RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI 173 del casone enorme che mi stava di fronte mi pareva avessero l'aria melanconica quando s'affacciavano alle finestrelle quadre difese da grosse inferiate ; per contro io ero contento della mia fatica continua. Ma qualche volta quella gente era rumorosa e spensierata, io inquieto perchè ricercavo un' idea smarrita o inseguivo un pensiero più veloce del mio pensiero medesimo. Allora quegli inquilini del casone non mi facevano pietà. E una volta mi venne detto : perchè compiangerli? di frequente essi rifiutano la minestra, dicono che è nera per fare un po' di chiasso ; io la so saporita e nutriente appunto perchè è nera; io se trovo la mia mal condita mc la mangio in silenzio perchè l'ho pagata ; quelle buone lane non pagano nemmeno la pigione, io si, la pago: dunque perchè compiangerli? Quando parlavo cosi a me stesso erano forse i giorni dolorosi di PJsqua o di S. Michele. Ma altre volte mentre scrivevo una pagina difficile e uno sbarazzino alto due spanne aspettava la sua preda per portarla in stamperia, ecco il frastuono consueto del casone. Cominciava come un ronzio importuno, diveniva subito un chiasso indiavolato : sembrava proprio fatto per dispetto. Era il piffero o era il flauto, o erano il clarino, il corno e il trombone; si annunziavano a uno a uno, a due, a tre, poi giù tutti insieme : e ciascuno strumento sonava e stonava per conto proprio. Mi levavan di peso da tavolino, come potete immaginare : avrei gridato a voce alta: « assassini ! ladri ! » ma quei signori ladri e assassini avrebbero fatto il comodo loro per tutto il tempo della ricreazione; e io rimangiavo la mia collera e tornavo a tavolino, a buttare ancora sulla carta quattro parole per finire la pagina. -l< * * Era incominciata da poco quella rosolia antropologica che sapete : i ladri si ccminciava a chiamarli cleptomani, e ogni birbaccione avea già un altro battesimo scientifico e per padrino un avvocato della nuova scuola, a cavarlo d'impiccio se mai gli capitassero addosso un paio di carabinieri; la società era quasi preparata all'avvento del delinquente nato, e il genere umano s'avvia va senza sospetto alla de~enerazione. In quel tempo tbbi modo di conoscere personalmente il direttore del penitenziario. Egli era un uomo gentile e buono, d'una bontà intera, d'una gentilezza estrema; con tutto ciò punto minchione, e a tempo debito era severo con i suoi inquilini. Gli era rimasto un occhio solo, ma ne avea d'avanzo per vedere tutto quanto succedeva nel suo stabilimento. E vi seguivano cose punto allegre, come vi potete pensare; un giorno era un camorrista che avea mangiato la punta del naso a un mafioso ; un altro giorno una squadra rifiutava il pane o la minestra, oppure armata dei ferri del mestiere, buttava a terra il capo guardia appena entrato nel laboratorio. Subito il direttore interveniva. Entrava in silenzio fra quegli arrabbiati, posava l'unico occhio suo sulla canaglia più pericolosa, e con voce lenta e buona gli ordinava di deporre il trincetto. « Numero 602 andate in cella » Quel numero non si provava nemmeno a resistere; niuno fiatava e il N.0 602 accompagnato :dalla guardia, se ne andava in cella. Quando il direttore fu mio grande, indimenticabile amico, quando prendemmo ad amarci come compagni, quando era tanto lontana l'ora ch'io dovessi piangerlo come un fratello, egli mi fece intendere senza ombra di sussiego una verità che cava gli occhi alla gente, ma che forse la psicologia del carcere non ha ancora detto abbastanza ; cioè che il male e quasi sempre una debolezza anche quando pare la forza ; cioè che uno è prepotente perchè non può essere forte e che la massima parte delle colpe sono commesse da chi non è interamente padrone della propria volontà. E perciò il direttore riusciva a dominare i carcerati più temuti perchc egli era sicuro di quel che voleva. Quell'uomo semplice