Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno III - n. 23 - 15 giugno 1898

RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI 357 RIVISTA DELLE RIVISTE La responsabilità del governo nei tumulti. Il popolo può fare a meno di molte cose, ma non può rassegnarsi a credere che gli uomini che lo governano siano immorali. In Italia si è tollerato che del Governo per più anni disponessero uomini la di cui disonestà era patente. Troppe divisioni si son fatte fra la morale pubblica e la morale privata; troppa tolleranza si è avuta verso i pubblici frodatori. Dai grandiosi disastri che hanno depresso l'economia nazionale nou si è mai voluto trovare il vero o i veri responsabili; almeno cinquanta grossi istituti sono falliti e pare anche adesso che la colpa di tutto il malfatto sia il pubblico, poichè nessuno è stato punito. « I maggiori uomini politici hanno mostrato, in più occasioni, di non avere nessuna saldezza di opinioni; l'ultima crisi ministeriale, da questo punto di vista, è stata addirittura deplorevole. « Sono inoltre trent'anni che si chiedono al popolo sacrifizi più grandi. Le derrate di maggior consumo sono colpite in proporzione del I oo, del 200 e perfino del 350 e del 400 per cento. ccÉ orri_bilepensare che, quando in un paese non lontano dal nostro, il pane di prima qualità costa 2 5 centesimi al chilo, il sale IO centesimi, il petrolio 10 centesimi il litro, il caffè 2 lire al chilogramma e lo zucchero· una lira, in Italia devono esservi, per colpa di cattivi ordinamenti, i prezzi attuali, « Ora, alla miseria il popolo può rassegnarsi, quando almeno abbia la coscienza di esser governato bene, quando abbia fede nell'avvenire, quando abbia un'amministrazione 0!}esta. Queste tre cose mancano in gran parte. » (Riforma Sociale - Maggio). Salvatore di Giacomo. I tumulti di Napoli. Napoli non è città che s' induce a sommosse di ragion politica. Di volta in volta strepita: ma è il bisogno che la sospinge, non la teoria. Il popolino urla, si scalmana, schiamazza: poi si raccheta e non serba oè rancore, nè odio. Purchè abbia del pane, almeno, e a buon mercato. L'operaio napoletano è devoto alla famiglia: non è bevitore, non perde il suo tempo a udire ordini del giorno in associazioni infiammate, accresce filosoficamente la sua progenie, e s' infischia di Malthus. Hanno per lui lo stesso valore il vescovo e il tribuno, il deputato e i_lprete: in fondo egli non crede ad alcuno di tutti costoro. E abituato a recarsi al lavoro all'alba, a interromperlo nel mezzodì pér mangiare un pezzo di pane e un soldo di frutta, a continuarlo sino a sera, pazientemente, senza ribellioni, senza chiacchiere e senza vino. Ma i figli son troppi, la casa è piccola, buia, angusta, la moglie è giovane e ha bisogno di sole e di chiacchiere, il caldo in casa è insopportabile. Ed ecco tutti nella via: donne, vecchi, bambini, perfino malati. C' è sempre folla nelle strade dei quartieri popolari. La politica non la breccia in queste folle di analfabtti: i giornali non vanno per queste mani, e i ministeri si possono succedere, magari uno al giorno, senz:. che se ne dia pensiero nessuno. Oratore pubblico è un popolano della Pignasecca, chiamato ò pazzariello: è il poeta, il filosofo, il politico, il giornale del popolo. Rincara il pane? il pazzariello allude al rincaro..... La povera gente la quale ha riso comincia a borbottare. E un bel giorno esce di casa in piazza, e vocia ed urla e chiede. Non tien dietro alla politica, tien dietro al pane .•.. Napoli aspetta, come le aspettano tutte le altre città del Regno, delle vere e serie riforme, dei provvedimenti, che assicurino ai suoi cinquecentomila abitanti una vita meno disagiata, meno aspra, men combattuta dalle necessità più immediate. (lil11strazio11Ietaliana. 29 Maggio). L. Caissottidi Chi11sa110: Le democraziacristiananellastoria di Torino. Nel generai<: disfacimento di ogni vincolo sociale, che accompagnò lo sfacelo dell'impero romano, l'autorità della Chiesa era l'unico propugnacolo di civiltà che potesse opporre un valido ostacolo al cozzo della barbarie ; e l' oppose in Torino. La critica moderna ha accertato che i comuni medioevali vennero costituendosi dalle riunioni ddle compagnie o gilde, che gli artigiani avevano costituito per la difesa degli interessi dei diversi mestieri. Il Comune, sorto da umile origine, onde sfuggire alla prepotenza feudale si stringe attorno alla Chiesa. Questa subi h legge dei tempi e si organizzò anche essa feudalmente; d'onde i conflitti tra vescovi e cittadini. Questi conflitti si ebbero iu Torino, che nell'897 si sottrasse al dominio del vescovo Amulo. Torino divenuta repubblica comunale si trova i:i lotta coi vicini; ma le lotte più aspre per la propria libertà le combatte contro i conti di Savoia e i loro cugi?i. marche_s( di M?nf~rr~to, sino a quando passa sotto il dom11110definmvo dei pnmi. Allora cominciano le battaglie di