RIVISTPAOPOLARE DI POLITICALETTERE E SCIENZESOCIALI Direttore : Dr. NAPOLEONE COLAJANNI OBPUTATO AL PARLAMBNTO Esce in Roma il I 5 e il 3o d'ogni mese ITAUA: anno lire 5 semestrelire 3 - ESTERO:anno lire 7; semestrelire 4. Un numero separato : Cent. 20. Anno lii. - ~ 19 A66011amento pona/11 Roma15Aprile 1898 SOMMARJO: Dr. NAPOLEONCEoLAJANN-I Per la pace o per la guerra? (Spagna e Stati Uniti). LA Rrv1STA- Uomini e Istituzioni. G. B. lMPALLOME-NI Il pane quotidiano. PIETROFONTANA- Di chi la colpa? G. SERGI- A proposito di antroposociologia. A. MoRA.DOTTI- Note sulla Camera Francese. ARTUROGRAF- Per la nostra cultura. (Dalla 'N.,uova A11tologia). F. MoNTALTO- Il Genio nell'Avvenire. Varieta. 'R,_ivistadelle 'R_iviste. 'R_ecmsio11i. Per poter pubblicare tutti gi' importanti arti.- coli che contiene questo nume1·0 e non sopprimere le nostre rubriche ordinarie abbiamo dovuto rendere più fitta la composizione del giornale in modo da guadaqnare quattro pagine sul testo ordinario.Come r.;edono i lettori noi metiiamo tutto l'impegno, niente, possibilmente, t1·ascurando per render la Rivista sempre più completa, più varia ed interessante. Ne tengano conto. Perlapacoeperlaguerra '! (Spa~p1a - Stati Uniti) Il conflitto da tanti anni latente tra gli Stati Uniti e la Spagna da tre anni in quà ha accennato con un doloroso crescendo a divenire manifesto ed a tramutarsi in guerra guerreggiata disastrosa pei belligeranti, ed a parte la ferita che ne riceverebbero i sentimenti umanitari, dannosa economicamente per tùtta l'Europa, i cui commerci coll'America ne riceverebbero un danno incalcolabile con immancabili ripercussioni interne. Mentre scrivo (1) dura l'incertezza tormentosa, perchè le notizie in favore della pace o della guerra si seguono e si alternano con rapidità vertiginosa; incertezza che tormenta maggiormente coloro i quali amano sopra ogni altra cosa la pace, ma non la vogliono scompagnata dalla giustizia e dalla libertà. Anzi; tutti i loro fervidi voti concentrano in favore della pace, perchè la ritengono apportatrice, quasi una condi/io siue qua non di benessere economico, di giustizia e di libertà. Considerata così la pace, come meno a fini più alti, si comprende che si possa nel caso presente venire a • ( 1) Quando fu scritto il presente articolo il Senato e la Camera degli Stati Uniti non si erano ancora pronunciati, come ora hanno fatto, in modo tale da far crescere enormemente le probabilità di una guerra. questa conclusione: se la pace dev'essere mantenuta a patto di veder continuala l'oppressione, la tirannia della Spagna su Cuba - viva la guerra I Questo era il concetto che Giuseppe Garibaldi, apostolo armato della pace, incarnò ed espose a Ginevra nel 1867 nel primo congresso internazionale della Lega per la pace e per la Libertà, proprio nel momento in cui egli apparecchiavasi a quella spedizione, che doveva terminare a Mentana, con una sconfitta gloriosa, è vero, ma che doveva preparare la liberazione cfi Roma meglio di una vittoria. A questo concetto illustrato meravigliosamente con una vita di eroismi, da Sant'Antonio a Porta San Pancrazio, da Marsala a Digione, si può anche oggi tener fede, anche di fronte a questo pauroso punto interrogativo : ma una nuova guerra, e sicuramente vittoriosa per gli Stati Uniti, non vi susciterebbe soverchi entusiasmi bellicosi e non vi lascerebbe i germi disastrosi del microbo militare ? Non mi allarma questo pericolo. E la mia tranq1;1illità non deriva dall'esperienza della guerra di secessione che non fece sorgere il militarismo - non sono sempre identici i risultati di certi avvenimenti -; ma perchè una guerra tra gli Stati Uniti e la Spagna, checchè ne pensino gli spacconi di Vienna e gl' Hidalgos degenerati di i\Iadrid, sarebbe brevissima e non darebbe tempo al consolidarsi degli istinti e degli interessi, che c.onducono alla formazione dell'organo, che ha per sua funzione naturale e necessaria la guerra. Ciò premesso ci si può sincera mente rallegrare del ritardo, per quanto penosa l'attesa, nella sohizione. li ritardo rende sempre più possibile la soluzione pacifica, perchè dà tempo alla ragione ed agli uomini ragionevoli di prendere il sopravvento sulla passione e sugli esaltati; e le condizioni delle parti che dovrebbero venire a conflitto sanguinoso sono tali, che la soluzione pacifica non significherebbe il trionfo e il mantenimento dell'iniquità e della tirannide di uno Stato su di un altro popolo. I desideri e le aspirazioni di chi è ad un tempo repubblicano e milite del movimento pacifico si possono facilmente comprendere; e per lo stesso motivo non ci vuole molto acume per intendere da qual parte siano le simpatie dei monarchici e dei partigiani della guerra: più o meno ipocritamente stanno per la Spagna. Se queste simpatie non si spiegano colla stessa intensità, ad un tempo in favore della Spagna e della guerra, egli è che temono - fondatamente - che la guerra riuscirebbe disastrosa per la prima. Ond'è che in questo caso e in questo momento si camuffano a partigiani della pace! Questo movimento in favore della monarchia europea, che tiene ancora sul collo dei cubani il suo piede ferrato, è nella stampa, che rispecchia gl'interessi delle classi dirigenti; e di conseguenza mal sanno celarla i governi, che delle stesse classi sono la più genuina espressione.
