Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno III - n. 19 - 15 aprile 1898

'!i6 RIVISTA.:POPOLAREDI POLITICALETTEREE SCIENZESOCIALI tempo abbia a vivere. Finalmente nelle scuole nostre, di qualunque grado esse simo, sembra siasi perduta affatto questa elementare e capitale nozione, che il precipuo compito della scuola, quello che tutti gli altri coordina e lega, si è l'educare; intendi suscitare e disciplinare le forze dello spirito, corroborarle, correggerle, armonizzarle, c dar loro cosi fatto impulso, che ciascun individuo, mentre esplica se stesso nella miglior forma possibile di operosità e di vita, aiuti qaanto meglio e possibile al conseguimento dei fini sociali. È opinione comune che questo còmpito di educare spetti alla scuola inferiore e alla mezzana, e non all'Università, la quale, secondo suol dirsi, non deve ne può . esercitare altro ufficio che insegnare la scienza ed accre• scerla. E molti sono quei professori che crederebbero di derogare al rispetto che alla scienza e dovuto, e a quello ancora che stimano di dovere a se medesimi, se nello insegnare non serbassero sgombro l'animo d'ogni preoccupazione di un fine educativo qualsiasi. Nasce questo dannoso errore dal non intendere educazione che sia e in quanti modi si eserciti, e dal formarsene un concetto troppo meschino, e dal non saperla quasi sceverare dal- !' opera del peJagogo, che è appunto di solito il suo contrario. Nè si dica che la scienza essendo educativi\ per se medesima non c'è bisogno che altri s'affaticft('a 'farleraggiun~ere un fine ch'essa raggiunge molto bene da sé. Nè si dica essere alcune discipline cosi rigide e asciutte di lor natura che non è possibile spremerne stilla di quella virtù. Se l'Università vuol meritarsi davvero il glorioso nome di alma mater che da secoli le ha decretato la reverenza dei discepoli, bisogna ch'essa veramente sia que1la seconda madre che produce e tempra gli spiriti alla seconda vita, alla vita soc.iale. (Continui\) ARTURO GRAF. (Dalla Nuova A11tologia) IL GENIO NELL'AVVENIRE (1 ) ~ li rapporto d'azione e reazione tra l'uomo di genio e l'ambiente sociale può essere guardato da un punto di vista abbastanza singolare quando si mediti su d'un quesito che è di tal natura da destar sempre un grande e legittimo interesse in ogni anima umana. li genio, si domanda, è forse destinato a sparire in un più o men lontano avvenire sociale, cosi come sono spariti ne' più occulti strati della terra i mostri della Flora e della Fauna terrestre? V'è chi uede che i grandi uomini del pensiero e dell'azione, i nomi immortalati dalla storia, si~n grandi sol perchè tra loro e l'ambiente, nel quale vissero, tra la capacità mentale dei primi e la media capacità dei loro contemporanei fu tale sproporzione da ingenerare, in seguito di tempo, nell'osservatore una certa illusione ottica, per la quale la grandezza di quelli diventò fenomeno di eccezionale singolarità. Un tal fenomeno, si dice, è destinato a sparire a misura che il progresso riesca a livellare le condizioni di coltura del maggior numero degli uomini. Vi saranno allora, forse, varietà individuali ma non diff"renze profonde tra i singoli componenti la famiglia umana. E i grandi genì e gli eroi della storia saranno allora un fenomeao di altri tempi, una sptcie per sempre estinta. Un tal ragionamento è, però abbastanza specioso ed un breve esame può dimostrarci quanto le sne premesse siano fallaci. Che il progresso sociale sia una verità di fatto, e, cosi pure, ch'esso in quei popoli, tra i quali s' è fatto strada e in quegli altri, tra i quali se la farà, debba aumentare indefinitamente !'energie psichiche per effetto di crescente coltura, è fuor di dubbio. Ma da tutto ciò non (1) Da un lavoro di prossima pubblicazionesul " Valore sociale del Genio ,,. segue che debba, quando che sia, sparire il Genio ; e il solo sospettar la possibilità d'un tal fatto rivela l' inadeguato