le ombre di certe condizioni di vita; cd è triste e ridicolo pretendere di sopprimere le ombre, quando restano in - tatti i corpi che le proiettano. Tanto meno queste difese esteriori valgono a porre rimedio ali' intimo dissolvimento, ali' inesorabile scompaginarsi d' istituzioni invecchiate e sacre alla morte. Un'istituzione decrepita fa allora con i suoi furori reazionari la figura di quell'eroe di poema eroi-comico che andava comballendoed era morfo; nè tutto il suo armeggiare e i lutti che sparge intorno a sè valgono a prolungarne sensibilmente la vi:a. Quella rabbia cieca e com•ulsa di tiranno che non conosce confini alla reazione e tinge spensieratamente di sangue gli artigli, suole molte volte essere un sintomo della fine prossima, e l'accelera. Chi fa de' martiri, mette, presto o tardi, il sentimento pubblico dalla parte de' perseguitati. Un senso di solidarietà sociale fecondato ed educato da millenarie esperienze e da' bisogni rinascenti della conservazione sociale fa guardare con sentimento di pietà e di simpatia chi soffre e con sentimenti di avversione chi fa soffrire. Questo sentime11to impulsivo di natura riflessa, che non trova nemmeno il tempo di cercare le cause remote di certe rnfferenze, mira senz'altro a eliminarle, travolgendo tutto ciò che ne sembra la causa più vicina o n'è lo strumento ; e la simpatia pel sofferente si allarga alla causa a cui egli è devoto. Inoltre, nella nostra vita mutevole e disattenta, niente è tanta adatto a richiamare la nostra attenzione su di alcuni principi quanto il martirio, a cui vanno soggetti per sostenerli quelli che ad essi sono devoti. li martire personifica e individualizza un'idea, una fede, una causa, un indirizzo sociale e rende concreto ciò che è astratto, determinato ciò che è vago ; il che vuol dire che rende sensibile e apprensibile anche al volgo ciò che gli sfuggirebbe sotto altra forma. Finalmente il martirio, che è virtù ed è gloria, mentre attrae nell'ambito di una nuova fede le persone più solidali col perseguitato, suscita emuli cd imitatori, crea ammiratori e seguaci. li Cristianesimo deve molti de' suoi regressi alle violenze fatte in suo nome ; deve invece molti de' suoi pr0gressi alle violenze che ha patite. Le tombe de' suoi martiri sono rimaste la sua traccia luminosa, come sono state le sue pietre miliari.

288 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI La serena fine di Socrate ha giovato alla causa dell'emancipazione del pensiero più che qualunque rivolta. Nessun proclama sovversivo e nessun tumulto più o meno riuscito ha scosso il credito della dominazione austriaca, come quelle sue galere (in ogni caso meno disumane delle italiane contemporanee), che rivelate e rappresentate nel semplice racconto di Silvio Pellico, mettevano la causa del Governo austriaco da un lato e quella dell'umanità da un altro. Con ciò, intanto, nessuno può lusingarsi che si possa, con semplici ragionamenti, riescire ad eliminare ogni avventatezza e ogni colpa di testa dal basso, fiochè individui di tempra impulsiva, fuor di ogni previsione, sieno portati a cedere alle loro impazienze, e dall'alto scendano con l'esempio della violenza e col malgoverno le istigazioni consapevoli o inconsapevoli. Ho voluto solo esporre quante ragioni vi sieno mai, perchè un individuo, e più ancora un partito, resista ad ogni provocazione, tempri la sua pazienza, eserciti su sè stesso un'azione inibitrice, per evitare scatti solitamente improduttivi di buoni effetti e assai spesso funesti. L'eliminazione della violenza come fattore della vita sociale non deve neppure esser confusa con la rassegnazione cieca e supina da parte degli oppressi. Respinto il metodo dell'azione e della resistenza violenta, resta il metodo della resistenza passiva e l' indirizzo di chi, senza dar di testa contro l'ostacolo, lo scalza lentamente, lo rimuove, lo gira, e, giuntogli alle spalle, prosegue la sua via, lieto e confidente nel!' opera compiuta e nella esperienza acquistata. La libertà di parola e di stampa insidiata cerca e trova l'espressione, che sfugge al censore sempre sospettoso e sempre idiota, l'espressione che si piega come la lama d'acciaio per colpir più diritta e più certa. Cerca l'apologo, si piega al verso, sale la scena, si tempra al1' ironia, s'impronta di umorismo e sibila intorno al tiranno, sempre più punto e sempre più esasperato, quale una inafferabile, invisibile zanzara, mostrando, con la forza dell'esperienza, come è folle ed impossibile al tempo stesso il pretendere di segnare le colonne d' Ercole al progresso e mettere in ceppi il pensiero. La libertà di riunione e di associazione manomessa si rivendica risorgendo e ricomparendo sotto le forme più insospettate e più tenaci, come l'acqua de' piccoli rivoli, che deviata, impedita, dispersa, pure