Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno IV - n. 2 - 30 luglio 1898

RIVISTA POPOLARE 'DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI gliere le associazioni ed arrestare i capi. È una politica che non potrebbe essere più semplice. Ma ora si dice ; il Governo bisogna che faccia qualche cosa, nessuno dubita di ciò. Questo del « qttalcl,ecosa » da fare è la grande peste dei politici italiani. Quando si parla con qualcuno di essi, la prima affermazione che si sente ripetere non è che sia necessario volere che un programma determinato trionfi ma si dice da tutti che bisogna mostrare di fare qualche cosa. Questo qualche cosa così indeterminato, così mutevole, spesso è peggio che un programma di dissoluzione, Il malcontento è generale. - Ora noi siamo usciti dalla più terribile prova dell'Italia moderna, senza avere nulla appreso. I fatti del maggio scorso possono essere giudicati con serenità ora che la calma è, almeno in apparenza, ritornata, e apparranno tanto più gravi quanto maggiore è la serenità con cui li giudicheremo. Poichè la prima cosa che da essi risulta è l'ampiezza del malcontento. Il prezzo del ·pane è stato causa occasionale, ma i tumulti hanno assunto le forme più gravi proprio dove la ricchezza è maggiore o almeno la povertà minore. Non vi è alcuna zona d'Italia, non vi è forse alcuna classe di produttori italiani che sia contenta del proprio stato di depressione, tranne una classe di intermediari, di avvocati politici, di costruttori per cui sembra che questa organizzazione ponderosa sia fatta. Instabilità dello Stato Italiano. - Il piccolo Belgio ha un numero di elettori socialisti enorme: un milione e più ne possiede la Francia, e due milioni circa la Germania. L'Italia non ha che un numero relativamente tenue di elettori socialisti e rivoluzionari e, a prima giunta, può sembrare che il suo assetto politico sia più stabile. Invece esso non ha nulla di stabile: poichè le stesse classi più naturalmente conservatrici gli sono avverse, o almeno non saprebbero difenderlo se "non per paura di peggio. Non vi è nulla che sia più esiziale a una istituzione quanto il sentir ripetere che essa non può durare. Or con chiunque si parli in Italia, se si nota spesso l'assenza di convinzioni decise e precise, si sente però ripetere sempre la stessa cosa : - Così non si va avanti ..... Le cose non possono durare..... Chissà che cosa ne verrà.. .. Noi andiamo ogni giorno peggio ... Sono affermazioni vaghe; ma niente è più rivoluzionario di sua essenza che queste forme di vago malcontento. Nulla si fece di buono, si fece tutto il male possibile. - Sono cinquant' anni che lo Statuto è stato proclamato e quasi quàranta che l'Italia è stata costituita. Dal 1866 in poi si può dire che non abbiamo avuto una grande guerra ; un periodo di pace che forse non avremo più. Ebbene, che cosa abbiamo fatto in quarant'anni di unità e in trenta di pace ? Altri in molto minor tempo han conquistato la prosperità, altri la forza; noi nè l'uoa cosa nè l'altra. Lo stesso ministro di agricoltura che inaugurava l'esposizione di Torino, volendo nella constatazione dei progre:si compiuti ricorrere al genere lirico ha dovuto limitarsi alle constatazioni più insignificanti. E intanto che cosa è avvenuto ? Il debito pubblico dal 1862 ad oggi si è più che quadruplicato: in venti anni le spese pubbliche dello stato e degli enti locali si sono raddoppiate. E mentre le spese pubbliche aumentavano, per no processo inevitabile, pigramente si svolgeva la ricchezza privata. Nel 1862 l'onere del debito pubblico non rappresentava nel bilancio di ciascun anno che presso a poco il 1 5 °1, del bilancio stesso, rappresenta ora il 43 °r0 circa. Mentre l'altra parte i servizi civili, che erano allora rappresentati da circa un terzo, sono ora da meno di un quinto. Bilanci militari enormi e dissipazioni in costruzioni, la cosidetta politica del lavoro, che ora ritorna a galla, ci hanno menato allo stato attuale, che non potrebbe essere peggiore. Dopo trent'anni di pace abbiamo ora il corso forzoso, i cambi elevati, il debito pubblico enorme, le imposte altissime, le tariffe doganali deprimenti ogni traffico ed ogni industria, e, quello ch'è peggio, un'amministrazione che non potrebbe e;sere più pesante e più costosa. I politicanti trovano che si esagera. La Francia, essi dicono, ha un debito pubblico triplo del nostro, cd è ricchissima; la Russia ha il corso forzato e le sue industrie prosperano ; la Spagna ha i cambi sfavorevolissimi e fa guerre ; gli Stati-Uniti hanno tariffe doganali quasi proibitive per alcuni generi e progrediscono meravigliosamente ; l'Austria ha impc ste molto elevate eppure si sviluppa; l'amministrazione di alcuuè Stati non è migliore della no5tra eppure si va avanti s~nza tante difficoltà, Tutte