RIVISTAPOPOLAREDI POLITICALETTEREE SCIENZESOCIALI ratore. Il quale non trionferà, senza lo schLrnO di molti, e opposizioni acerbe, principalmente da parte dei facinorosi anelanti a lotte sanguinose di classe e da parte degl' incoscienti idolatri della forza contro ogni umana rivendicazione, ma sarà niente altro che la conseguenza necessaria della cessazione della schiavitù, perchè rivendicherà nell'uomo, insieme con la proprietà del suo corpo, la pr0prietà della sua vita. G. B. lMPALLOMENI. DI CHI LA COLPA? (Ai fratellid'ignavia) Voi avreste torto, o miei fratelli spirituali, di giudicare intempestivo e vano il mio meditare ancora e invitarvi a pensare e ripensare a chi sopratutto, al di là del Macola e della corruzione italiana, di un barbaro pregiudizio e del caso, sia imputabile la morte di Felice Cavalloni ; avreste torto, perché al contrario questa mia effusione d'animo trae il suo qualunque valore di sintomo e d'invito appunto e solo dall'essere fatta in tempo, in cui non può più apparire come effetto di una commozione subitanea e passeggera, ma deve essere ritenuta come espressione degli effetti dura turi ehe può produrre in una coscienza la meditazione a cui v'invito: vogliate dunque essermi in essa compagni. E imputabile, si e detto, al Macola. E veramente, a parte certe impossibili accuse, qualcosa resta però1 se non giuridicamente, certo moralmente, della imputazione che la coscienza pubblica gli ha fatto della morte del Ca· vallotti a titolo più grave dell'omicidio fortuito in uno dei soliti duelli cccasionali. Lo scatto infatti del Cavalloni, da cui il duello, e troppo noto che fu provocato da quella serie di calunniose bugie apparse sulla Gaz.-zetla che enunciava la lettera al Secolo e in cui appariva il tentativo di una lenta demoliz'one morale: bastava che, o per raoioni personali o per le ragioni d'ambiente che avevano ~ià spinto il Bissolati ad accettare una partita d'armi ~ol Macola, il Ca,•allotti si ritenesse offeso o ritenesse oflèsa la sua riputazione da quelle bagie, perché da quella voluta demolizione morale derivasse con un dnello, come naturale ma che nulla ci autorizza a credere voluta conseguenza, la possibilità e, con l'aiuto del caso, il fatto della uccisione materiale: cioe quello che e avvenuto. E poco importa se il telegramma ultimo provocatore non era del Macola : questi e rimasto vittima del sistema che ha applicato nel suo giornale, se pure si può dir vittima chi nella disgrazia che l'ha colpito, non ha trovato che la spinta a far dello spirito e ad aumentare di audacia, per tentare d'imporsi con la violenza all'opinione pubblica. Ma, ammesso ciò, a chi si deve se uno può in Italia fare fortuna col sistema adottato dal Macola? a. chi si deve se un Cavallotti, pur giudicando come egli ha giudicato il Macola, ha creduto dover scendere a difendere contro di lui la sua riputazione ? a chi si deve se un uomo può credere di provvedere al suo avvenire con un contegno qual' è stato quello del Macola dopo il fatto luttuoso? È imputabile, si e detto ancora, ai deplorati e ai reazionari d'Italia. E anche qui la coscienza pubblica, a parte l'assurda esagerazione a cui qualcuno è giunto parlando di mandato, ha ben sentito il legame che è fra questo duello e la lotta combattuta dal Ca '!allotti contro la reazione e la corruzione italiana. E ciò è Yero non solo simbolicamente: poiché il telegramma provocatore si riferiva, si sa, alla domanda a procedere contro Cavalloni per querela dell'avvocato ì\'Iorello a proposito della nota lettera, in cui il primo continua va a trattare la questionc morale nei rapporti con la stampa, e il Macola non nega, anzi si vanta di essere stato in questo duello più che un individuo il rappresentante di quello che egli chiama il partito dell'ordine. Ma a chi si deve se la corruzione può passeggiare cinica e spavalda l'Italia, a chi si deve se assalita può con fortuna assalire, e, aiutata dal caso che rapisce i Papa, gli. lmbriani, i