in ultimo si ritrova, e scende, gorgogliando, nel fiume per mescersi a quella delle altre mille sorgenti ignote, separate, lontane. Quanto io dico sembrerà forse accademico e, al tempo stesso, duro a chi è oppresso, a chi sente tutta l' insofferenza della vita in paesi, ove, per dirla col verso di un poeta, ora convertito alla causa de' padroni, si compie Quanto d' infame in signoria si può I Sembrerà eh' io predichi la rassegnazione e l'acquiescenza. Ma non è acquiescenza questa : è solo un'altra forma di lotta, di effetto, che sembra più lontano, ma che e il più certo, se non il solo certo. Lo sforzo violento si esaurisce ; la resistenza irosa si spezza e si fiacca; l'azione lenta, pertinace, instancabile procede e trionfa. La violenza, per l'inopportuna fiducia che desta nel suo potere istantaneo e assoluto, porta a uno stato passivo ordinario e quindi a tollerare il crescere di quei mali, che si spera vanamente di troncare d'un colpo e che intanto divengono duraturi. La persuasione della necessità dell'opera di ogni giorno scuote ogni passività e tesoreggia ogni istante come la goccia che cade instancabile e finisce per cavare la pietra. Questo repudio della violenza come mezzo normale e preferito di redenzione da nessun partito mai è stato affermato e sostenuto come dalla democrazia sociale marxista; e non si tratta di un accidentalità di tattica, o di una trovata opportunista o di un fatto arbitrario. Si ha da fare con µo.i, conseguenza 1 che rampolla1 necessaria e inevitabile, dal fondo stesso del socialismo scientifico. Il fondamento del socialismo scientifico, che nega alle metamorfosi sociali il carattere meramente volontario, discredita la violenza, instillando la fede piuttosto negli effetti necessari dell'intimo congegno sociale, nell'azione continua e lenta de' bisogni individuali e sociali e nelle inevitabili trasformazioni determinate dal modo mutevole e progressivo di produrre quanto occorre a soddisfare i crescenti bisogni della vita. Tra la violenza reazionaria e la impazienza ribelle, chi decide in ultima istanza è il complesso di forze elementari, da cui dipendono e sono dominate la vita materiale della società e le sue manifestazioni secondarie. Tra la serie degli attentati nichilisti e lo sviluppo industriale della Russia, quale de' due si è mostrato piu atto a maturare l'avvenire? li compito de' partiti consiste nella percezione netta di questo principio dinamico della vita sociale e del suo grado di sviluppo e nel conformare e adattare ad esso la vita politica, giuridica ed economica della società ; il che è opera essenzialmente lenta, oculata e continua. Da questo punto di vista, è chiaro che gli ordinamenti divenuti ingiusti e illogici per progresso di tempi finiscono piuttosto per l' intimo processo di disorganizzazione che per un urto esterno, isolato o ricorrente ad intervalli. E il processo di disorganizzazione è anche affrettato, per ragioni materiali e morali, dalla stolta prepotenza de' dominatori e dalla sofferenza degli oppressi ; sofferenza, che non si deve cercare con animo e pregiudizio di ascèta, che, anzi, si deve evitare, quando si può senza nessuna specie di abdicazione ; ma che, io ogni modo, quando viene, anche essa non è tutta perduta. ETTORE C1cco-rr1. IntoranlolBpro[BttatB a[[innBtBmodificazioni alla legge elettoralepolitica (Continuazione e fine -- Vedi Numero precedente). L'Olanda che per un pezzo si attenne al sistema d'un censo elettorale altissimo, lo modificò talmente colle leggi del 5 Novembre 1887 e del 7 Settembre 1896, da poter oggi quasi essere annoverata fra i paesi retti col sistema del suffragio universale. E lo stesso, press'a poco, può dirsi del1' Inghilterra dopo l'Atto per la rappresentazione del popolo, dell'anno 1884. Perfino in Austria il principio del suffragio universale è riuscito ad infiltrarsi colla famosa legge del 14 Giugno 1896; e quantunque la riforma sia, finora, mantenuta in limiti molto ristretti, e frustrata in parte dal sistema dell' elezione a doppio grado, pure non è possibile nascondersi I' importanza che il trionfo, anche parziale, del!' altissimo liberale principio assume, considerando le condizioni particolarmente sfavorevoli del!' ambiente politico austriaco. Ora che cosa significa questa mirabile e trionfante espansione de!l' accennato principio, se non appunto l'universale riconoscimento della verità proclamata dalla filosofia politica del XVII e del XVIII secolo? Tutti i fatti storici che siamo venuti sin qui enumerando, non concorrono forse univocamente a dimostrare in modo indisconoscibile che nella coscienza civile odierna si è lentamente ma saldamente costituito, e sempre meglio si viene assodando il convinçimento 1 non es$ere i cliritti politici fonda-

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