i62 RIYISTA POPOLAREDI POLITICALETTEUE E SCIE1''ZESOCIALI La massa del popolo, da per tutto nel vecchio continente fa voti pel trionfo degli wsorti delle Antille. li popolo schiettamente manifesta i propri sentimenti e non ha bisogno di ricorrere a finzioni, a pretesti ed a sofismi per giustificarli. La stampa e i governi, che rap • presentano gl'interessi e !'ambizioni delle classi dirigenti, invece, mettono in mostra tutta la funambolesca abilità per mascherare gli obbiettivi veri; e si affidano sinanco al diritto e all'umanità. Essi! Invocasi il diritto internazionale e si condanna l'intervento degli Stati rJniti nel conflitto tra la Spagna e Cuba com~ una prepotenza bruttissima; a Vienna - proprio a Vienna! -- poi c'è anche un giornale, l'Extrablatt, che riA<::tteil pens1e10 della Corte. che nou esita ad assumere linguaggio minacciom contro la repubblica dalle stelle. La invocazione del diritto da una parte delle monarch:e europee e della loro stampa è la cosa più grottesca, più gesuitica, più bugiarda che si possa immaginare. i\nz1tuno si può , isponoen: che il diritto è il prodotto di uua elaborazione storica, che nulla ha di assoluto, almeno sinora. li diritto internazionale delle monarchie europee, non è codifi.:ato; non è ancora uniformemente formulato dai suoi più illustri cultori. li germe, il nucleo vitale ch'esso può contenere, non venne mai sinora rispettato da coloro, che oggi con singolare sfacciataggine vorrebbero consigliare, non potendo imporre, il rispetto agli altri. · Ma a questo dirillo degli Europei, gli Americani contrappongono il loro dirillo, che si chiama: la dottrina di Monroe, enunziata dal Presidente di questo nome e formulata da lefferson nel I S2 3. Ou,tlc dei due dirilli dovrebbe prevalere? Certamente quello degli Americani. è più antico ed è più giusto. Nè si solkvauo dubbi in quanto all'antichità rievocando i nomi gloriosi di Alberico Gentile e di Grozio. Il diritto di questi precursori, non divenne mai non::ia politica di uno stato; la dottri11t1di A{o11roe è cos.i viva che da oltre settant'anni guida la politica degli statisti americani. E il dirilto di Gentile e di Grozio è tale, che basterebbe ocmi a condannare tutti i faristi, che se ne proclamano apgstoli. Non si dica che a Cuba non può invocarsi la dollri1ia di Mo11roe, percbè nessuno sinora ha osato proclamare che le Antille geograficamente non appartengono all'America. Nè si ripeta scioccamente che si esercita dagli Stati Uniti una indebita ingerenza nelle cose Europee, perchè in quc-sto caso si va ad intralciare la libera azione della Spagna. Se il diritto americano non deve applicarsi in que,to caso e contro gli Stati di Europa, non avrebbe più alcuna ragione di essere perchè non sartbbe mai applicabile. Quale debba essere il principio internazionale da servire per condannare l'azione dgli Stati Umti non è bene precisato. Si parla del diritlo di 11a-zionalilà e si tratta del dovere del non iufrrvento: l'uno oovrebbc: sen-ire di complemento all'altro. Se si parla del primo non si riesce a comprendere in verun modo come non si debba parteggiare per Cuba contro la Spagna. E bene ha fatto il D.r Falco nell'Ilalia del Popolo a riprodurre il parere di Calvo, di Lavreme, di Bluntschli - illustri scrittori di diritto internazionale - per dimostrare che gli Stati Uniti non si mettono contro il diritto, guale lo intendono gli Europei, aiutando gl'insorti cubani. Si può aggiungere che essi hanno fatto méno di quanto avrebbero potuto e dovuto fare, non riconoscendo ancora negli insorti la loro gualità di belligeranti, perchè essi sono presentemente nella condizione di dover essere riconosciuti ptr tali. Il dovere del non interveulo ! Francamente è cosa elastica, bifronte : può essere cosa giu,ta, può essere sommamente -scellerata. Di grazia: nel campo individuale lasceremmo noi che un manigoldo robustisssimo accoppasse liberamente un uomo debole, che pur ha d.illa sua il diritto e la ragione? :;-;o. Lo stesso può e devo: dirsi nel campo degli Stati. Ond'è che Giuseppe Mazzini, sempre grande ed avveduto, considerava il dovere del 1101i11terven.to, come cosa iniqua·, come l'espres,iono: brutale dell'egoismo collettivo. Il diritto di 11az.ionalitàe il dovere del 110n i11terveuto se rettamenie intesi, non possono e~sere sostenuti se~z~ arrossire dagli Stati Europei; molto meno poi dall'Italia ch'è sorta in nome del