Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno III - n. 23 - 15 giugno 1898

RIVISTAPOPOLAREDI POLITICALETTEREE SCIENZESOCIALI 353 lo non mi son dichiarato punto cont,rarioalla Banca di Stato: certo non la vorrei in Italia, dove è avvenuto che le banche hanno funzionato onestamente o non, secondo che minori o maggiori erano i loro rapporti con lo Stato e con gli uomini parlamentari. Ho dttto solo che le dispute fra i sostenitori e gli avversari della Banca di Stato si basano tutti sull'errore che la· emissione sia causa di grandi guadagni. Mi si obietta che la diminuzionedei profitti delle banche di emissione coincide con la tendenza alla discesa generale del profitto. E anche questo è vero. Però i benefizi delle banche di emissiope sono scemati in generale ben più di quelli delle banche ordinarie. Non è senza ragione infineche io ho affermato che, dove le esigenze politiche e parlamentari, impongono alle banche di emissione di assumere servizi onerosi, e, peggio, d'i.npiantare succursali un po' dovunque, invece di democraliz._zare il credito, come si dice a torto, s'impedisce che il credito si sviluppi nella sua forma sana, che il sistema della compensazionesi svolga, e che le forme migliori e più progredite del credito si sostituiscano a quelle che esistono.Così ho mostrato a evidenza, mettendo a confronto I' Inghilterra e i paesi del continente. Moltiplicare il numero delle succursali vuol dire, molto spesso,accrescere le spese, rendere costoso il credito, stimolare gli sconti meno sani, e impedire che 13i formino quelle aziende le quali sono più adatte a esercitare l'industria bancaria. li critico parla dell'Italia e della Spagna e di abusi e di errori e di colpe. Ma queste son cose che riguardano la morale e la politica, e, al più, il codice penale. Ringrazio infine di ciò che nella tua '1{.ivista si dice del mio libro e di me, e della bontà che hai per il All'on. prof. CoLAJANNI Deputato Tuo ajf.mo FRANCESCO S. N!TTI Su"iParali~omeni ,,el i~e~eolitic~e di GIACOMO LEOPARDI ( nel primo centenario dalla sua nascita) Nel 1842, a Parigi, cinque anni dopo la morte dell'Autore, uscivano i Paralipomwi della Batrac,,- miomachia. L'aspettazione era grande. Ma, dopo le infelici rivoluzioni del 21, del 31, del 34; quando gli Italiani, pertinacemente fiduciosi, guardavano con desiderio al Garibaldi e al Mazzini, ed erano per leggere il Primato del Gioberti e le Speranze d'Italia del Balbo; il poema che derideva le ribellioni e le brame del popolo nostro, non piacque. Ancheoggi, e per ragioni della medesima natura, i Paralipomeni sono l'opera meno popolare del Leopardi; benchè vi si leggano non solo squarci di poesia rurissima, ma luoghi che illustrano o riassumono tutto il pensiero, divenuto più che mai filosofico, del Recanatese (V. ad es. C. IV. Str. r4 e segg.). Onde a parlare dei Paralipomeni, non sarebbe inopportuno un breve riassunto. Ma poichè non mi è concesso dalla brevità impostami da questa operosa Rivista, mi restringo a ricord,tre ai lettori che nei Tori, i quali, e\ettosi un re costituzionale nella persona di Rodipane, sono poi sconfitti ed oppressi dai Granchi, che rimettono in Topaia la monarchia assoluta, sono rappresentati i liberali ; e nei Granchi, gli Austriaci. Così che il poemetto, nel suo insieme, riproduce la rivoluzione napoletana del 20 in particolare, e in generale le rivoluzioni, tutte simili, e per tutta l'Europa, degli anni che seguirono alla Santa Alleanza: e quella Spagnuola del 20, e quella di Piemonte dd 2 r, e quella di Romagna del 24. Ed è nel medesimo tempo la parodia di quelle Rivoluzioni, e di quell'Austria, che imponeva in tutti gli Stati, in tutte le provincie, in tutti i campanili ribelli alla Santa Alleanza i suoi eserciti e le sue lettere, tutelatrici del buon ordine e della felicità dei sudditi fedelissimi. Ora, per chi è il Leopardi? Pei Granchi, o pei Topi? Pei Granchi, no di certo. I quali sono dipinti con una felicità, con un:1 ricchezza di _brio, che fa pregustare qualche volta il frdnco e popolano satireggiare del Giusti sui Tedeschi. Leggi, ad esempio, le teorie dell'analfabeta genera! Brancaforte intorno all'equilibrio europeo (Canto I. Str. 32 e segg.); o il discorso del diplomatico Boccaferrata al Re dei Topi (Canto V. Str. 1-16), nel quale si tratta il principio del diritto divino dei re: e dove troverai come il succo della politica austriaca, e come lo stile e l'ispirazione del Metternich. :t. dunque il poeta pei Topi ? Neppure. Anzi, la rappresentazione del popolo soricino, presuntuosamente ignorante fra i suoi giornali (C. I. Str. 35 e segg), che vede nella costituzione ogni suo bene (C. III. Str. 36 e segg.), e trova in un po' di u cacio con polta " largit0gli dal nuovo Sovrano il suo entusiasmo (C. IV. Str. 27): facile a uscire!in campo, pronto a fuggire senza toccar pure le armi (C. V. Str. 42 e segg.): ridotto infine a congiurare per moda e per burla, permettente il nuovo ministro granchio (C. VI. Str. 15 e segg.); è ciò che di più vivo, di più moderno, di più amaramente comico abbiano i Paralipomeni. E il personaggio principale, il Don Chisciotre e il Candido del poemetto, segno a non mai stao·cate irrisioni, è appunto il più sinceramente liberale dei topi, l'esule conte Leccafondi (V. Canti VI. VII. VIII). . .. Chi erano i Topi? Nella realtà storica erano quel popolo napoletano che rivoleva impaziente la liberta, non bene gustata al tempo della Rivoluzione e dell'Impero; e opponeva la sua baldanza, sia pure inconsulta, agli eserciti sterminati della Santa Alleanza. Quella alla mente del poeta tanto spregiabile costituzione (C. Ili. Str. 36) era pure la salvaguardia dei diritti dell'uomo e del cittadino e del buon senso. Quei Topi che fuggirono ignominiosamente dinnanzi ai Granchi, erano Guglielmo Pepe e Ruggero Settimo. Quegli altri che u congiuravano a grand'agio per le strade n erano i martiri Morelli e Siivati, Giuseppe Andreoli e Ciro Menotti, erano il Pellico e il Confalonieri. Il Colletta, il Poerio, il Rosset1i, e quegli innumerevoli che i governi asserviti ali'AU\tria costringevano a fuggire nella Svizzera e nell'Inghilterra, erano il Conte Leccafondi. Così la Storia commentò i Paralipomeni. E così quest'opera parve una invereconda irrisione alle nostre memorie più sante : e fu perdonata, non altro che perdonata, al poeta infelicissimo. :t. vero che senza molta difficoltà si po-

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