'}{)VISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI 35 « Santella ». In fondo, rimpetto a lei, l'alto anfiteatro della Riviera Casiliua il cui largo arco era terminato dalla fabbrica rozza e massiccia della polveriera. Le finestre di riva Casilina trattenevano ancora il lume del tramonto e se ne accendevano; abbasso, quasi sull'ar•· gine del fiume, l'infame contrada « Mazzamauriello » sciorinava su .d'un sentiero invisibile le sue due o tre casucce a un sol piano. Con la bocca schiusa, con le braccia penzoloni, volte le spalle al tramonto, la donna non distaccava lo sguardo da quel gruppo di case : di là, su pel fiume, pareva che le dovesse arrivare una voce aspettata, un susurro che la chiamasse. E fascinata, immobile, ella restava lì ritta, tra le ombre che scendevano rap:damente sul ponte. L'ora scoccò all'arcivescovado. Letizia si volse attorno, smarrita. Era notte. S'era spento l'incendio del bosco, il cielo s'era chiuso, un velo plumbeo, subitamente, scendeva sulla riviera Casilina e la nascondeva. Nell'ombra, alcune forme confuse passavano sullo spiazzo e si disperdevano. Allora ella scese dal ponte verso il Corso Appio. Traversò lo spiazzo con celere passo, tutta raccolta nello scialle : pareva frettolosa. E pur, sul punto di penetrar nella via cittadina illuminata e viva, per un momento ~i soffermò, parve incerta. Ma ella voleva soffocar nello scialle un singhiozzo, nascondervi le sue lagrime, da che piangeva, procedendo. Fu un attimo. Poi mormorò: - Andiamo. Volontà di Dio. Volontà di Dio! Spaventata da quelle sue parole medesime che le risuonaron dentro come una voce sacrilega ed empia per la sorte ch'ella si sceglieva, Letizia si premette le labbra co11 un lembo dello scialle, come per soffocarvela nell'atto stesso che ne usciva. Ma vide, davanti a lei, luminoso, ftlice il Corso Appio: alcune donne ridevano sulla soglia d'una bottega, un cuoiaio tranquillamente fumava presso alla sua, appoggiato allo stipite, e con un cicaleccio allegro, parlando di cose vane e giovanili, sbucavano da un palazzo tre o quattro fanciulle e passavano. - Sì, si - disse Letizia, disperatamrnte, al cospetto di questa indifferente pace d'anime e di cose - Volontà di Dio .. volontà di Dio !... Entrò nel Corso Appio e andò avanti, risoluta. IV. Andava, andava, senza fermarsi, a testa bassa. In Piazza dei Giudici, ove metteva il primo tratto del Corso, da un globo enorme si diffondeva la luce elettrica e il vaporoso pulviscolo d'una pioggerella fitta e fredda wteava, penetrato da quel lume, per breve spazio attorno. Alle prime avvisaglie della pioggia i capuani avevano disertata la piazza, vi rjmanevano dei soldati d'arti&lieria, a piccoli gruppi, un crocchio di borghesi, che s avviava, per ripararvisi, all'androne del palazzo municipale, due carabinieri ammantellati, gravi, lenti, solenni, e lo scemo del vico Cimino, un piccolo uomo di forme, e di fisonomia scimmiesche le cui membra piteciche, s'aggrovigliavano al palo del lume elettrico, sferzate dalla pioggia e tremanti. Come Letizia passò davanti all'Arco Mazzocchi una folla d'operaie del laboratoio pirotecnico ne venne fuori con alte voci confuse, imprecanti alla pioggia, e si dispose lungo la murata del Municipio, trascorrendo verso Porta Napoli, ove il corso finisce. Letizia si mescolò a quella folla e andò avanti. Di tratto in tratto se ne staccavano due o tre delle operaie e pigliavano, per rincasare, altre strade. Presso Porta Napoli la comitiva si era diradata: le tre femmine di un ultimo gruppetto, che Letizia seguiva, a un tratto si misero a correre, rincorrendosi, strillando, con le gonne raccolte, e presto sparvero nel buio. Letizia s'arrestò: si guardò attorno, cercando. Poi fece ancora quattro o cinque altri passi e scomparve nell'androne d'un palazzetto a una delle cui finestre basse penzolava, sbattuta dal vento, la leggenda d'una locanda. Per la scala sali a tentoni: non v'era lume, ma ella conosceva il numero de' gradini e il posto della porticina alla quale picchiò, con la mano spiegata, due volte. - Viene - disse, di dentro, una roca voce maschile. S'aperse la porta e un fiotto di luce dilagò sul pianerottolo: l'uomo che aveva aperto reggeva il lume nella destra, stringeva gli occhi cercando d'af!