Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno IV - n. 8 - 30 ottobre 1898

'l(IVIST A POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI 147 tunzionare automaticamente. Non ero certo io solo il mal capitato; può darsi che il mio nome avesse eccitato un po' di più i loro istinti, rna dovetti convincermi, in base ad osservazioni dirette, che la dentro tutti i reclusi erano incoscientem,nte trattati come me. Non mi ricordo più con precisione di tutte le piccole torture di quel luogo; ma sono in grado di affermare che quel residuo di sentimenti buoni, che vi portano i delinquenti comuni, viene completamente distrutto in quell'ambiente. Ciò che racconterò ora è una parte minima e di poco conto dei tanti casi ordinarii di tutti i giorni. Il governo non passa calze ai condannati : le calze che io avevo nel carcere giudiziario erano nere, bleu e di qualche altro colore; giunto a Pallanza mi si tolsero, dicendomi che il regolamento permetteva so!tanto le c;:lze bianche, e mi lasciarono un solo paio lacere, che avevano perduto il colore originario. Con le scarpe del reclusorio, ruvide, pesanti e piene di chiodi di ferro che spuntavano all'interno, ci "olevano ben altro che quei brandelli di calze per proteggermi il piede. Pregai per averne un altro paio e mi si rispose che dovevo smetterla con le mie delicatezze da signorino. L'amministrazione passava a ogni condannato un fazzoletto di color marrone, che si cambiava ogni settimana e spesso ogni quindici giorni: chiesi due fazzoletti bianchi dei miei con l'intenzione di adoperarli anche come calze, ed ebbi la stessa risposta. Le guardie incaricate di aprirmi la cella per farmi fare la pulizia cominciarono a borbottare e a sgridarmi fin dal primo giorno perchè cammi• navo zoppicando e perdevo molto tempo in una faccenda tanto semplice. Fortunatamente mi riusci di persuadere qualcuno che ero docile e che mettevo ogni cura a fare il buon galeotto : si capì che mancavo invo'ontariamente, che la mia colpa consisteva nel non avere l'abitudine a portare delle scarpe piene all'interno di punte di chiodi di terro e senza calze; e dop) pochi giorni, per il buon andamento del servizio, mi si concesse di farmi battere le punte dei chiodi e di comprare due paia di calze. Ma erano troppo fini per quelle scarpe, non mi difendevano bene il piede, e continuai a camminar male; e fu in grazia di ciò che dopo qualche altro giorno ebbi il permesso di comprarne altre due paia, con questa r.tccomandazione testuale, fattami a bruciapelo dal direttore: « ehi! 774, guai se vendete le vostre calze, sarete punito e rimarrete a piedi nudi ». Misi due calze per piede e le guardie, vedendomi camminare svelto, non mi sgridarono più. Il problem1 però non era ancora risolto bene, perchè la biancheria si dava a lavare ogni srnimrn1 e spess'.l ogni quinlici giorni e ci v0leva alcre:tmto per riaverla p'.llita, quinr:li biso - gnava esserne forniti almeno per un m::se: m, gia mi ero reso un pò padrone del locale e delle abitudini dei condannati, e presto mi fu facile comprare d1 questi altre c.1lze e due fazzoletti bianchi, dando in cambio del pane e del formaggio, la cui origine veniva dal regolamento che permetteva a ogni condannato di spendere nel primo periodo venticinque ce 1tesimi al giorno e nel secondo trentacinque centesimi. Cosi Ji nascosto, da ladr-o, riuscii a protegger bene i piedi. Torniamo agli occhi : venne la congiuntivite, dapprim"a leggera, poi forte, e dovetti rinunziare alla luce e all'aria. Innanzi al pericolo di un grave danno, decisi di ribellarmi : ch'esi udienza dal capo guardia, che era un buon uomo, e gli dissi, senza tanti preamboli, che siccome nessuna condanna mi aveva tolto il diritto all' integrita della vista, e d'altra parte era inutile ricorrere al ministero contro le violenze subite perchè il ricorso non sarebbe partito, avevo deciso inflessibilmente a non scrivere alla famiglia quando si sarebbero compiti i tre mesi prescritti dal regola111ento (ci volevano pochi giorni); cosi la famiglia, non avendo mie lettere, con molta probabilita si _.lrebbe rivolta al ministero per sapere se ero vivo o morto, e qualche cosa ne sarebbe nata per la tutela della mia vista. Dopo qualche giorno vennero gli occhiali, ma neri e di pessima qualità, non bleu chiari e fini come li avevo chiesti io. La congiuntivite acuta se ne andò, ma la vista mi si stancava e non potevo leggere. Pregai il medico di fare comprare a mie spese un'altra paio bleu chiari e fini, e m'insultò cou le solite risposte: erano pretese signorili che dovevo abbandonare se ero un vero socialista. Il direttore era ammalato e non c'era udienza per nessuno; si incaricò il cap'.>guardia di fargliene parola, e il povero buo:i uomo non dovette avere una risposta migliore della mia, perchè l'indomani mi consigliò, da parte del direttore di rassegnarmi da buon condannato e abituarmi a leggere con gli occhiali neri. Intanto i tre mesi si compirono, e mi diedero la carta per scrivere alla famiglia: venne fuori, non una lettera ma u1a denunzia serena, da storico, sulle rr:olteplici violenze che si commettevano a mio danno ; non parlavo dei colpevoli, non li nominavo, citavo fatti, tacendo degli insulti e attribuendo tutto al regolamento. Il capo guardia mi chiamò nel suo ufficio e mi pregò gentilmente di scrivere un'altra lettera, senza alludere in nes;una maniera a ciò che succedeva dentro il reclusorio, perchè se avesse presentata alla direzione la lettera che gli ave110 comegnata, oltrechè no:i. si sarebbe permesso che fosse spediti, sarei stato punito, non essendo lecito ai reclusi raccontare· alla tamiglia ciò che avviene in quei sepolcri di vivi. Lo ringraziai sentitamente e gli dissi che ero irremovibilmente de~iso a subire in pace qualsiasi punizione e a non scrivere altre lettere. Con la mia lettera non era possibile adottare il metodo che si adottava con le lettere degli altri condann:iti, che consisteva nel cancellare arbitrariamente, all' insaputa del mittente e qualche volta punendolo, ciò che non si voleva far conoscere fuori: io conoscevo gia il giuoco e l'avevo scritta in modo che avrebbero dovuto cancellarla tutta. La lettera andò in Jire7.ione : i compari capirono che lasciare la mia famiglia senza mie lettere, era un esporsi al pericolo di rendere pubbliche le loro violenze; capirono molto probabilmente che la mia condotta irreprensibile come recluso e il non avere avuto mai la sciocchezza di fare il pettegolezzo quando insultavano e manomettevano i miei diritti, non significavano paura delle punizioni, ma ben altr,), e mi pregarono di scrivere un'altra lettera, concedendomi gli occhiali bleu e qualche altra cosa che il regolamento concedeva e che essi volevano togliermi.

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