Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno III - n. 19 - 15 aprile 1898

RIVISTAPOPOLAREDI POLITICALETTEREE SCIENZESOCIALI come non sia destinato a diminuire, ma ad accrescersi per l'aumentarsi della popolazione - essendo un vieto pregiudizio il far dipendere il movimento della popolazione esclusivamente dalla ricchezza -, essendo permanenti le cause che son venuto sommariamente esponendo. Certamente alcune di queste cause possano essere combattute, l'influenza di certe altre potrà essere attenuata, sopratutto la divisione in lotti enfiteutici dei latifondi, ausiliata dalla istituzione del credito agrario, e dalla obbligatorietà dei consorzii agrarii in quei terreni che per condizioni fisiche non fossero suscettivi di essere divisi con separate colture o pastorizie ; con leggi sui contratti agrarii che facilitino la eliminazione del lavoro salariato con la sostituzione di patti colonici; con la trasformazione del sistema tributario nella tassa unica progressiva. Quand'anche, però, si avesse mente e volontà di attuare queste riforme, esse non potre~bero portare gli attesi beneficii che a lunga scadenza. E, d'altronde, sconfortante il dover riconoscere che nella maggioranza delle nostre classi dirigenti manca la chiara percezione delle cause vere e fondamentali dell' inopia delle nostre plebi, manca la coscienza della estensione e della pericolosità di tale stato di cose sempre peggiorante e sempre più incalzante. E se ne è avuta la prova nelle recenti discussioni alla Camera dei Deputati, sui disordini di Troina e di Modica, nelle quali nessuna voce si levò dai Deputati siciliani per proporre un rimedio radicale, una voce che accennasse al sentimento dei sacrificii necessari nelle classi abbienti per obbedire alla legge suprema della solidarietà umana verso le classi diseredate, che pur sono la grandissima maggioranza della popolazione, e soltanto vi furono di quelli che si limitarono a chiedere il troppo parziale e transitorio sollievo di lavori pubblici, ad accusare il governo perchè non obbliga la Russia ad aprire i suoi porti ai nostri agrumi, ad accusarlo d' imprevidenza e di aver fede nella repressione pii: che nella prevenzione, di violenza e partigianeria politica ed amministrativa, essi che tollerarono e approvarono e incoraggiarono i furori di uno stato di assedio di sette mesi e le deportazioni in massa delle leggi eccezionali, senza reclamare nessun atto di provvidenza sociale, e immiserendo così nelle proporzioni di una questione ministeriale un'ardua e complessa questione sociale. E siano grazie ai non siciliani Vischi, Engel, Franchetti e al Senatore D'Antona, per fortuna siciliano, vanto dell'Ateneo napoletano, che seppero pronunziare qualche parola sensata ed alta. Se intanto il disagio dell'isola reclama la maggiore nostra attenzione, non è meno evidente il peggioramento delle condizioni economiche dell'Italia intera, per coloro che non misurano soltanto la ricchezza di un popolo dalla quantità delle produzioni, dai commerci, dalle industrie, ma altresi e principalmente dalla distribuzione dei mezzi di sussistenza nella universalità dei cittadini. Il debito ipotecario fruttifero, che nel 1877 era di 855,878,218, è salito nel 1894 a 1.360,159,101. La D·rezione generale della Statistica del Regno ci ammonisce che le « notizie raccolte dall'Amministrazione finanziaria sopra le derrate provenienti dall'estero e soggette a dazio doganale, come pure sui generi introdotti entro la cinta daziaria dei comuni chiusi, indicano un miglioramento nell'alimentazione per un certo numero di anni fiuo al 1888, dopo di che si avverte una diminuzione, o almeno una sosta nella quantità dei generi consumati " ( r): si parla del frumento, del granturco, del sale, olio, vino, alcool, birra, zucchero, caffé. E ciò non ostante l'aumento sensibile della popolazione, che era di 28,953,480 al 31 dicembre 1881, ed ora di 31,190,490 al 31 dicembre 1896, e non ostante l'aumento della produzione generale agricola e industria le. E correlativamente a tali fenomeni di depressione si ha un costante aumento nei delitti contro la proprietà e nelle frodi commerciali e industriali. (r) Annuario