primo - che da alcuni pur si vorrebbe negare a Cuba; e non si è esplicato ed attuato se non colla più manifesta e clamorosa violazione del secondo. Si capisce la logica dello scrittore dell'Idea liberale - il Fortibracci, se non erro - che accusò or ora il Piemonte di avere violato il diritto internazionale contro il Borbone favorendo la spedizione dei Mille, (la violazione fu più sfacciata da parte dalla Francia nel 1859 contro l'Austria e da parte dello stes-o Piemonte nel 1860 e nel 1870 contro il P,pa); 1111 destano la nausea quei gazzettieri, che pur di dare addosso ad una repubblica e ad un popolo che combatte per la propria liberti e per la propria indipendenza, non ,sitano a tenere in tasca due: dirilli: uno pn conto propr,o e che giustifichi il proprio operato, l'altro per conddnnare le: stesse azioni se commtsse da altri. Infine: sanno gli educatori e lo sanno anche le buone mamme, che il miglior mezzo per avviare al bene i fanciulli non e quello di fare imparare a memoria meccanicamente degli astratti assiomi morali, ma sibbene quello pratico ed efficace di dar loro l'esempio continuo e sistematico della buona condotta. Su questo terreno, i consigli dei giornali e degli Stati Europei, per ipocrisia, superano quelli di un padre Zappata elevato all'ennesima potenza. Proprio: gli Stati Europei possono raccomandare agli Stati Uniti, 111 nome del diritto e della morale, di teoc:re le mani a casa e di non afforrare la roba altrui, essi che vivono ed ingrassano dt brigantaggio collettivo; quelli Stati che squartarono la Polonia, che invasero e conquistarono colla violenza l'Africa, l'America e l'.-\sia; quelli Stati che hanno rubacchiato un brandello alla volta del vestito del Gran Turco vanno a dare lctioni di onesta politica internazionale all'Unione Americana! E quando? Quando già hanno consumato l'ultima scelleratctza diplomatica acchiappando disonestamente una fetta del!' Impero Chinese: E chi fa la voce più grossa? Quell' Exlrnblatl che comunica il ptnsiero del Capo di quell'Impero cresciuto e vissuto di rapina e ch'e arrivato smanco ad ingrandire colle vittorie degli altri, e che ancora sul suo ab,to porta le macchie di sangue della Bosnia e dell'Erzegovina ! Via! lo scanJalo fittizio degli St.tti Europei è tale mostruosa ipo;ris1a, che solamente in Italia, dove l' incoltura politica sta alla pari coll'analfabetismo, si deve sentire il bisogno dt smascherarla e di bJllarla per quello che è! Ed hanno giusti motivi gli Stati Uniti d'intervenire in favore degli insorti Cubani? li diritto astratto qui è ancora più difficile ad essere formulato. Riesce più f.tcilc applicarlo quando si prenda a norma la storia dell Europa. E questi scellerali lankies possono cominciare col chiedere ai loro onesti critici: oh! con che diritto l' Imperatore di Francia intervtnne nel Messico per imporvi il governo dell' Imperatore Massimiliano, di ben fucilata memoria? oh! con che diritto la Russia inte1venne più volte negli affari della Turchia? con che diritto la stess1 Russia colla guerra del 1876-77 riusci alla liberazione della Bnlgaria? Con che diritto l'Europa intera intervenne neU·isola dt Creta prima - a danno degli insorti -; e dopo arrestò la marcia dei Turchi sopra Atene? Gli Stati Uniti possono rispondern che i loro interessi vengono seriamente danneggiati dal prolungato stato di guerra in Cuba; e sarebbe rii posta vittoriosamente perentoria ai merca.1ti politici di Europa. E i pretesti con apparenza ragioneYole ! ? Gli Stati Uniti ne avrebbero una sporta e mezza a loro disposizione. Uno solo, quello del
RlYISTA POPOLAREDI POLITICALETTERE E SCIE~ZE SOCIALI Maine - la cui esplosione solo alcuni sciocchi possono attribuire agli insorti - b<1sterebbe tra gli Stati di Europa a far divampare, non una, ma dieci guerre scellerate. Bisogna essere davvero smemorati in Europa a biasimare i pretesti americani, in Europa J;Oi, dove si ebbe la tremenda guerra Franco Germanica del 1870-71 per un pretesto inventato da Bism.r-:k.. che cinicamente - dopo - si ~loriò di avere falsificato un telegramma per riuscire :itla guerra! E si dimentica del pari, che in Europa si è stati e si è ogni giorno ad un pelo dalla guerra per incidenti di confine addir,ttura frivoli, quando non sono detestabili per la loro tendendosita. E chi non ricorda gli odiosi incidenti provocati ripetutamante dallo stesso Bismarck a danno della Svizzera per :iver~ pretesti ad aggredirla? E chi non sa che la Pru~sia, senza alcuna ragione al mondo, se non era pel velo della Russia sarebbe piombata addosso alla Francia in p:ena pact? E chi non cono~ce la satanica arte sempre di Bismarck per mimicare l'ltalia e la Francia? Del resto gli America_ni per bocca del Messaggio di Mak Kinley dello scorso anno di prrlesti ne hanno necampato uno nobilissimo. Il PresiJente della granJe repubblica disse allora: l'intervento