RIVISTAPOPOLAREDI POLITICALETTERE E SCIENZESOCIALI segreto, sognano di non so quale perfezione di eletti conseguita in odio alla società e sopra di essa. A questi anacoreti estetici e omfalopsichi posticipati, bisognerebbe pur fare intendere in qualche modo che la illusione loro è una delle più insensate e puerili che possano capire in anima umana. Ciascun individuo è una collettivitit, non fisiologica solamente, ma psicologica ancora. Dei giornali inglesi fu fatta a più riprese, tra molte altre lodi, anche q.iesta, che essi ajutarono potentemente la· diffusione della cultura. Chi oserebbe dire altrettanto dei nostri, o almeno della massima parte dei nostri? La disinvoltura, la fretta e la sciatteria con cui, l'un giorno dopo l'altro ci si trattano le questioni più disparate, cosi lé gravi come le piccole, nor: pajono esse fatte apposta per confermare sempre più nell'animo d' infiniti questa opinione, che a parlare di una cosa non sia punto necessario d'averla esaminata con diligenza, e che ciascuno ne può parlare a suo modo ? La insolenza di tanti adolescenti, i quali guardano con disdegno coloro che non saprebbero d'onde rifarsi per insegnare loro qualcosa, non ha altra più prossima origine. Ma le accademie ? - potrebbe domandare qualcuno - che cosa fanno le accademie in questa terra che tante ne vide nascere e tante ancora ne nutre? Dir male delle accademie, dopo quei cento e quei mille che già ne dissero male, potrebbe sembrare, più che ingeneroso superfluo. Dirne bene sarebbe più nuovo, ma più difficile. Dire che esse non fruttano quello che costano sarebbe forse un po' generico, ma, senza forse, verissimo. Le accademie stampano, con liberale dispendio, dissertazioni di soci, e, più, di non soci ; ma trovò molti ripetitori colui che primo chiamò ipogei del pensiero que' ponderosi volumi. Dacchè gli uomini e le istituzioni che più in Italia dovrebbero ajutar la cultura non l'ajutano, se pure non la deprimono, il danno della cultura appare inevitabile; ma ancora non sarebbe il danno così grande, come vediamo, senza una cagione più generale, che premendo su tutta la nostra vita pubblica e privata, produce, con questo, molti altri effetti non meno disastrosi. Questa cagione è ciò che con parola illeggiadrita chiamano disagio economico. La povertà non fu mai troppo amica della cultura, e come più la civiltà si varia, e forme composte di vita sottentrano alle semplici, più le si fa nemica. Un popolo non può cominciare a curare la propria cultura se non quando abbia assicurata, con certa larghezza, la propria sussistenza e goda certa comodità di vita. Se la povertà nega gli alimenti alla cultura, la tassa eccessiva, la tassa che non serba proporzione con la ricchezza, e spreme e strema, glieli leva di bocca. Qualcuno, male interpretando e peggio applicando certi prmcipii di scienza biologica e sociale, potrebbe insinuare che la cultura viene mancando, perché viene mancando la utilità sua. Costui errerebbe di grosso. In nessun tempo fu la cultura altrettanto utile e necessaria quanto in questo, mentre è chiamata a tener il luogo e fare l'officio di più e più cose che vanno mancando, e a vigilare la sempre laboriosa e perigliosa dis • soluzione di consuetudini antiche, di antiche credenze. E più che mai la cultura è necessaria a conservare negli individui quella che chiameremo plasticità dello spirito. Viviamo in tempi in cui, insierne con le idee e le opinioni, le menti invecchiano presto. Ma non è necessario che i vecchi d'anni sieno anche vecchi di spirito; anzi quanto più, essendo lungamente vissuti, e' sapranno serbarsi giovani di spirito, tanto più sarà l'opera loro efficace e giovevole. E a prolungare la gioventù dello spirito n)ll!a è più spediente che una bene intesa e bene amministrata cultura, una cultura mobile e varia, che rinnovandosi essa, rinnovi l'uomo, e lo serbi in comunicazione viva col mondo, e contemperi ciò che più propriamente appartiene all'uomo individuo con ciò che più propriamente appartiene all'uomo sociale. La cultura soltanto può fare