Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno IV - n. 1 - 15 luglio 1898

'lUVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCULI 9 pararono la rivoluzione francese, così i principi italiani, dal secolo XVI in poi, sono in certo modo i padri della rivoluzione italiana ». « Lo Statuto, ottimo nella sua idea nega'tiva in quanto significa l'abolizione dell'assolutismomo11.a1·chicèo,invece, nella sua parte positiva, peggiore dell'antico regime, poichè sotto apparenze democratiche,è il regime chemeglio si presta al dominio iuconlrastato della plutocrazia. Nessun monarca assoluto avrebbe mai potuto spingere lo sfrut· tamento delle masse popolari al punto raiigiunto dal vigente regime burocratico parlamentare. Ma ciò che è avvenuto doveva necessariamente accadere. L'assolutismo essendo un regime innaturale e violrnto, provoca reazioni, e, dinanzi all'onda popolare, i re assoluti dovettero cedere il loro potere; ma quand'essi si ritirarono, non fu possibile impedire che altri non subentrasse nel potere da essi ceduto, poichè sul fondamento di un regime assoluto, che ha polverizzato la società, un regime democratico 1100 può essere creato di punto in bianco. I dccrtti reali - si chiamino anche Statuto fo11ilamentale del regno - possono creare dei meccanismi burocratici, non mai degli organismi politki "· « li popolo non si rivolta contro lo Statuto perchè intuisce che per sollevarsi dall'avvilimento in cui fu prostrato dal lungo ed infausto governo dei principi assoluti, gli era necessario passare per le dure prove dell'oggi, e quantunque si renda ben conto che il regime inaugurato dallo Statuto altro non sia in realtà che uno sprofondamento maggiore nell'assolutismo, pure festeggia ancora lo Statuto, perchè capisce che, per poter arrivare al più spirabil aere di veri ordini democratici, bisognava toccare questo punto inferiore della parabola, bisognava pass:ue per questa morta gora dell'assolutismo parlamentare. >) « La storia dd Piemonte molto si assomiglia a quella di Francia. Nei due paesi prendono piede egualmente due monarchie accrntratrici, le quali spengono Of!ni vestigio,di vita locale, tutto accentuandonelle loro corti. » « Il figlio dell'ultimo re di Sardegna, ceduto il nome, che diversamente dovrebbe suonare nella cronologia di sua Casa, da Roma firma oggi i decreti, che altri gli porge, pe_r regolare nei più minuti particolari l'amministrazione dell'antica capitale del Piemonte. Erede dell'assolutismo monarchico, lo Stato liberale ne proseguì l'opera e riuscì a stabilire un accentramento statale così assoluto, quale nessuno tra i più dispotici principi aveva mai osato sognare. Emanuele Filiberto e Vittorio Amedeo II. per quanto autoritari e dispotici, non s'attentarono di far completamente man bassa su quei resti di libertà cittadine che i comuni avevano conservato come prezioso ricordo di liberi tempi, e l'oria11i::._zaz.ioncoerporativa del lavoro, che, come s' e visto, formò il primo nocciolo del comune, perdurò in Torino fino all'epoca napoleonica. Certo che negli ultimi secoli queste non erano più quelle libere corporazioni del medio evo che si costituivano naturalmente tra i vari mestieri ed erano aperte a tutti quanti gli eser.:enti di una stessa arte, ma sotto la monarchia assoluta esse avevano già assunto un carattere capitalistico, costituendo molto spesso un monopolio elargito dal principe, essenzialmente a favore suo e degl'intraprenditori favonti. Pure, anche sotto qnesta forma degenerata, le corporazioni ancora provvedevano che nell'esercizio delle arti non si applicassero se non coloro che avevano acquistate le cognizioni necessarie, che non se ne accrescessero soverchi3 mente il numero, acciocchè la produzione non aumentasse in m,1do sproporzio11ato al consumo a danno del paese e della stessa industria .... Queste corporazioni chiuse, sebbene fossero già ,10a forma rudimentale di capitalismo, non erano però ancora tutto il capitalismo moderno, e pure in esse gli operai trovavano ancora u11aqualche tutela; tanto è vero, che, come osserva il Duboin, « ben di rado trovassi il governo nella circostanza di venir sopra una larga scala. in soccorso delle masse operaie mancanti di lavoro, o di veder cessata la produzione per eccesso od imperfezione delle medesime. » · ccNello stesso modo ebbe vigore fino a quell'epoca in Piemonte il regolamento del 6 giugno 1775 per le amrninistraz,ionidei pubblici uffici nelle città, terre e luoahi in terra ferma di qua dai monti, il quale chiamava a deliberare la congrega del consi.