ìsar bene la sconosciuta e si traeva addietro per lasciarla passare. - Bè - disse ancora, dopo aver chiuso ruscio, cautamente, senza far rumore - In che vi devo servire? Levò il lume fino al volto di lei e con l'altra mano fece visiera alla fiamma. Ma com'ella si liberava dallo scialle, raccogliendolo sul braccio, e gli si rivelava, immobile, ritta di contro a lui e muta, e tutta illuminata nella pallida faccia, l'uomo esclamò: - Letizia I Ah, tu sei, dunque? E voltandosi a una porticina socchiusa, dietro la quale una voce borbottava, annunziò : - È Letizia di riva Casilina .... Letiziella, quella del furiere... · Cessò il borbottio dietro l'uscio socchiuso. Una voce chioccia, mentre l'uomo riponeva il lume sulla mensa dalla quale s'era levato, salutò: - Buona sera. Ora vengo. - E mia moglie Chiarina - disse l'uomo, sedendo presso alla tavola - Ha le gambe enfiate, con rispetto, e le unge con certa pomata che ho preso a Napoli. Per giunta ha un emicrania da cavallo. Sarà il tempo. Accennò una seggiola. Soggiunse. Non siedi? Vuoi crescere ? Devo parlarvi - disse Letizia. Meglio. Dunque siedi. Che mi dici ? Il furiere che fa? Il furiere m'ha lasciata, don Placido. Oh ! - fece l'uomo, battendo la mano aperta sulla tavola - Possibile ? Senti, Chiarina - e si girò sulla seggiola, parlando all'u~cio socchiuso - Dice che il furiere l'ha lasciata. - Vengo - rispose ancora la voce. Don Placido, un grosso uomo rossastro, quasi calvo, br_utale, animalesco tese la mano a un piatto ov' era della carne d'agnello e se ne recò un pezzo alla bocca, strappandogli, co' forti molari, fin !'ultime cartilagini. Si versò del vino : sotto il lumr, stretta al collo della bottiglia, la sua mano tremava come per impeto di sangue; sul dosso vi rigurgitavano le Yene enfiate e le dita vellose ed unte, terminate da piatte e corte unghie, lucevano del recente contatto della dvanda. Un alito impuro emanava da quella stanza e dai suoi abitatori, come un fiato di anime e di materie corrotte. - E ora che vuoi fare? Ella aperse le braccia e chinò la testa, rassegnata. Meglio delle parole rispondeva l'atto e don Placido ne comprese tutta la muta disperazione. Ma rimase indifferente, senza pietà, come abituato a cose somiglianti. - Vuoi andare a Napoli? - chlese, dopo un momento. - A Napoli? - balbettò Letizia. - Vi ho un amico. 'l'i raccomanderò. La città è grande, vedrai; e qualche altra vi ha fatto fo1tuna ... Un rumore gli ruppe la parola. Un colpo di tosse suonava in ·un'altra stanza la cui rorticina, alle spalle di Letizia, era pur chiusa. Letizia trasali e l'uomo si mise a ridere. - È la bionda disse, guardando a quell'uscio. - Una di Caserta. Parte a momenti per Napoli e io l'accompagno alla stazione. La breve tossiciaa risuonò un'altra volta. Don Placido, senza badarvi, soggiunse: - - Per questo ti domandavo se ti piace Napoli. Se ti piace vi andrete assieme. Ora deciditi. Sai, grande città, gran gente, gran rumore, mica questi sordomuti di Capua, bella mia. Porse l'orecchio: pioveva ancora, il borbottio della grondaia era superato dal crepitar della pioggia sulle lastre del cortile.
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