statistico italiano, 1895. Roma, 1896,pag. 2 3 5. Le cause sono permanenti, di carattere più o meno generale e notissime. Consistono nella scomparsa con moto uniformemente accelerato, dell'artigianato e del piccolo commercio, per i progressi del capitalismo e dell'industrialismo. La gran !e industria uccide la piccola industria; i capitali si vanno sempre più concentrando in poche mani e uccidono la piccola speculaz:one. Gli artigiani e i piccoli commercianti divengono salariati, o ingrossano il contingente dei disoccupati e degli Ospedali. Con l'applicazione e il perfezionamento delle macchine all'industria e con l'ingrandirsi dei commerci riceve applicazione sempre maggiore la legge del minimo sforzo col massimo utile, per modo che il numero proporzionale di persone salariate impiegate per la speculazione del padrone e in ragione inversa della importanza della speculazione. Ed ecco come la popolazione proletaria tende sempre più a crescere, e proporzionalmente il numero dei disoccupati Questa legge economica trova una compensazione, benchè non duratura, in quei centri soltanto in cui le industrie e i commerci sono fiorenti di vigore giovanile. In tutti gli altri centri, essa avrà per effetto un irrimediabile deprezzamento della mano d'opera. Se a ciò si aggiunge l'aumento della popolazione si avrà la spiegazione del malessere delle plebi. Aumento non compensato dalla emigrazione, poichè essa segna delle oscillazioni che non indicano una tendenza ad aumentare. La disoccupazione è dunque un fenomeno non accidentale e transitorio, ma necessario; e per ciò stesso non può essere evitata. Non con i lavori pubblici, per la semplice ragione che se questi fossero sufficienti, la dirnccupazione non ci sarebbe ; e i lavori inutili sarebbero niente altro che una funzione parassitaria dei pubblici poteri. Non dico ~ià che lavori inutili e danr.osi non ce ne siano mai stati, ma sono stati fatti a scopo elettorale. Depretis e Magliani rovinarono così le finanze dello Stato. La beneficenza non basta. Riesce in certo modo ad organizzarsi e lenire la calamità nei centri di popolaz1one, ove si può determinare nello spirito pubblico una reazione in favore degl' indigenti, ma non giunge, o giunge faticosamente nei centri meno agitati ; e non tocca la miseria inerte e vergognosa di apparire. Sventuratamente è così: i soccorsi pubblici non aiutano che la miseria rumorosa. E con quali criteri si può giungere poi a discernere la disoccupazione forzosa da quella volontaria, e distinguere un operaio disgraziato da un parassita della pubblica carita ? La fame , si cura come si farebbe con una epidemia, per la quale si dispongono di tempo in tempo dei provvedimenti atti a limitarla e a farla cessare. Ma la fame dei nostri tempi, e parlo in generale, non in considerazione di un luogo o di un' altro, è più che una epidemia sociale, è più ancora che un male cronico, è pur troppo una condizione naturale e normale di essere nelle società odierne, è un poi tato della organizzazione economica attuale. La società, in altri termini, ha in sè gli elementi distruttori della sua stessa organizzazione. Bisogna dunque ricorrere a una forza corretti va, se non si vuole esporla a terribili convulsioni, sostituendo a dei palliativi temporanei, insufficienti sempre, ed arbitrarii per loro natura, perchè dipendenti dalla volontà e dal giudizio individuale quali sono le risorse della pubblica carità, un rimedio organico. E pertanto, mentre si procura di organizzare la beneficenza per sovvenire ai bisogni più urgenti, noi diciamo: organizziamo il diritto alla vita. Il diritto è affermato quando lo Stato dice all'individuo: non uccidere; ma non esiste propriamente per lo Stato, perchè esso non accorda il diritto ai mezzi di sussistenza necessari alla vita. Manca la garanzia, e questa si avra ove sia assicurato per tutti almeno l'alimento indispensabile, che è il pane. Il diritto alla vita sarà dunque il diritto al pane; il pane gratuito per tutti, come condizione minima di esistenza, come funzione sociale dello Stato, come servizio pubblico della comunità, a tutela della vita indi-

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