pub esse1·eimposto dall"u111a11itda, lla civiltà., dall'ouore pc1·porrefino allo stermiuio certo di un popolo vici110,cbe trovasi proprio alle porte della nazione nostra. Or bene: dall'ano 1 scorso in poi, la miseria e le sof. ferenze degli insorti sono aumentati in un grado spaventevole. Bisogna gettare una sgu.irdo alle incisioni pubblicate dal New York lournal ( [4 marzo 1898) che riproducono le figure delle donne e dei fanciulli di Cuba ridotti a veri scheletri, per comprendere che davvero in nome della civiltà, dell' onore e della umani/ii sarebbe tempo di porre termine alle iniquita che la Spag□a commette a Cuba. Sono esagerazioni degli Americani? No. La loro autenticità venne riconosciuta dalla stessa Spagna che ha votato tre milioni di pesetas per venire in aiuto agli sventuratissimi 1·econcentrados. Commuoviamoci di questa pietà, tanto tardiva, del carnefice verso le proprie vittime! Ma son queste delle sentimentalità che non devono fare breccia nell'animo dei politici? Ebbene: in nome di queste sentimentalità il sommo pontefice ha preso l'iniziativa - nobile e santa iniziativa - della ufficiosa mediazione; in nome di queste sentimentalità gli Stati di Europa hanno fatto un passo collettivo verso l:1Spagna e verso gli Stati Uniti per consigliare la pace! Ed a qualche cosa - sia detto a loro onore - sono riuscite: in nome dell'umanità indussero la Spagna a concedere l'armistizio agli insorti! . * * E giacchè siamo in tema di sentimentalità fermiamoci nn momento uel medesimo per rilèvare gli sdilinquimenti di buona parte della stampa monarchica italiana nell'ammirare l' energia e il coraggio della Spagna. C'è un:i Spag□a degna di sincera ammirazione: è quella dei Comuneros e di J uan Padilla; quella delle •,alorose guerrillas - i diavoli bianchi - che difesero l'indipendenza della patria contro Napoleone 1°, che fecero Saragozza e fiaccarono pe i primi l'orgoglio del guerriero, che credevasi invincibile; quella di Riego e delle lotte per la li berta. Ma chi ammira questa Si agna di una volta non può trovar parole di lode e seasi di benevolenza per la Spagna di Torquemada, di Cortes, e di Pizzarro; non può trovarne per una Spagna che non ha saputo rivelarsi forte da spegnere l'insurrelione nel s.:ngue coi suoi \Veyler - degni aisccndenti degli :intichi Inquisitori feroci - e che seppe soltanto mostrarsi crudele e disumana da un lato, impolitica dall'altro, concedendo riforme incomplete e tardive, quaado si poteva essere sicuri, che sarebbero state respinte dagli insorti, che combattono pel diritto e per la !iberni. Crudelta, impotenza e impreveggenza, che dovrebbero bastare per togliere ogni considerazione presso le nazioni civili che se non s'inchinano alla giustizia, serbano la loro venerazione per l'abilita, per la prudenza politica e per la forza. In Italia, in ispecie, e presso una categoria di persone - non numerosa oggi, potentissima ieri - ci sono particolari ragioni per professarsi grandi estimatori della perseveranza spagnuol:1: i guerrafondai l'additano come esempio degnissimo d'imitazione agli italiani, rimpiangendo amaramente che essi non si si:ino impegnati in una guerra di sterminio contro l'Impero Etiopico. Se la perseveranza nel male è cosa buona, certamente la Spagna merita il plauso; ma a parte ogni considerazione di ordine morale, ch'è vana del tutto per gli amici di Francesco Crispi, c'è da osservare che in questo caso la perseveranza rasenta la follia e condurra a perdizione se non la nazione, certamente le presenti istituzioni . Se c'è un esempio, che avrebbe dovuto fare rinsavire gl'italiani qualora essi avessero perdurato nella guerra africana, certamente è quello di Cuba, che costa di già alla Spagna oltre un miliardo e 111ezzo di lire. Ciiiquantadtmnila soldati partiti da Cadice non riviidero più la terra nati:1 ; 47 mila vennero dichiarati nabili al servizio; ed altri 42 mila giacciono ammalati o feriti negli ospedali! E ben altra è la forza dell'impero etiopico; e ben altri ostacoli fisici si opponevano agli italiani! Per questi gnerrafondai, che esaltano l'ostinazione spagnuola nella lotta per Cuba, ci vuole semplicemente il Manicomio. I monarchici di Europa, compresi i guerrafondai ita • taliani, non si contentano di parlare come tanti diavoli fattisi frati di diritto, di giustizia, di umanita ... e nella fregola d'immischiarsi delle cose di casa altrui danno consigli ai Cubani e, novelli profeti di sventura, predicono loro una nuova servitù se verranno annessi alla repubblica americanà, o li preannunziano votati alla guerra civile coll':inarchia se avranno l'indipendenza. L'autonomia, soggiungono, come l'Inghilterra l'ha concessa al Canadà e all'Australia, sarebbe cento volte prefèribile alle due precedenti soluzioni. Non si deve nascondere che l'indipendenza sarebbe seguita da una lunga serie di turbolenze e di guerre