Casa Savoia, astuta - nè guelfa, nè ghibellina - per soggiogare il Piemonte. Torino e il Piemonte, ridotte a principato, non hanno lo sviluppo delle altre regioni d'Italia, rette a re• pubblica, e poterono quindi essere chiamate la Beozia d'Italia. È bene avvertire, intanto, che se altri paesi debbono ai loro principi l'unificazione nazionale, l'Italia invece la deve ai liberi Comuni, che le dettero l'unità morale e intellettuale. Torino non perdette ad un tratto la sua libertà; Casa Savoia gliela tolse a poco a poco, e le tolse pure quel principio di solidarietà e di sano intervento sociale, che distingueva la democrazia cristiana dei Comuni. Torino d.;:cade; ciò si deve allo stato di continua guerra in cui lo tennero i suoi principi; stato di guerra, che le impedì il progresso della vita civile. A Torino, come ne~li altri Comuni, si cercò giustificare le usurpazioni dei principi con questo specioso motivo: che unificati gli statuti dei Comuni il principe provvide all'amministrazione della giustizia che prima era lasciata in balia dt:lle rappresaglie private. Ma coloro che si soffermano troppo lungamente a lodare questa funzione ordinatrice delle grandi monarchie moderne mostrano di non avvedersi che questo bene non fu ottenuto purtroppo che col sagrifizio di quanto v'era di meglio nell'ordinamento comunale, che anzi i monarchi 1101s1eppero mettere pace fra i co11111c1h1ei,uccidendo i comwii. L'opera loro no11f 11 opera di vita ma di morte; e la pace c/1eessi i11trod11ssenroei 1oro'stati fu la pacedel Cimitero. (Rivista i11temaz1011adliescienz.e sociali e discipline a11siliarie. Maggio). H. f. Wilson. L'incremento degli armamentinel mondo. Nel 1868 la spesa per gli armamenti dell'Inghilterra, Russia, Francia, Italia, Austria e Gtrmania era di L. it. 2 miliardi e 314.000.000. I loro eserciti sul piede di guerra ammontavano a quattro milioni e mezzo di uomini. Nel 1897 le stesse pote01.e spesero L. 4. 394.000.000 e disponevano nel piede di guerra, di 17.000 ooo di uomini. Nello stesso periodo gli Stati a lingua inglese furono i soli che ridussero il loro dt:bito pubblico. Gli Stati Unitvavevano ridotto il loro da 14.300.000.000 a 5.200.000.000, mentre la riduzione nella Gran Brettagna fu da 20.800.000.000 a I 6.900.000.000. Tutte le altre potenze avevano accumulato sempre più il loro debito, con la Francia alla testa. Il suo debito, che nd 1868 era di 13.000 000.000, ora è arrivato a 32.500.000. Il debito della Russia si è accresciuto ugualmente nello stesso tempo ed in proporzione maggiore, poichè da 7.800.000.000 è arrivato a 20,800.000.000. Il debito dell'Italia e dell'Austria si è più che raddoppiato. Il "Wilson inclina ad essere un pessimista sull'avvenire degli Stati cosi sovraccarichi di spese militari ; ma pure trova in esse il loro lato utile. Dato che gli Stati si procurino il loro materiale di guerra entro i loro confini, le spese per navi da guerra, cannoni, armi e munizioni, resta nello Stato sotto forma di salarii alle sue classi lavoratrici. D'altra parte, la sottrazione di centinaia di migliaia di giovani dalla vita domesti.:a per un anno o due, scoraggia i matrimoni prematuri, mentre sviluppa il corpo negli eserc,zii militari e inocula lo spirito di discipl,na e di obbedienza. (Ni11eteenthCent11ry). M. Levy. li progressocommercialedellaGermania. Il commercio della Germania non si estende soltanto in grandi case ali' interno, lna anche all'estero, inviando esperti viaggiatori in varii paesi col risultato di sviare il commercio inglese sopratutto nell'estremo oriente. M. Levy cita il caso, fra tanti altri, di due fratelli, che descrive come due modesti giovani rappresentanti di Amburgo, i quali intrapresero recentemente il giro del mondo, adottando ciascuno un itinerario diverso, per estendere le loro nozioni commerciali. Al ritorno ciascuno di loro pubblicò un volume e uno di essi. dice nella prefazione : « La Germania, il suo commercio, la sua industria, la sua agricoltura, avranno sempre bisogno di uomini che conoscon<l il resto del mondo diversamente che per mezzo dei dei giornali e dei libri. » Secondo le statistiche raccolte dal Levy, il commercio della Germania è cresduto in quindici anni del trenta per cento, mentre il commercio di tutto il mondo nello stesso periodo è cresciuto soltanto dell'otto per cento. Dovunque ci volgiamo vediamo lo stesso fenomeno. La Germania, conscia della sua forza, persegue, con mezzi che non sono sempre al disopra della critica, ma che tutti mirano allo stesso scopo: una perseverante politica di espansione commerciale. Il possesso di un impero coloniale non è menomenamente tra le sue ambizioni. Nel 1870 non ne aveva punto; nacquero soltanto, per così dire, nel 1884 e da allora sono cresciute rapidamente, benchè, come è ben noto, non siano molto popolari nel paese. La maggior parte delle colonie te-

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