queste cose sono vere ; ma il male è che l'Italia non ha uno di questi mali, ma li ha tutti insieme come non li ha nessun paese di Europa e che vengono acuiti dall'accrescimento rapido della popolazione e dall'aumento vertiginoso delle cosiddette professioni liberali. Il Parlamento è migliore del Paese. - Io sento dire molto male del Parlamento: e ora è quasi di moda scriverne il maggior male. Sono più acri coloro che non vi sono giunti e coloro che aspirano (l'aspirazione di metà della popolazione borghese da 40 anni in su) al comodo ufficio di Senatore. Il Parlamento è stato qualche volta migliore del paese: sempre ha più di esso resistito. I ministri che hanno fatto più male hanno trovato più resistenza nel Parlamento che nel Paese : anche ora la Camera dei deputati è più liberale del Paese, ed è migliore della classe che rappresenta. Senza dubbio vi sono troppi avvocati: e avvocato e deputato sono due cose che mal si conciliano dal punto di vista dei buoni ordinamenti politici. Mal si conciliano in un paese povero, c;ve enorme è il numero degli avvocati e ove la magistratura non è forse corrotta, ma è certamente timida per la sua povertà stessa. Vi sono nel Parlamento, senz1 dubbio, troppi militari, ed è danno non men grave del primo, poichè i militari sono nelle assemblee politiche causa di dissoluzione, se non di corruzione. Ma che cosa volete che faccia il Parlamento ? Decine di migliaia di persone uscite dalle scuole superiori e dalle medie, fremono per ottener posti; per aver lavoro, come si dice, quasi che il lavoro si potesse creare dallo Stato. II Parlamento è stato costretto a votare molte spese solo per questo: l'inframmettenza dei deputati è spesso solo determinata da cause di tale natura e volerne fare dtbito ad essi soltanto è ingiusto o non è morale. Il male è più grande e la causa più profonda, Alla propaganda bisogna opporre la propaganda. - In tanti Stati non vi sono leggi restrittive, e l'ordine è molto più grande che da noi. Poichè prima di tutto le cause di discordia e di lotta sono molto minori, e poi chi possiede o lavora sa che ha il dovere di lottare. Vi è uoa propaganda cattolica, una propaganda comunista, e una propaganda anarchica. Ebbene chi impedisce a noi di fare una propJganda opposta? È il nostro diritto ed è anche il nostro doverè. Noi dobbiamo lottare contro il male, ciò che noi crediamo il male : la salute è in ognuno di noi e non bisogna cercarla altrove, sopra tutto chiederla allo Stato, che in Italia ha risoluto il problrn1a di esser nello stesso tempo fiacco e pletorico. Invece noi preferiamo non disturbarci, quasi che la vita stessa non fosse una lotta ; noi vogliamo comodamente esigere le nostre rendite, i nostri stipendi, piccoli o grandi. e non curarci di altro. Lo Stato ha il dovere di dichiarare delinquente chi è contro di noi, sia egli prete, comunista o anarchico. Le condi:iioni di esistenza dello Stato laico mancano in Italia. - li popolo cui si toglie ogni fede nella religione è disposto ai rivolgimenti che assicurino la fdicità in questo mondo; è forse una illusione, ma è anche una illusione non indegna. Lo Stato Italiano è invece, dal punto di vista econo• mico e sociale, quanto di più ingiusto e antidemocratico si .possa irnaginare, e nello stesso tempo è costretto, per necessità di difesa, a deprimere ogni aspir.zione larga, ogni movimento che sia rivolto contro di esso. Ebbene un popolo che si trova nel terribile contrasto in cui è il popolo d'Italia, che non può essere sinceramente cattolico nè apertamente socialista, non è possibile che si adatti se non godendo di una notevole prosperità materiale avendo ordinamenti politici di una completa onestà. Per trent'anni, si sono chiesti sacrificii crescenti alle masse, si è tolto loro tutto ciò che si poteva togliere. Le derrate di maggiore consumo sono colpite in proporzione del 100 e del 200, perfino del 350 e del 400 per 0 r 9 . È orribile pensare che quando in un paese non lontano deJ nostro, in cui i salari sooo tanto più alti, il pane di prima qualità costa 25 centesimi il chilo, il sale IO centesimi, il petrolio 10 centesimi il litro, il caffè 2 lire al chilogramma e lo zucchero 1 lira, in Italia debbano esservi, per colpa di cattivi ordinamenti, i prezzi attuali. Eppure il popolo si rassegnerebbe anche alla miseria se l'anima nazionale vibrasse, se un legame comune si unisse in qualche cosa o per qualche cosa, sopra tutto se l'amministrazione e la giustizia fossero oneste. Popoli traversati dall'idealità religiosa, o dominati da una febbre di grandezza e di espansione, si sono rassegnati ad una miseria ancora più grande ed hanno triontato. Ma gl' ideali che si additano alle nazioni sono artificiosi e n~ssuno crede in essi, ·

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==