concetto che si ha, ordinariamente, della evolu - zione storica e della funzione che al Genio spetta nella vita sociale. Come ogni legge di valor generale applicata alla molteplicità di fatti concreti, l'Evoluzione, nel suo riferirsi alle singole classi di fenomeni cosmici, fermo restando il suo significato generico, prende aspetti ed atteggiamenti particolari e sempre più complessi col crescer di complessità dei fenomeni suddetti, sicchè per ogni serie di questi diverso è il suo concreto valore, diversa è la modalità della sua esplicazione e mal si tenta, talvolta, per falsa analogia, d'estendere alla fase successiva quel peculiare processo che s' è, più o men bene, intraveduto nella precedente. Nel suo significato generico l'Evoluzione è aumento di complessità e differenziazione; ma questo, che è l'effetto visibile nelle singole fasi di essa, deriva oltrechè da cause generali, anche da cause particolari varia bili, che ne diversificano, in modo assai no~ tevole, gli aspetti. Cosi, per venire al caso nostro, mal si fa (il Loria ed il Colajanni già da un pezzo lo dimostrarono in Italia) ad assomigliar l'evoluzione zoclogica all'umana e, trasformando il darwinismo naturale in darwinismo sociale, trarne conclusioni sconfortanti e paradossali per quel che dicesi progresso storico. li Darwin delimitò nettamente il fenomeno della formazione della specie vegetale o animale, assegnandogli, come fattori, l'adattamento all'ambiente e la selezione. Quel ch'egli con frase immaginosa disse lotta per la vita non è che un passivo adattamento dell'individuo alle condizioni dell'ambiente. I più adattabili, per accidentali qualità di cui sian forniti, sopravvivono e, riproducendosi, formano la specie: ecco tutto il fenomeno della selezione. Ma nel mondo umano entra in campo un nuovo fattore che fa cambiar quasi radicalmente l'aspetto dell'evoluzione. È il fattore dcli' intelligenza, è la forza, non più di passivo adattamento, ma di attiva, efficace trasformazione che all'uomo dà un sempre crescente potere di padroneggiar le forze naturali, di signoreggiare e assogettare a se l'ambiente, nel qaale vive, e imprimergli le più profonde modificazioni. E, - per esser più esatti - non tutte le razze umane sono ugualmente fornite d'un tal potere. Ve n'è di quelle che appena fatti i primi passi per la via d un'iniziale civiltà, rapidamente indietreggiarono; altre che, forse, non si sono mai mosse dalle condizioni stazionarie della loro vita primordiale e contro le quali si rompe, probabilmente, ogni sforzo che, per trasformarle, faccian su di esse le razze civili. In tal senso ebbe a dire il Bagehot che il progresso non è la regola ma l'eccezione nella storia. Lo stesso Bagehot designa il germe di quel primo cambiamento, da cui ha origine il progresso dei popoli, nel fatto della discussione. Là dove non si è rotta la crosta uniforme del tirannico, primitivo costume; là dove il livellamento è legge assoluta ed è delitto, anzi un non-senso, ogni tentativo d'innovazione, la vita sociale è come una morta gora non agitata d'alcun fremito, acqua stagnante che non muterà mai il suo aspetto per mutar di vicende. Or bene: come nelle specie vegetali e animali, che nell'ordine evolutivo son forme già sorpassate, cosi nei popoli rimasti in condizioni stazionarie di vita possiamo ben dire che manca la condizione essenziale il nisus di nuova e più alta evoluzione. E questa condizione essen· ziale mancante è appunto un tale aumento di forza che cambi l'adattamento passivo all'ambiente in energia capace di compiere un'attiva trasformazione; aumento che solo la socialità può dare, la socialità eh' è come la risultante superiore a tutte le forze individuali ; forza anch'essa reale, non astrazione o finzione della nostra mente; forza, che, sola, può dal moodo della vita puramente organica elevarci al mondo superiore della vita

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