Ca vallotti, vincere e trionfare? E imputabile, si e detto infine, al barbaro pregiudizio del duello, che anche, anii sopratutto, il Cavallotti aveva. E veramente senza questo pregiudizio la vertenza sarebbe finita ben diversamente, poichè il Cavallotti non avrebbe certo accettato un d1\ello con chi egli giudicava nel modo che appare dalla sua lettera al Secolo. Ma, ancora una volta, a chi si deve se in Italia gli uomini politici sopratutto possoro tanto poco sottrarsi all'assurda necessità del duello che un Bissolati vi si sottomette contro le decisioni del partito, e un Cavallotti ne diventa purtroppo uno dei paladini ? " • * La risposta alle tre serie di domande è una sola: causa prima di tutto sono i pregiudizi, l'indolenza, l'indifferenza, l'ignavia, la viltà che tengono ~uesta povera coscienza italiana, che fanno dt!l'ltalia d oggi veramente la terra dei morti. Se la reazione e la corruzione trionfano tanto da potersi ornai credere inutile quel tacito omaggio alla virtù e alla libertà che è l'ipocrisia, e inaugurare il sistema di sincerità del Macola e della sua Gaz.z.etla si deve all'acquiescenza del più degli italiani: se il Cavallotti, giudicando come egli faceva il ;\facola, è sceso a duello contro di lui ciò si deve anche a ciò che un uomo politico, ha bisogno di conservarsi favorevole l'opinione pubblica e al fatto che per l'ignavia dei più l'opinione pubblica e in balia degli attivi e arditi calunniatori: se il Macola può credere utile al suo avvenire il contegno tenuto dopo il duello si deve al poter rgli giustamente sperare di imporsi cosi a un popolo, che ha tanto perduto non solo la forza ma il concetto anche della forza, da vedere e venerare or non e molto il simbolo di essa nel rugno di Francesco Crispi: se il duello è sopratntto Fer gli uomini politici tale una necessità che il Cavalletti non ha mai pensato potersene un uomo d'onore astenere, e il Jlissolati ba creduto contro le deliberazioni del partito dover scendere sul terreno, ciò si deve sopratntto al bisogno che hanno gli uomini politici di conservar tutto il loro prestigio presso una nazione tanto civile, che dai contadini abbrutiti della Sicilia ai cosidetti gentiluomini stima viltà ricorrere per definire le proprie vertenze ai tribunali, e guarda con un sorriso ambiguo chi ha il coraggio di rifiutare un duello. E, poiché. effetto di tutto ciò alleato col caso è la morte di Cavallotti. la causa prima di essa è veramente questo stesso popolo che la piange, qm sto popolo che si lascia calpestare e spogliare sognando la moralità, la libertà, la giustizia senza muovere un dito per impedirne o attenuarne lo scempio che altri ne fa. Ma fra le mummie d'Italia bisogna fare una distinzione: bisogna distinguere il popolo che, prostrato da secoli sotto il peso del lavoro materiale, della miseria e della servitù politica, non ha ancora aperto gli occhi alla vita pubblica ne sulla vita pubblica, da noi appartenenti alla classe più o meno intelligente e colta, alla cosidetta classe diriCYente, che bene abbiamo gli occhi aperti, ma lungi dal compiere il nostro dovere di aprirli al popolo, din.nzi al trionfo della corruzione e della reazione, per indifferenza, per debolezza o per viltà, o restiamo nell'attitudine di freddi osservatori, o al più pia- . tonica mente aspiriamo a un trionfo del bene in cui non crediamo nè speriamo e pel quale quindi nulla sappiamo fare. Ora noi, noi veramrnte della classe dirigente con la nostra inerzia, la nostra indiflèrenza, la nostra ignavia siamo la prima radice di ogni male d'Italia, del persistere del duello, dell'imporsi dei Macola, del trionfare della corruzione e della reazione, noi, se non abbiamo ucciso, abbiamo lasciato uccidere Felice Cavalloni. Si, a noi che o siamo rimasti indifferenti o al più l'a boiamo da dilettanti seguito di lontano uella sua lunga ed aspra lotta senza pensar mai, nel nostro pessimismo circa il
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