e giusto mi diceva che l'educazione dovrebbe essere data non tanto ali' intelligenza (la quale nel fare il male si aiuta magnificamente da sè) quanto alla volontà. Senza bisogno di creare la degenerazione che alla stretta dei conti non è se non un vocabolo pomposo « pigliamo, diceva egli, l'animale come è, pigliamolo da principio con le sue debolezze, con le sue forze, e facciamone un uomo ; però quando non siamo riusciti a nulla di buono, tappiamolo in carcere senza smorfie di falso sentimento ». L'amico mio diceva bene. Entrando in quel suo ordine d' idee, io soggiun~o : non è forse certissimo che i ragazzi inclinano alla crudeltà perchè non riflettono ? Oggi i sacerdoti della novissima scienza troverebbero il delinquente nato nella umanità giovane, e pure questi delinquenti quasi sempre si accomodano per via, il che proverebbe precisamente il contrario di quanto si vuole affermare colla teorica della degenerazione. Gran parola I che ha empito la bocca di tanti i quali si sono fatti una reputazione avendoci detto meno di nulla ! Per costoro siamo tutti quanti degenerati. Io scrivo romanzi, tu hai il naso storto, Sempronio ha la guardatura losca, Tizio si mangia le unghie; io, tu, Sempronio e Tizio siamo degenerati; non importa se voi potete provare di essere buoni padri di famiglia, operai onesti, impiegati di municipio quasi puntuali, non sfuggite già alla scienza novissima; un giorno o l'altro il baco vostro si sveglia e ripiombate tutti nella degenera-zione. Non parlo di me che se anche buttassi al fuoco i romanzi fatti per tornare alla imbecillità d'origine, e diventassi incapace di scrivere una pagina leggibile, come certi scienzati della scuola nuova, avrei addosso un'altra degenerazione: quella d'aver visto la luce in un paese condannato dalle ultime dottrine, le quali oggi fanno inarcare le ciglia e domani ci faranno ridere. Perchè, sappiatelo gente pietosa, io sono nato in Sardegna, isola denunziata al mondo civile come rea di essere stata invasa da molte razze diverse ma tutte piene del medesimo appetito. Voi non lo credereste, ma il novissimo dogma tanto è sicuro del!' imbecillità dei suoi ascoltatori, che non si perita di far derivare la degenerazione perfino da un fatto che la vecchia scienza ha sempre detto ottimo per migliorare la razza. E per puntellare lo sproposito è detto ancora in qualche libro della nuova antropologia che le razze le quali per vincolo di religione hanno dovuto respingere il contatto di altre razze, sono perciò più forti e più potenti. Voi avreste detto il contrario : io continuo a pensarlo e lo scrivo, orgoglioso di appartenere a un'isola dove si sa dire a voce alta il proprio pensiero, dove si patisce bensì di tutto un poco, l'esattore tutti i giorni, la fame qualche volta, ma si ha un' idea alta delta dignità, e si è generosi per ridere di ogni cattiva celia stampata e si rispetta il prossimo, sia cristiano, ebreo o turco. Nel beato tempo di cui parlo avevamo tutti quanti vent'anni di meno. Un giorno piombò nel casone sonoro che mi stava dirimpetto un drappello di studenti d'Università condotti da un professore, il quale anche allora faceva parlare molto di sè. Quel professore veniva da lontano a dimostrare con l'esperimento pratico le molte affermazioni fatte in scuola secondo la sua novissima teorica, forse fidente nella propria scienza, certo confidando anche nel caso che è sempre burlone. Si recarono tutti nel laboratorio accompagnati dal direttore, il quale avea la faccia più curiosa del solito perchè quel giorno l'occhio spento piangeva come sem• pre, ma l'occhio vivo rideva come per gioia anticipata. li professore famoso squadrò la sua materia delinquente, scelse un mariuolo e lo chiamò col dito; e perchè costui non si moveva, il direttore intervenne : « I 09, avvicinatevi ». Subito il moderno augure tastò tutti i bernoccoli
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