168 'R_IVISTA POPOLARE POLITICA DI LETTERE E SCIENZE SOCIALI di protezionismo, che con seducenti promesse traggono il capit"le itafono fuori dalle penose battaglie della libera produzione e lo fan vivere d'incoscienti guadagni e d' illeciti sopraredditi: una ridda sfrenata di lavori pubblici e di organici burocratici che immobilizzano le nuove energie di capitale e di lavoro in tali impieghi da cui non possono crearsi da sè stessi, colla funzione economica loro propria, un giusto e sano alimento: ecco i veri, i soli fattori del!' eccesso di braccia in Italia, ecco le cause essenziali così del!' emigrazione, come della disoccupazione italiana. E non si ripeta ancora esser quelle cause a lor volta gli effetti necessarii dello stadio critico della società economica capitalista, perchè in nessun paese fra i più evoluti quei fenomeni si palesano così intensi, così profondi come in Italia: che, se il grado del!' evoluzione capitalistica vuol esser misurato dal!' eccesso della accumulazione e dal conseguente abbassarsi del saggio del!' interesse, dalla estensione e celerità nella trasformazione tecnica della produzione, dalla tendenza alla concentrazione massima dei capitali nelle grandi imprese, etc., etc., - l'Italia dovrà purtroppo esser messa fra le ultime delle nazioni europee in quella via (dolorosa talvolta, ma in ultimo tanto benefica) del progresso sociale. , Non può dunque porsi in Jubbio che quelle condizioni disgraziate delle nostre popolazioni operaie derivino dall'opera malsana dei nostri enti pubb1ici, dalle colpe e dagli errori delle nostre classi dirigenti, e che a torto <tueste e quelli si trincerano dietro un rassegnato fatalismo e non voglion mutare una buona volta metodi ed indirizzi di politica economica. Se si volesse e sapesse mutar strada, vi potrebbe esser speranza che in pochi anni un largo flusso di capitale, portando nuova vigoria alla produzione italiana, rendesse sufficiente ad eliminare l'iperpopolazione operaia lo sfogo di una ben diretta e ben difesa emigrazione: quel capitale nuovamente creato o richiamato alle fonti produttive potrebbe ben risolvere la questione economica attuale, e spingere oltre quella trasformazione tecnica che serve anche ad elevare il tenor di vita delle masse. Gettino dunque la maschera coloro che in omaggio alle leggi naturali dell'evoluzione economica se ne stanno inerti innanzi ai tanti mali del nostro paese: in nessun paese come nel nostro vi è adito a mostrare coi fatti se davvero i pubblici affanni son sinceramente condivisi dalle classi dirigenti! Ma purtroppo, anche coloro che son consci delle responsabilità di quelle classi e son pronti a far loro intuonare il mea culpa, Jifficilmente hanno il coraggio di risalire fino alle cause prime della disoccupazione operaia: cercan rimedii, ma rifiutano <li agir direttamente verso la eliminazione dei suoi veri fattori: dicono invece di voler por riparo ai suoi effetti dannosi, ... e intanto, o per incoscienza, o per cupidi interessi di classe, propongono panacee tali che, se posson contentare i sofferenti dell'oggi, preparano però pel domani mali più intensi e più estesi. Così è che si parla in I talia oggi di una politica del lavoro, intendendo con essa non già, come dovrebbe essere, una politica generale, e specialmente economica, finanziaria e tributaria, intesa a favorire l'aumento del campo d'impiego del lavoro, col toSliere gli infiniti ostaçol! che og-~i fre noi si frappongono allo sviluppo economico del paese - bensì una politica rivolta a concedere una serie ampia e continua di lavori pubblici, che artificialmente accrescano la domanda di lavoro, e comunque acquietino pel momento i lagni degli operai disoccupati. Si tratta di un falso socialismo di Stato, le mille miglia lontano da quella vera aspirazione democratica che oggi deve in Italia concretarsi nella distruzione della fitta rete di egoismi e di protezioni che si sono accaparrati i peggiori elementi delle classi capitaliste: si tratta invece di un tranello teso alle classi più misere per farle consentire ad un nuovo sviluppo di quell' affarismo, di quel monopolismo (brutti nomi a cose di molto peggiori !) che già oggi ingordamente le sfruttano. Sol che si pensi infatti alle conseguenze fin oggi sperimentate di quell'abuso di lavori pubblici, talora inutili, spesso non necessari i, quasi sempre superiori alla potenzialità economica del paese - quando si ricordino gli intrighi, le speculazioni, le frodi che essi han fomentato, e si sappia che in gran parte ad essi si devt l'eccesso del debito pubblico nostro e il conseguente distacco del capitale dalle imprese produttive - non si può a meno di dubitare della buona fede di questi difensori delle masse lavoratrici, e di proclan:are in ogni caso assurdo il perseverare ancora a commettere gli stessi errori di prima, con la pretesa di ripararne così le conseguenze. Ove anche fosse indiscutibile l'utilità delle opere pubbliche proposte, ove anche entro un lasso di tempo abbastanza breve (e sarebbero ad ogni modo diecine di anni!) apparisse l'efficacia riproduttiva loro sull' economia nazionale, sarebbe un vero e proprio delitto politico, in un paese come il nostro, in cui lo scarso capitale rifugge già dagli impieghi tanto necessarii della agricoltura e dell'industria, il seppellire milioni e milioni sotto forma di capitali fissi destinati a giovare, forse, in epoche future: ciò possono fare i paesi già fiorenti per assicurare a sè la continuità della floridezza loro, non gia l'Italia che oggi non produce nè consuma abbastanza, e che deve impensierirsi non meno del presente che dell'avvenire. Da quale sorgente poi si deriverebbero i capitali da impiegarsi in quei lavori, lo sa chi conosce il nostro sistema tributario, locale e centrale, che grava, con ingiustizia le cento volte dimostrata, in modo prevalente sui redditi delle classi diseredate: ma, dato anche vi si sopperisse con imposte direttamente poste a carico delle classi ricche, non si verrebbe con ciò ad ogni modo a depauperare di iniziative e di capitali la produzione italiana? Così o impoverendo direttamente le masse, o restringendo vieppiù la domanda di lavoro che è b condizione della loro vita, quella munifica concessione di lavori pubblici si risolverebbe in una vera e nuova offesa a quelle clas~i che si pretende di soccorrere: si farebbe della politica democratica, press' a poco come lo strozzino fa della filantropia quando, com - mosso per gl'imbarazzi in cui cade 11 prossimo suo, lo soccorre coll'interesse del roo 010 ! Come la vittima dello strozzino, impotente a restituir capitale e interessi, ricade ben presto nella necessità di far ricorso alla generosità di lui, così l'operaio impiegato oggi in quei lavori pubblici çoncessi a rimedio della disoccupazione 1 distrugge
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