Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno IV - n. 1 - 15 luglio 1898

RIVISTA POPOLARE 'DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI 15 lentieri al signor Morasso qualora volesse usarne in una ristampa del libro che gli auguro prossima. Perchè fondare tutta um così brillante concezione filosofica, sopra un fatto così improbabile, e che pochi vorranno ammettere, qu:ile la disparizione tot,t!e dell'istinto genesiaco? Perchè farlo, sopratutto, quando non era affatto ntcessario invocare tale disparizione per trovare una soluzione perfettamente logica e coerente, e ben più verosimile? L'importante dunque è che la società non risorga, e a tal uopo che non vi sia più l'accoppiamento, che spari~ca l'abiéudine dell'amplesso. D'accordo. Ma che bisogno c'è che sparisca l'istinto sessuale? O che non potrà l'egoarca mettere tra i 5uoi « genii dell'umanità », insieme con Sakia-mouni e Socrate, anche Onan, e applicare la formula « a ciascuno secondo il suo desiderio» a quel cosi semplice e pratico self-help sessuale di cui il veggente ebreo ebbe " la grande intuizione n forse appunto preve• dendo che sarebbe poi venuto l'Pgoarca ad universalizzarlo? Come sarà. bello l'uomo, quando in tal modo " affrancatosi dalle mutilazioni che la società gli impone, app:irirà integro, solo signore di sè e del mondo, fra la bionda luce del sole futuro » ! GIUSEPPE RENSI. IL CENTENARIO LE PARDIANO ( A propositodel discorsoCarducci) Cantò Orazio che non gli dei, non gli uomini, non le colonne tollerano e he i poeti sieno mediocri. Gli dei no, di certo ; tanto meno, aggiungo, le Muse. Aman gli dei i gagliardi spiriti; son cari alle Muse i forti, incliti alunni (cui giova sognare isole verdi, lembi di cielo azzurrino), che nelle visioni fantatistiche e superbe intuiscono il presente, ne ricercano e svelano i difetti e le colpe, che s'alzano con l'ali possenti verso quelle isole, que' lembi di cido, dove la civiltà avrà l'ultima sua 5ede. Quanto agli uomini e alle colonne, è tutt'altro affare. Quasi sempre, furono appunto i poeti mediocri; fragili e compiacenti alle moltit'i_dini,quelli che nella cosiddetta vita vissuta accumulirono onori e fama, e, qualche volta, anche ricchezze; mentre i grandi, i veramente grandi morirono senza il bacio della gloria, postuma dea, che in realtà è poi la vera ed autentica remuneratrice. Forman essi, questi ultimi, la fazione dei dissidenti dei loro tempi, se pure una fazione esista o non piuttosto essi rappresentino i solitarii antesignani delle ere novelle. Com' è naturale e logico, non si trovano sempre d'accordo col signor pubblico; chè spesso, anzi, scendono ad aspra tenzone con quello, ovverossia con le maggioranze costituite sulla base dei più gretti interessi di casta, giacchè è risaputo che i dissidenti agognano le ,novità e che le novità non garbano molto a chi crede di non doversi spostare per far del bene a' suoi simili. Avviene pertanto che i poeti, meritevoli di tal nome, non bene respirino le aure vitali, amareggiati dal veder l'eccellenza dell'opera propria o non intesa per nulla o fraintesa lojolescamente o deliberatamente avversata. Commemorare siffatti gladiatori del pensiero, cr.e del loro genio lasciarono orma maggiore al genere umano, è cosa, adunque, bella, e doverosa ed utile. Bella e doverosa, perchè si paga loro un tardo tributo di ammirazione, di affetto, di gratitudine. Utile, anche, alla educazione delle giovani menti, ma ad un ·patto: che celebrando l'anni\ersario, il centenario, ecc., torni il poeta vivo e palpitante in mezzo agli uomini nuovi, si che in nuova forma egli ripeta o restauri il pensier suo. Io non conosco poeta piu grande di Giacomo Leopardi. Si può eguagliarlo, non superarlo. Per origmalità e profondità di pensiero egli non ha in Italia che un paragone soltanto : Dante. Tutti gli altri o son da meno o l'avvicinano a stenti. Gli basterebbe aver scritto la Ginestra. La Ginestra I il canto terribile! il canto della libertà, dell'eguaglianza, dell'amore umano, alto, possente, universale ! Qui ira, fremiti, pianti, scherno, sorriso e un desiderio intenso di una vita nuova, sacra ai diritti e doveri reciproci, sacra alla fratellanza di tutti dinanzi al nemico comune, ch'è la natura. Ma si, questa è l'idea sociale! Ma Giacomo Leopardi è nostro, tutto nostro, di questo fine di secolo, anzichè della prima metà! Che cosa vogliamo noi, se non la confederazione umana raggiante nell'esplicamento integro dell'onestà e della giustizia? E che cos'è l'ordinamento attuale della società, se non la proclamazione dell'arbitrio, dell'egoismo, della camorra, del monopolio, della piu sfacciata nequizia? Cosl, egli che avea cominciato inne/!giando alla libertà, all'indipendenza d'Italia, andò poi oltre quando fu al tramonto: cosi egli preparò tanta parte del materiale socialistico odierno, piu che con l'aspirazione al.ita ed astratta (nel che avrebbe molti compagni), col sentimento vivo, profondo, fermo qual torre, generato dal convincimento dell'idea nutrita col proprio sangue, scaturita dal proprio cervello, comunicata e trasmessa in retaggio ai nepoti piu o meno lontani, all'avvenire. L'han chiamato a lo chiamano pessimista, scettico, poeta del dolore. Si, perchè egli era solo. Solo, fra tutti, ad innalzarsi tant'alto : d'intorno, uomini piccoli. Lo vinse la tristezza, e perchè no ? Se mille ed ottocento anni dalla strage vesuviana passarono inutilmente fino al poeta, senza nulla insegnare alle genti, quanti mai secoli sarebbero occorsi prima di giungere al grado di civile miglioramento, sospirato da lui, e del quale l'anima sua sentiva prepotente il bisogno? Se tale fu Giacomo Leopardi, deriva limpida e schietta la conclusione: l'Italia ufficiale non può oggi degnamente commemorarlo. Questa Italia, che lascia spietatamente gemere i suoi figli derelitti, che nega loro gli scatti del dolore, che guarda impassibile i cenci della miseria, questa Italia, abiurante i più santi principii di libertà, in nome della quale e per la quale essa si costicui con unanime consenso delle sue province, questa Italia ufficiale fossilizzata nella za-

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