RIVISTA POPOLARE 'DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI cui fu proclamato; il nesso non occorre più, basta l'analogia dei reati stessi o dei fini. In una determinata epoca Tiz' o con un discorso, con un articolo, ha diffuso, in un determinato luogo, l'odi o di classe: se, dopo un tempo qualunque, in quel luogo si determinano fatti che allo stesso famorn odio sembrino inspirati, per trascinare tutto al Tribunale di Guerra la prova della causalità non occorre, basta il ai terio più semplice e popolare del post hoc,propter hoc. Che più ? In talune di quelle sentenze si è scritto perfino questo : che le eccezioni di incompetenza non potevano affacci1rsi alla Corte Suprema, se ·prima non erano st.1te affacciate al Tribunale di Guerra: e questo mentre centinaia di responsi, invariabili, di tutte le Cassazioni del mondo, la nostra compresa, hanno sempre affermato che i vizii di competenza, per la loro qualità di eccezioni d'ordine pubblico per eccellenza, da nessun silenzio potevano essere sanati. E cosi l'ambito suggello della Corte regolatrice ebbero le condanne di Romussi, di Chiesi e di Federici, di Turati, di De Andreis e di tanti altri. È bensi vero che il Procuratore generale riconobbe essere quelle sentenze tutta un'Antologia di violazioni di legge: è ben vero che egli chiese, e la Corte consentì, il rigetto con dispiacere: cioè colla convinzione dichiarata che si trattava di iniquità alla quali non aveva facoltà sufficienti per riparare. Ma tutto questo, in definitiva, costituisce un abbastanza modesto conforto non diciamo per i condanna'.i e per le loro famiglie, ma per la profondamente turbata coscienza giuridica del paese. Non farò conclusioni, perchè una nota della Dire:zione ad un mio precedente articolo, mi avverte che il Fisco prtferisce gli articoli .... sconclus:onati. Ma· non posso a meno di rilevare un fatto che dà carattere di gravità particolaris~ima, alla sentenza del Magistrato Supruno nella causa Turati e De Andreis. Fra i motivi dedotti, il Yaloroso prof. Majno, che, mirabilmente scconda,o dal deputato Marcora, a queste ultime vicende giudiziarie partecipò con grande dottrina id abnegazione, ye n'era uno cosi formulato: << Il Tribunalt: di guerra giudicava Turati e De Andreis per l'art. 134 (complotto) e per l'art. 252 (eccitamento alla gut:rra civile-). L'a · t. r 34 non era compreso nei bandi: restava quindi di competenza ordinaria, e per la legge della .conne,sità, esplicitamente ammessa dal Codice militare, il reato di competenza ordinaria doveva trascinare davanti al magistrato civile, a11che quello di competenza eccezionale. Nè ostava che per l'art. 134 ci fosse stata l'assoluzione, -essendo universalmente riconosciuto che i tribunali devono essere competenti quando si accingono " giudicare, e non diventarlo in proseguo per la qua!ità della sentenza che danno. n La tesi era co~i graniticamente inoppugnabile, che lo s:esso P. M. non potè a meno di accettarla completamente. Se non che disse : di com plotto si può essere parlato magari per errore di un Segretario con un numero sbagliato del Codice ndl'Atto d'acctSa, ma in sostanza esso non fu tema di discussione e di giudizio, perchè non ~i prospettarono in alcun modo in Tribunale fatti di eccitamento alla guerra civile e fatti di complotto, ma fatti unici, sempre gli stessi. Dunque l'art. 134 era esso viziato, ma non viziava il giudizio. E, sotto le strette de\ tempo e l'imperio di una giornata canicolare, la Corte Suprema accettò questa constatazione di fatto, e respinse an,he questo motivo. Ora basta ricordare che l'art. 1 34, ben lungi dall'essere una superfetazione erronea dell' atto di accusa, fu q;;asi il principale argomento di discussione della ca usa. Il fatto che es~o poneva in essere era ben distinto da quell,1 degli individuali eccitamenti alla guerra civile. Era la ipotesi di un concerto prev:amente intervenuto tra gl' imputati nell'intento di far scoppiare la rivolta. La requisit0ria dell' Avv. Fiscale ci insistette, anzi, con meraviglia di tutti,r dopo la sentenz:i dei giornalisti che l'aveva esclusa, fatti come la flmos:i riunionefin casa Cerretti ed altri furono addotti per cercare di sostenerla, e la sentenza dedica tutta la sua prima parte ad esaminare questi fatti per escluderla. Dunque, se non ci possono essere a questo mondo due verità oggwive, se le discussioni di un Tribunale e i e, considerando )) di un.1 sentenza debbono essere la stessa cosa p~r chiunque abbia due occhi e due orecchi, alla stregua della ~tessa esplicita solenne confess;one giuridica del Procuratore Generale, anche ridotta la competenza della Cassazione al minimo dei minimi termini, la sentenza De Andreis e Turati doveva rssere cassata. Cioè, i nostri due ottimi colleghi Turati e De Andreis restano condannati a dodici anni di reclusione per una svista, per un equivoco. Ed io sono certo che tra i Magistrati della Cassazione che giudi.:arono in quel giorno ve ne sarà più di uno il quale potrebbe affermare che senza quell'equivoco, indotto certo nella massima buona fede dal Procuratore Generale - e non abb.1stanza controllato in Camera di Consiglio - essi avrebbero dato il voto per can• cellare la sentenza. Ed anche questa convinzione può essere un elemento di conforto per i Deputati condannati dentro, per i cittadini che sentono il bisogno di credere nella giustizia, fuori. SALVATORE BARZILAI ~~ L'ingratitudine deimonarchic Per amore di brevità ho messo un tit0lo incompleta a questa chiacchierata: non della ingratitu.- dine soltanto, ma anche un po' della smemorataggine dei monarchici italiani intendo occuparmi. Caso strano: nelle innumerevoli polemiche e negli articoli sesquipedali sugli ultimi tumulti, e sulla conseguente reazione, non è stata rilevata la labilità di memoria dei signori monarchici sulla loro precedente condotta verw il socialismo e i ~ocialisti italiani. Mi spiego. Sino a poco tempo fa n<Jn c' e stato giornale monarchico - dalla Tribuna al Don Chisciotte, dal'a Stampa al Giornale di Sicilia ecc. - che non abbia incensato in un certo senso al socialismo e ai socialisti, e che non ne abbia favorito più o meno direttamente la propaganda. La stampa più autorevole della borghesia vero è che non intese mai
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