~lioge11eraledei capi di casa per alcuno di quegli atti, che specialmentepercuotevano l'i11teressedi tutti e singoli gli abitanti registrati del territorio. Era questo quel referendo che la democrazia cristiana ha oggi rimesso sul suo programma, ma che non potc:va essere accetto ai rivoluzionari francesi, come non lo è attualmente ai veri rivoluzionari collettivisti. »~e} ccDi fatto, parallelamente all'opera suesposta dei sovrani assoluti, che ispiravano il loro governo al concetto politico di Roma imperiale, un altro grande processo di accentrniooe s. opera nel campo economico che trasforma le limitate industrie locali nel cosmopolitico capitalismo mode::1no. La macchina crea la grande fabbrica sulla rovina delle minuscole industrie domestiche, e stabilisce l'impero del mercato mondiale sopra le barriere delle patrie e delle nazioni. La macchina vuole la liberta. La macchina vuole l'u• guaglianza. Tutte le abilità si equivalgono dinnanzi alla macchina. In nome dell'uguaglianza essa mette in concorrenza il hambino e la donna contro il lavoro dell'uomo adulto, ed in nome della libertà essa chiede di essere liberata dalle leggi che vietano l'usura e che proteggono l'operaio, poiché la macchina ha bisogno di abbondanti capitali di danaro e di braccia. lJi fatto, per potere esplicare la sua massima efficacia, la macchina .deve produrre la maggior quantità di merci e diminuire quanto possibile il costo di produzione. Essa ha quindi bisogno di lavorare pcl più ampio mercato e di ridurre al minimo del necessario· alla vita il salario degli operai. Pa questo le occorre stabilire un'alleanza cosmopolitica del capitale e dispone di una grande riserva di operai disoccupati, i qnali, per la necessità del pane quotidiano, stando in continua concorrenza con gli operai impiegati, impediscono a questi di aspirare a più alte mercedi. Sotto il regime di sfrenata libertà la macchina contribuisce potentemente a creare il capitalismo ed il proletariato universale, e tutta quella ingiusta condizione di cose che mantiene diviso in due parti il mondo del lavoro. Dall'una il lavoro umano avvilito e defraudato, dall'altra il capitale che, in queste condizioni, esercita una funzione uecessariamenteurnraria. Tutta questa è stata un:1 diretta conseguenza dell'introduzione delle macchine .... Ma dall'essere questa una conseguenza diretta non consegue, come vorrebbero i socialisti, che fosse una conseguenza necessaria. Queste barbare conseguenze si sarebbero potute evitare quando l'introduzione delle maccl:iine fosse stata accompagnata dalle necessarie cautele per frenare le ingordigie del capitale e proteggere i diritti del lavoro umano. " « Sotto un regime di sconfinata libertà d'azione livellatrice della macchina non tardò a farsi sentire con lo scioglimento delle antiche classi, di cui componevasi come un tutto armonico l'antico corpo sociale, e, svanita ogni maggiore idealità, non si seppe concepire la società civile che come un grande O!Jificio destinato alla produzione dei beni. Gli uomini non si distinsero più allora che in consumatori e produttori, colla tendenza sempre più marcata ad escludere dalla divisione dei beni quelli stessi che questi beni avevano creato col loro lavoro. ,, « L'aumento di popolazione e la perdurante crisi economica basterebbero già a spiegare la reazione degli (1) Vedi qual saggio: ARTURO LABRIOLA, Controil Refcrmdu,11. Biblioteca della Critica sociale - Milano, 1897, Portici della Galleria, 2 3.

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