Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno III - n. 19 - 15 aprile 1898

RIVISTAPOPOLAREDI POLITICALETTEREE SCIBNZESOCIALI l': un bell'esempio di disciplina, ed è l'inverso di ciò che avviene in Germania dove i deputati socialisti ricevono l' indennità dal partito. ~ * * Abbiamo visto fin qui qualche ragione di quella unità di !isonomia e di intenti (vi si potrebbe aggiungere .... l'imminenza delle elezioni generali) che è l' impressione di uno straniero alla Camera francese. Ma questa Camera come tutti sanno è tutl'altro che un'arcadia. Le divisioni si fanno marcate e i discorsi aspri quando dall'economia si passa .alla politica inttrna. Allora radicali e socialisti, questi sopratutto, rientrano nella propria funzione. E che vi è di verosimile, chiede il lettore italiano, in questa ripetuta accu,a contro il gabinetto Méline di « monarchizzare ~ la repubblica, di preparare il nido caldo a Enrico I, ecc. A queste accuse che battono sulla politica scolastica, ecclesiastica, interna, Barthou e Mélioe risposero nell'ultima discussione generale gridando al pericolo socialista. In sostanza Méline poteva voler dire: La mia repubblica, la repubblica di Faure è conservatrice; accetta l'appoggio del papa, quello dei monarchici tepidi, quello dello czar. Con riò, dite voialtri, la sua essenza è tradita, e questo può essere vero (Méline non disdegna la punta canzonatoria) dal vostro punto di vista, repubblicano Jaurès, repubblicano Bourgeois, che non è quello del repubblicano Méline e che non è quello del rallié De Muo: vi sono dunque molte essenza di repubblica. Ma quando voi parlate di tradire:: la forma repubblicana avete gran torto ; la mia opera di conservatore le aggiunge forza ogni giorno ; io vado rassicurando le classi retrive, provando loro con questa nuova esperienza che l'orleanismo non ha dunque più ragione di essere ... quando Lt repubblica può essere accusata di un « vague orléanisme » come dite voialtri. Questo di superiore ha ;.ppunto la forma repubblicana, che vi stanno dentro anche i preti e i monarchici e gli interessi delle classi proprietarie vi prendono il sopravvento come in monarchia ; ma nonostante ciò, per voi lo strumento, l'outil, rimane pieghevole e pronto alle nuove esperienze vostre repubblicano Bourgeois, alle nuovissime vostre Jaurès. La miglior garanzia della sua conservazione è che nessuno ha grande interesse a mutarlo, poichè non è esclusivo di alcuno. E questo linguaggio non sarebbe disconvenuto nella bocca di un politico secco e realis1ico come il Méline. A. MORANDOTTJ. PER LA NOSTRACULTURA In tutta Europa, quella che potremmo chiamare cultura aristocratica, la cultura cioè da cui una classe privilegiata e dominatrice ebbe affinata la mente, raggentilito il costume, accresciuto il prestigio, è venuta rapidamente mancando. La vecchia cultura è finita; ma mentre in alcuni paesi d'Europa alla vecchia se ne sostituisce animosamente una nuova, in altri la vecchia muore e la nuova non nasce. Che avviene in Italia ? In Italia avviene un fatto strano. Mentre la scienza cresce, la cultura scema, e sctma in quella classe sociale appunto che più ne dovrebbe custodire il patrimonio e tutelare le sorti. Il cosi detto gran pubblico si disinteressa di ogni problema e d'ogni idea generale; ostenta una indifferenza supina per le questioni tutte di scienza, di letteratura, d'arte ; si annoia se gliene parlano, e sembra davvero che non abbia più nulla da dire. Chi nelle stazioni dt:lle nostre strade ferrate siasi fermato davanti a una di quelle piccole librerie che qualche volta vi si trovano, e abbia poi fatto altrettanto nelle stazioni inglesi o tedesche, non può non rimanere impressionato dal contrasto: in queste, non di rado, il fiore della letteratura ; in quelle, salvo pochi volumi francesi ed inglesi, da servire più particolarmente a forestieri, non altro quasi che pessime traduzioni di romanzi la più parte peisimi, e un ·ciarpame di libercoletti di nessun conto e magari disonesti. Il progressivo abbassamento del nostro teatro, e il crescente gusto del pubblico per le forme più abiette della drammatica, diedero già argomento a molte lagnanze, e sono segni di cattivissimo augurio. Sdegnati di questo e d'altro, molti letterati e artisti di professione, e i giovani più che i vecchi, tornano a domandare quanti imbecilli ci vogliano per formare un pubblico, e dal pubblico si vanno sempre più appartando, ed ecco che quasi fanno una casta nuova ; del che non si può loro dar lode, ma non si deve ntmmeno dare tutto il biasimo. La cultura nostra decade. L'aristocrazia, che seppe avere la sua, è finita. La borghesia, che dovrebbe venir formando la propria, ha troppe faccende e troppi guai. Il popolo grosso ha da combattere pel pane quotidiano e per altro. Chi pensa alla cultura ? Nessuno. Ora è questo un gran male. In nessun altro tempo fu la cultura cosi necessaria alla vita dei popoli come in questo ; a nessun altro popolo tanto necessaria quanto al nostro, che ancora qliasi non conosce se stesso, e troppo gran parte della propria vita commette alla fortuna, o al presunto avvedimento e alla congetturabile prob,tà di chiunque lusingandolo gli si profferisca. li mondo apparterrà in avvmire alla nazione più colta, e le sorti d'ogni nazione non colta abbastanza andranno via via peggiorando, non ostante qualsiasi aiuto o riparo che si possa venir procacciando altri:r enti. Ma prima d'andare più innanzi, che cosa vogl amo e dobbiamo noi intendere per cultura? Va da sè che noi v2gheggiamo una cultura confacente ai nostri tempi, ai nostri bisogni. alla vita nostra, non solamente di oggi, ma ancor di domani, e che questo domani preveda e prepari. Cominciamo a dire che cosa la cultura nostra non ha da essere, e così ci sarà più facile dire che cosa ha da essere. Molti scambiano la cultura con l'erudizione, e di un uomo che abbia nella memoria un arsenale di notizie particolari e disgregate dicono che egli è un uomo colto. Ma l'er1Jdizione, per se stessa, non è cultura e a mala pena merita nome di sapne. Una selva di cognizioni può essere la negazione della cultura dello spirito, come una foresta vergine è la negazione della cultura del suolo. Se l'erudizione, per se stessa, non è cultura, cultura non si può nemmeno dire che sia, per se stessa, la dottrina, cioè il possesso che altri abbia di un sapere, non solamente depositato nel'a memoria alla rinfusa, ma scelto, ordinato, avvivato e feconctato dall'intelletto. Cultori di una o più scienze possono essere grandi scienziati; ma uno scienziato, anche se grandissimo, può non essere un uomo colto nel vero e pieno significato della parola: anzi la cultura di lui potrà essere tanto più imperfetta quar.to più perfetto sarà il sapere speciale, ed egli più singolare nella specialità sua. Del nome di cultura poi stimeremo affatto indegna quella semivirtuosità mondana, scioperata e pettegola, che mediante certa speditezza elegante e fatua di parole

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