che l'uomo divenga partecipe di quanto opera e vive, natura e umanità, e preservarlo da quella triste spirituale vecchiezza che si dà a conoscere nella mancanza di qualsiasi amore e qualsiasi interesse, e nell'unica, gretta perpetua preoccupazione di sè. Cosiffatta cultura suppone e chiede la socialità, nasce da essa e la promuove, è una forma della solidarietà sociale, e però della morale sociale. Non basta la scuola, non basta il libro a formarla; ci vuole la vita e ci vuole il mondo. Quella che ciascun di noi può avere ricevuto dalla scuola, dal libro e da sè medesimo, è continuamente accresciuta o diminuita, migliorata o peggiorata, dalla società in mezzo alla quale egli vive. Se la società è incolta, o poco colta, o perversamente colta, anco quella cultura sarà difettosa; e ogni cultura che contrasti a socialità è originalmente perversa e pecca dalle radici ( 1 ). Se la cultura è necessaria, se dev'essere procacciata, conservata, accresciuta, bisognerà vedere quale ha da essere in avvenire la principale sua base, quella su di cui più largamente e più sicuramente riposi. Questa base principale non può trovarsi oramai se non nella scienza. Ma, poiché non tutti hanno della scienza lo stesso concetto, e molti le dànno biasimi e lodi che non le spettano, e moltissimi ne parlano senza punto conoscerla, bisogna intendere innanzi tutto scienza che sia. Scienza è de$iderio, indagine, accertamento di verità. Chi dice che la scienza può errare, e che erra veramente assai volte, non sa bene quel che ei si dica. Chi erra è la ignoranza e non la scienza. E la &cienza non è questa o quella particolar verità che dall'uomo può essere attinta, ora e nell'avvenire. Ha torto, perciò, il Brunetière a prendersela colla scienza ed a proclamarne il fallimento. Più· e più voci si sono levate in questi ultimi tempi a maledire la scienza, come quella che si suppone autrice di una grandissima parte dei mali che ci affliggono, e preparatrice di altri mali, anche peggiori. L'accusano, tra l'altro : di non essere educativa; di essere atea ; di essere antisociale e immorale ; di essere antiestetica. Esaminiamo un momento ciascuna di queste accuse. Parrà forse strano a taluno che io voglia discutere la imputazione di ateismo che alla scienza suol farsi da molti de' suoi avversari; ma il discuterne è tutt'altro che ozio.so, tanto più che l'odio di costoro non nasce assai volte se non dalla persuasione che quella imputazion~ ~ia giusta. Del male che le religioni ftcero agli uom1m molto fu ragionato da Lucrezio in poi ; ma del bene si potrebbe ragionare altrettanto. Egli è certo che una religione non comincia a nuocere veramente se non quando lo spirito, tendendo più in alto, l'abbia già superata. Dar nome di antisociale a quella scienza che, sfatate le capricciose Jeggende di misteriosi contratti e d'instituzioni piovute dal cielo, trova nelle lei?gi &tesse della vita il principio necessario e incorruttib:le della società; e darle quel nome allora appunto ch'essa riesce a fermare le basi della sociologia, è tal cosa che ha dell'assurdo. Non meno assurda è l'accusa che alla scienza si fa di scrollar la morale. La scienza scrolla non la morale, ma certe presunte basi di essa, e altre, più sicure. ne appresta. La scienza può di%ipare l'imperativo categorico di Emanuele Kant, può dubitare di quella libertà (I) Pel Nietzsche scopo supremo, anzi unico, della cultura è la produzione del superuomo. Ma chi non vede che a produrre il superuomo si richiede un'alta e rigogliosa cultura sociale? e che a mantener l'ascensicne, e far si che al superuomo d'oggi segua il maggior superuomo di domani, è necessario che il superuomo di oggi serva quella cultura sociale, e quanto più può la promuova e l'accresca? Volere o non volere, la società è il grogiuolo dove si operano le combinazioni e trasmutazioni generative del superuomo, e gli elementi stessi onde il superuomo si forma son provveduti da lei. Si provi il superuomo a nascere fra gli Ottentotti !
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==