'JtlVISTA .POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI il Cattaneo ci grida : « Signori, l'umanità è ben giovine » (VI, 288). Ne' suoi molti scritti, che pure ridondano di citazioni, come vedremo, non ricorda che una sola volta il nome del Leopardi, ed è dove allega una sentenza dell'epistolario di lui a proposito di traduzioni (II, 192). Noi non dubitiamo che a lui volesse accennare in queste parole che ricorrono come di passaggio nelle Notizie sulla questionedelle tariffe daziarie negliStati Uniti (V, 96-97). « É qualche anno dacchè i poeti, rinnegano le più antiche e più benefiche e venerande fonti di questo nostro laborioso incivilimento, e calpestando l'eredità dei primi nostri avi, calunniano l'umanità come se fosse stata improvvisata ieri ; e fanno ciò con molte filosofiche frasi. È moda e gergo e si logorerà». Dalle quali parole insieme si vede come, anche circa ai destini delle lettere, egli fosse ben fermo « in quella fede d'un continuo progresso, dalla quale sembra compreso il nostro secolo » (III, 142). E nella Prefazione al 1° voi. delle Memorie d'economiapubblica (IV, 10): « Il nostro secolo porta a insegna sua la nuova e fausta dottrina del progresso continuo e illimitato·». Ma l' incremento letterario vuole essere promosso in più maniere. « Noi abbiamo gran bisogno d'allargare il cerchio e uscir dalle abitudini timide e superstiziose, che rendono fredda e debole la nostra presente letteratura : dobbiamo guardarci intorno, e tornare europei, per essere italiani al modo che lo furono Petrarca ed Ariosto » (I, 91). Altrove deplora che « noi scriviamo poco per noi, nulla per gli altri » (I), e che badiamo, a vilipendere la patria, anche amandola, vizio questo « da cui tutta la nostra letteratura è contaminata » (VI, IIO ). « Anche noi come l'Europa abbiamo rinnovellato il nostro vivere; ma se le altre nazioni d'ogni ruscello loro fanno cascata sooora e spumeggiante, il progresso nostro potrebbe piuttosto dirsi come l'acqua de' nostri laghi, che sembra dormire sopra immote profoudità, mentre pure con tacita vena trasmette al fiume il tributo dell'alpestri giogaie » (2). Per converso, pochissimo ci è noto delle altre letterature. « Abbiamo per singolar ventura un Omero, e il più omerico che abbia l'Europa; ma non possediamo ancora Shakespeare... nulla degli Ara bi, degli Indiani, degli Scandinavi, di tutti gli altri popoli primitivi.... Di molte letterature europee non abbiamo trattato alcuno » (V, 336-37). E si diffonde a parlare dell'importanza delle traduzioni e delle difficoltà che s'incontrano nell'eseguirle, delle norme a cui attenersi (3), tra cui notevole quella che si abbia a metter sempre il testo originale di fronte alla versione (I, 9 I). Conchiude lo studio parallelo sopra il Filippo e il Don Carlos dicendosi lieto che « da ogni lato si apportino pure le straniere dovizie a fecondare il nostro terreno », poichè « l'intelletto, a modo del mare, deve ristaurarsi e nutrirsi coi liberi tributi di tutta la terra » (I, s 8-59). « La nazione della intelligenza - dice ancora col Mazzini - abita tutti i climi e parla tutte le lingue » (V, 330). Anzi, v' hanno tra le grandi nazioni certe arcane simpatie « per virtù delle quali presso un popolo talora si rifletta la similitudine d'un altro popolo, per cui Canova potrebbe dirsi greco, Beccaria francese, Mozart italiano » (I, 73). « Se l' India ci diede le cifre decimali, se gli Arabi ci diedero il concetto, o almeno il nome dell'algebra e della chimica, il logaritmo fu indicato nell'estrema Scozia; Newton, l'interprete delle leggi degli astri, visse nel più nebuloso dei climi ; e Linneo, che unificò nell'idea del fiore tutto il regno vegetale, visse tra le nevi della Svezia » (VI, 2 63). Lo stesso fatto si verifica nella storia delle lettere. « Non è ben certo che senza i Provenzali avremmo le canzoni d'amore; e che senza le fiabe d'Arturo e del Cid (1) 'De/l'i1lsurrez.io11e. ecc. p. V. (Al lei/oreitaliano). · (2) Allocuziotte /e1111/alla distribuzione dei premi alla Società d'i11coraggiame11dlo'arte e mestieri /'a11110 1845. (Sta negli atti di detta società). (3) Le trasfor111az.iod1i1Oi vidio e i tradtttloridi esse (II, 190 sgg). e di re Carlo avremmo l'Ariosto ... E nel secolo scorso, quando Metastasio e Goldoni e Alfieri si trassero fuori dalla letteratura barocca, ci furono per qualche cosa anche Racine e Moliere. Ne prima di W. Scott ad alcuno in Italia era caduto in mente, che si potesse far leggere una prosa italiana a tutta l'Europa, narrando, non il ritorno d'Ulisse, nè la partenza di Colombo, ma il viaggio d'un povero filatore che scampa dalle forche per le brughiere di Gera d'Adda. Avanti dunque colle traduzioni delle illustri opere d'ogni lingua e d'ogni paese! » (I, 6 I). E, pure col Mazzini, propone che si raccolgan tradotte le migliori tragedie e commedie di tutti gli idiomi. (Coniinua). D.r PAOLO BELLEZZA. L'ALFONSISMO A NAPOLI Nello spazio assai breve di un mese la sezione Montecalvario ha fornito alla cronaca nera de' giornali napoletani tre o quattro fattacci il cui disgustevole argomento, uguale sempre e caratteristico, definisce in peculiar modo uno de' più popolosi quartieri della città. Qui male femmine e alpbonses a carrettate: qui, dove più oculata e più severa si dovrebbe rivolgere a costoro la vigile atten~ione delle autorità di pubblica sicurezza, un'ispez:.ione che non ha alcun prestigio, uno scarsissimo numero di agenti e la tolleranza, da parte loro, delle maggiori sconcezze, che h;.inno così il sole a testimone come la luna e le altre stelle. Il famoso Largo delle baracche, al quale ha conferito una celebrità patriottica il quarantotto, or ne ha conquistata un'altra che non è minore di quella, se si voglia tener conto d'una retrospettività storica che salta a pie' pari un paio di secoli e raggiunge nientemeno che gli anni così detti del rinascimento, in cui gli uomini nacquero o rinacquero un poco più porci di prima. Non v'adombrate delle citazioni storiche : si dice che la storia molte e varie cose insegni, e, sopra tutto, che insegni con che metodi l'umanità abbia proceduto nel suo cammino civile. Sì, davvero ! Da che siamo, un mio amico ed io, dietro a uno studio sull'amor libero io Napoli andiamo proprio illuminandoci a quell'aforisma! Tutta via la nostra investigazione ci diletta : come coloro che scrivono di battaglie senza esserci stati in mezzo noi proviamo la tranquilla voluttà di somiglianti ricerche, indisturbate ed intente. L'alfonsismo ha, certo, una remota origine, ma la sua vera storia nel napoletano - una storia scritta - principia da quel secolo che per gli altri fu dttto d'oro e per noi, liberati a pena da un dominio increscioso, segnò un periodo novello di schiavitù negli anni del viceregnato spagnuolo. Non vi voglio seccare con la narrazione delle piraterie d'ogni sorta con cui fu inaugurato l'avvento de' nostri fratelli di razza latina nella nostra città : la Spagna, mi pare, si compiaceva, in que' tempi, d'una particolar cultura di sanguisughe : le chiamava Vicerè, le spediva a Napoli smunte e flosce e se le ripigliava quando proprio s'erano ben rimpinzate. Tanto per citarne una delle più feroci ecco, per esempio, la frase che il Medina Coeli scriveva a un suo amico: « Ho lasciato il Regno così ricco che non vi sono neppure quattro buone famiglie che abbiano da sfamarsi ». E il famoso duca d'Arcos gridava a tutti coloro che si lagnavano o adducevano la povertà loro : « Pagate! Pagate! Vendete l'onore delle vostre mogli, e pagate!» La via di Toledo - e questo lo conoscete - prese nome dal vicerè don Pietro di Toledo che fu de' meno tristi nostri governanti in quel torno. Fu compiuta verso gli ultimi annj della prima metà del cinquecento e il nuovo quartiere che sorse al suo lato occidentale, sulla collina la quale prima apparteneva a' monaci di S. Martino, si popolò ben presto di soldati e di nobili spagnuoli.
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