civili, quali si ebbero in tutta l'America spagnuola; tanto più che i Neri avrebbero una preponderanza nel nuovo Stato. E di che cosa questi ultimi siano capaci lo sappiamo dalla storia di una vicina repubblic:1. Ma questa eventualita assai probabile da la misura delle benemerenze della Spagna presso gl'indigeni: essa non ha saputo educarli e prepararli che per la servitù o per l'anarchia. Ci vorrebbe dell'altro per condannare una siffatta maestra? Buona sarebbe - non dispiaccia a coloro che amano le soluzioni radicali - l'autonomia, perchè preparerebbe lentamente il distacco a maturità politica compiuta dalla colonia. Ma perchè l'esperimento fosse possibile sarebbe necessaria una bazzeccola: che la Spagna fosse l'Inghilterra ! Si può trasformare in un baleno in una nazione che tratta civilmente le proprie colonie, quella nazione che sul finire del secolo scorso da Francklin venne additata come modello di sfruttatrice disonesta, che pareva nata e cresciuta per provocare le ribellioni e i distacchi, quella nazione la cui politica coloniale, oggi, da LeroyBeaulieu vie□e ritenuta la tipica spogliatrice delle colonie? L'autonomia quale la godono alcune colonie inglesi, adunque, è un ipotesi semplicemente assurda. Resta l'ipotesi dell'annessione agli Stati Uniti. Sarebbe la nuova schiavitù? Via! non scherziamo. Sarebbe una nuova stella, che andrebbe ad arricchire la costellazione della grande repubblica. Cuba avrebbe diritti uguali a quelli del Massa::chussetts o della Virginia. Lo spettacolo della libertà e della prosperità dell'Unione Americana può e deve avere esercitato un grande fascino sui Cubani e ai loro amici improvvisati potrebbero rispondere: conosciamola schiavitù presente e uessuua cosa ci sembra pe~giore di quella di co11tiimarea stare sotto il gitJgo detta Spagna.
!64 RIVISTAPOPOLAREDI POLITICALETTEREE SCIENZESOCIALI Ed eccomi alla fine di questa lunga disamina, che non può terminarsi meglio se non mettendo in luce la superiorità delle istituzioni americane: la bontà eccetiona le di queste istituzioni, che rendono tanto difficile la guerra, il grande flagello dei popoli. Ecco qua. Si scrive con una imperdonabile leggerezza da giornali italiani, che i banchieri e i commercianti spingono la guerra per Cuba per avidità di guadagno, per un losco affare. La verità è un po' diversa. Sono le classi popolari, che spingono all'azione in nome delle più alte idealità umane. Le tendenze bellicose dei polilicians del Senato e della Camera dei Deputati si devono per lo appunto al desiderio di mantenere la popolar;tà. Le manifestazioni per la guerra non vengono dai capitalisti, ma dai lavoratori. Ai meelrngs d'indignazione di New York, di Chicago, di Boston per protestare contro la mancanzadi energia di Mac Kinley fanno riscontro le manifestazioni di piccoli centri agricoli e minerari dove si è bruciato in effigie il Presidente della Repubblica. Se altro non fosse a caratterizzare l'abisso che c'è tra l'Europa Monarchica e l'America del Nord repubblicana, basterebbe il fatto della libertà che si gode nella seconda di poter fare le più violente manifestazioni contro il capo dello Stato senza che si abbiano i processi e le repressioni sanguinose che non mancherebbero nel vecchio continente. L'Italia ne sa qualche cosa. È il caso in America non è nuovo e si è manifestato in momenti di pericolo e di eccitamento anormali : durante la guerra di seces • sione il sindaco di New York potè manifestare le sue simpatie pel Sud schiavista e secessionista senza che venisse processato o fucilato come reo di alto tradimento. Quanta sia ben fondata l'accusa dei monarchici nostrani ce lo disse il marchese di Hoyos ambasciatore di Spagna a Vienna. · Egli riconobbe che le classi dominanti degli Stati Uniti non sono per la guerra perchè conoscono i danni enormi che il solo blocco di New-York arrecherebbe al commercio ed al capitalismo americano, che non potrebbero essere compensati in verun modo dall'acquisto di Cuba desolata e devastata dalla lunga guerra civile. E ancora più eloquente è la manifestazione coraggiosa ed onesta con cui Pi y Margall ha giudicato il presente conflitto fra il suo paese e gli Stati Uniti. Essa ci rivela un lembo di quella coscienza popolare che, in Ispagna, traviata, deviata oggi sotto l'impulso di una sovraeccitazione morbosa, non mancherà di riprendere presto o tardi il suo predominio nei futuri destini della nazione spagnuola quando altro regime ed altri ideali arrideranno alla sua vita e alle sue lotte ( 1). ( 1) Reputiamo non inutile - togliendolo dal Don Chisciolte del 12 Aprile 1898 - di riprodurre integralmente il giudizio di Pi y Marga!!. L'autorità dell'uomo da cui il giudizio proviene e l'importanza dell'ora nel quale è pronunciato, gli conferiscono un significato altissimo che non può sfuggire ad alcuno. « Non crediamo che sia da temere una guerra con gli Stati Uniti. Ciò che crediamo è che gli Stati Uniti non tarderanno a intervenire nella questione di Cuba. Noi comprendiamo che ora più di prima conviene la previdenza e la prudenza che, disgraziatamente, non si sono avute quando si poteva risolvere il problema senza scapito del decoro della patria. « C'è da aspettarsi l'esaurimento del tesoro coli' impegnarsi di più in compere di nuove navi. Quelle che abbiamo, finora non ci hanno servito affatto. Ora abbiamo inteso che il ministro delle finanze ha ottenuto dal Banco di Spagna un nuovo anticipo di 200 milioni in cambio di nuovi buoni del tesoro. Con questa somma, come pare, il ministro non si ripromette se non di coprire fino alla riunione delle Cortes le spese di guerra, facili a coprirsi non pagando, come non si pagano i nostri infelici soldati. Aprendosi il Parlamento già si sa come incomincerà i suoi lavori: autorizzando nuove emissioni per provvedere alle spese future. Vedremo quale introito dello Stato si potrà allora impegnare per garantirle, quando già teniamo totalmente assorbito quello delle dogane per gli Ma se fosse vero, che banchieri e capitalisti vogliono la guerra, come si spiega che essi ancora non sono riusciti a provocarla pur avendo dalla loro parte le classi popolari eccitate dal jingoismo, che cantano l'inno bellicoso della Iulia \V ard Hove e si entusiasmano al passaggio dei lunghi treni carichi di cannoni e di obici ? Strana e curiosa situazione qi:esta di uno Stato, che ha la coscienza della propria forza, che sa di poter facilmente vincere la rivale designata, che è spinto dal popolo apertamente, e dalle classi dirigenti segretamente, che ha avuto l'occasione o il pretesto del Maine che venne a rinfrescare la memoria di quello più tragico del Virginius (1874) e che pur non si decide alla guerra; e temporeggia e aspetta e lascia che si tratti il Mac Kinley da Fabio da burla I Una metà, una decima parte di queste circostanze sarebbero bastate a provocare una guerra strepitosissima colle monarchie. I loschi affari di Iaeger determinarono la spedizione francese contro il Messico ; più tardi gli stessi interessi borsaiuoli fecero inventare i krumiri ; s'inventò un telegramma per indurre il Re di Prussia ad insultare Benedetti e si travestirono i poliziotti da operai per organizzare le dimostrazioni parigine al grido di : à 'BerlinI Fu ed è facile in Europa, anche sulla base della menzogna, di spingere alla guerra perchè vi sono istituzioni, che vivono dalla guerra e per la guerra. Un capo ereditario di uno stato europe,, in un bagno di san?.ue spera ringagliardire le forze della dinastia ; e dove 1 interesse dinastico manca, come oggi in Francia, se c'è il militarismo, questo basta per creare le occasioni per la guerra e per trascinarvi il popolo e il governo. In America manca nel Presidente della repubblica l'interesse personale per la ricerca della gloria ; e manca l'organo, che rende fatale la guerra. Ecco la ragione dei benefici temporeggiamenti, che forse varranno ad assicurare la pace. E non sarà merito della Spagna se la guerra verrà scongiurata, perchè essa alimenta e riscalda nel suo seno interessi e l'ammortamento degli ultimi prestiti. Ogni giorno saranno maggiori le strettezze, se non si pone pronta fine all'attuak stato di cose, e poi giungerà il giorno in cui, rompe,1dosi la corda tra il Tt!soro e il Banco, verranno le grandi catastrofi, quando mancherà la fiducia alla moneta cartacea e non si potrà pagare il cupone del debito. " Eppure v' è chi ci spinge a una guerra internazionale per la quale non sappiamo come avere i soldati e le risorse. « La guerra, se non ci inganniamo, non è oggi per oggi probabile. Non può la Spagna, nè crediamo che la vorranno gli Stati l,niti. Quali vantaggi ne trarrebbero ? Quali guadagni pel vincitore ? " Ciò che dobbiamo temere, col prolungarsi di questa condizione di cose, è l'intervento armato degli Stati.Uniti nella questione di Cuba. Non resistono a lungo i pregiudizi generati dalla lotta per l' indipendenza. Maggiori sono i pregiudizi sostenuti da noi quando ci impegnammo a mantenere sotto il nostro dominio una colonia che conta mezzo secolo di cospirazioni e di battaglie per iscuoterlo. « Noi combattiamo per ostinazione ed è giusto che che paghiamo la pena di questa ostinazione. Gli Stati Unitinoncombattononè hannovolutomai combattereper toglierci I' isola. Avranno più o meno simpatia per l' insorti, desidereranno probabilmente di aiutare Cuba col fine di realizzare l'ideale del1' America agli amiricani, però non possiamo dire che essi come crovemo, facciano qualcosa perchi i 11ostri nemici vinca110. "~I loro interessi commerciali sono veramente importanti, e in grado maggiore o minore interessi simili hanno anche altre nazioni che è possibile gli Stati Uniti guadagnino alla loro causa il giorno in cui si decideranno ali' intervento armato. Che quelle nazioni non saranno con noi è indubitabile. Per tentare di porle dalla nostra parte alcuni desiderano che la Spagna aderisca all'alleanza franco-russa.Non si poteva immaginare mezzo più efficace per mandarci completamente io rovina. Ci porterebbe all'aumento delle forze di terra e di mare, all'aumento esagerato di spese inutili, alla preponderanza del militarismo, alle grandi e disastrose guerre. E, ci si badi bene, non ci salverebbe dall'intervento a Cuba. Per noi, per una mera questione coloniale, non potranno mai, nè Russia nè Francia arrischiare contro gli Stati Uniti la sorte delle loro armi>,.
RIVISTA POPOLAREDI POLITICALETTERE E SCIENZESOCIALI il serpe maledetto del Militarismo eh' è riuscito già a provocare manifestazioni e tumulti seguiti da ferimenti e da arresti numerosi perchè alla guerra non si è ancora venuti. E i generali, che nelle guerre trovano il loro disonesto tornaconto minacciano uo prommciainenlo. E la pace invece servirebbe forse a trattenere \~T oodford in Madrid e fare dare il passa porto alla regina-reggente. La diffc:renza nella efficienza delle istituzioni diversa non potrebbe essere più spiccata e salutare! Dr. NAPOLEONE COLAJANNI. UOMINEI ISTITUZIONI Avevamo promesso all'on. marchese Di Rudini ed ai nostri lettori (Rivista Popolare Anno III, N.• I 6) d' intrattenerci sul valore degli uomini e delle istituzioni. Gli avvenimenti dolorosi che sopraggiunsero ce lo impedirono sinora; manteniamo oggi l'impegno, sicuri, che l'argomento non ha perduto menomamente di attualità. Siamo convinti che l'on. Presidente del Consiglio nel rispondere all'on. Colajanni (che aveva dichiarato morto e sepolto lo Statuto per opera dei suoi apologisti e custodi ufficiali) sentiva di affermare cosa pericolosa per il proprio partito dicendo: gli errori degli uomini non inlaccanv il valore intrinseco delle istituzioni. Lasciò, certamente, correre la frase, perchè trovandosi a corto di buoni argomenti e di fatti, sapeva che sarebbe bastato un concetto purchessia al capo del governo per rispondere ali' insolente, che veniva a turbare l'inizio delle fe5te... di vera quaresima, che si dovevano fare per solennizzare il cinquantesimo anniversario della proclamazione della Carta Albertina. Giudicammo pericolosa per il partito monarchico la risposta del rappresentante del governo : aggiungiamo ancora ch'essa è inesatta nel senso in cui venne adoperato l'apoftegma sopra enunziato; e su questo proposito ci sembra opportuno premettere qualche chiarimento. Non e' è alcun dubbio che teoricamente i pregi, le virtù delle istituzioni politiche non vengono distrutti dagli uomini che le incarnano, le rappresentano e le rendono attuose, come gli errori e gli svarioni di un medico o di un ingegnere non possono farsi rimontare alla scienza, di cui essi sono i cultori incapaci o disonesti. In fatto d' istituzioni politiche e sociali, però, la storia di tutti i tempi insegna : che quando esse, per cause non rintracciabili, o per qualche loro intimo meccanismo vizioso hanno la disgrazia di essere rappresentate da uomini inetti o colpevoli o semplicemente disgraziati, esse vengono travolte dal!' onda irresistibile dell'opinione pubblica, comunque organizzata e comunque esplicantesi Dalla nemesi inesorabile e misteriosa, che regola gli avvenimenti in certi periodi storici, uomini e istituzior.i vengono considerati come reciprocamente connaturati e compenetrati in guisa che non si sa, non si può colpire e condannare gli uni senza colpire e condannare le altre. Questa nemesi talora è cieca. Non si vide condannata la repubblica in Francia nel I 848 dalle classi popolari perchè coloro che l'avevano in mano - e che in gran parte non erano repubblicani ! - avevano fatto contro il popolo la giornata di Giugno ? Non si acclamò a Napoleone il piccolo, che aveva ristabilito il suffragio universale a scopo criminoso, mentre i lavoratori ridevano in faccia all'eroico Baudin, che lasciava la vita sulle barricate in difesa della libertà e contro il colpo di stato ? E a Baudiu, sghignazzando, si poteva anche buttare in faccia il rimprovero insano di battersi per i venticinque franchi al giorno, che gli fruttava la sua carica di Deputato! C' è da aggiungere qualche altra cosa. Le istituzioni vengono condannate per le colpe degli uomini quasi sempre; e spesso non sono i peggiori loro rappresentanti, che scontano tali colpe. Il peso delle responsabilita si accumula e finisce collo schiacciare coloro, che non ne hanno .alcuna o l'hanno minima. Si scrisse le cento volte che nè Cariò I°, nè Luigi XVI siano stati i peggiori rappresentanti della monarchia in Inghilterra e in Francia; si riscontrarono, anzi, in essi, alcune eccellenti qualità di uomini privati; eppure essi col pa · tibolo scontarono le colpe dei predecessori, e trascinarono nella rovina le istituzioni, che rappresenta vano. Parimenti: colla rivoluzione del I 830 sorgono quasi contemporaneamente due monarchie costituzionali, con pochissime differenze nei rispettivi statuti, in Francia e nel Belgio. Quanto diversa la loro sorte ! Gli uomini in Francia trascinarono nel fango la monarchia di Luigi Filippo che pei cortigiani di allora - tanto rassomiglianti agli odierni cortigiani d' Italia - era la migliore delle repubbliche; e il Re ci/tadina fecero cacciare in esilio. Gli uomini invece conservarono e consolidarono per molti anni la monarchia costituzionale nel Belgio. Dove gli uomini di oggi condurranno la repubblica in Fran• eia e la monarchia nel Belgio noi non sappiamo ; questo è ceno ed indiscutibile, però, che cioè istilttzioni diverse hanno avuto identica sorte sinistra per colpa degli uomini; e che istituzioniidentiche hanno potuto avere sorte lieta per merito degli uomini. In Italia soltanto la storia dovrebbe ricevere una smentita brutale? In Italia soltanto le Istituzioni dovrebbero possedere tale virtù miracolosa da sottrarle ai colpi rudi che loro assestano la malvagid. o la insipienza degli uomini ? Via ! l'ipotesi è semplicemente ridicola. E l'ipotesi è tanto assurda, che i monarchici intelligenti o onesti d' Italia, ripetutamente avvertirono, che gli errori e le colpe degli uomini avrebbero finito col trarre a rovina le istituzioni. Il lòro grido di allarme venne più volte formulato in guisa tale, che il Fisco di Roma sarebbe capace di sequestrarlo, se riprodotto, quantunque ne fossero autori ex ministri e uomini politici eminenti della cui devozione alla dinastia sabauda nessuno oserebbe dubitare. Cominciammo dall'osservare che l'affermazione ddl'on. Di Rudinì era pericolosa pel partito monarchico. Infatti i monarchici respinsero sempre le discussioni teoriche sulle forme migliori di goi·erno sostenendo che le istituzioni contano poco, m.\ quel che valgono sono gli uomini. In nome di questo principio antagonistico con quello di cui ci siamo intrattenuti sinora e che venne enunziato dal Presidente del Consiglio per necessita di schermistica parlamentare, i monarchici derisero sempre i repubblicani come teorici e ideologi : - nemmeno idealisti.
266 RIVISTAPOPOLAREDI POLITICALETTEREE SCIENZESOCIALI Con questa tattica essi si sono mostrati assai avveduti. Essi scorgevano chiaramente - non sono dei minchioni poi ! - che nel confronto teorico tra le istituzioni monarchiche e le repubblicane, tra la migliore costituzione a capo della quale sta un Re per diritto ereditario incancellabile - fosse anche un travicello, un pazzo o un brigante - la storia da numerosi esempi dei tre casi - e la mi· gliore costituzione con un capo elettivo, la forma da loro prediletta avrebbe avuto la peggio; perchè, come diceva Filangieri, nella Scienz.adella legislaz.ione - e lo ha testè ricordato opportunamente la simpatica Minoranza di Boloona - « niùno « ignora gli spazi infiniti che separ;no la repubblica « dalla monarchia». Ciò che abbiamo detto precedentemente lascia intendere, che noi non respingiamo quella parte di vero che c'è nel ragionamento di questi monarchici accorti; ma lo integriamo per riuscire a questa conc_lusione : g_li uomini e le istitnz.ioni agiscono e reagiscono reciprocamente tra loro, e che, perciò, sarà sempre savia politica promuovere la riforma e il miglioramento degli uomini e delle istituzioni, percbè gli uomini perversi o inetti finiscono col perdere le istituzioni buone; e le istituzioni cattive perdono o per lo meno paralizzano gli uomini buoni ed ed anche ottimi. [!'onde cominciare in (ìUest'opera di riforma e di miglioramento : dagli uomini o dalle istituzioni ? Qui l'apriorismo non ci ha che vedere e se ci si mischia fa fiasco sicuramente. Il cominciare daoli uni o dalle altre non dipende dalla libera elezio~e dei riformatori: un mondo di circostanze, tutto quell'insieme di cause e di effetti misteriosamente concatenati ed agenti, che ci sfuggono e che costituiscono il caso, fanno ~i che talora si debba e si possa contare sulla riforma degli uomini e tal'altra sperare in quella delle istituzioni. Chi non guada solo ai fenomeni del momento ed agli avvenimenti che appariscono prossimi, e che l' intervento, talora incomodo, del signor caso allontana a tempo indefinito, deve tener sempre di mira le due riforme in guisa che non possa mancare il risultato benefico ed atteso o in un senso o nell'altro. Bisogna stare pronti per afferrare l'occasione propizia perchè sia conseguito il miolioramento degli uomini, tenendo sempre present~ la circostanza che non sta a noi scegliere la via e il risultato immediato da conseguire. Questa nostra· conclusione forse non riuscirà oradita ai repubblicani intransigenti o sistematici, ~he hanno una storia ed una scienza politico-sociale per loro uso e consumo ; forse la condanneranno come eclettica; forse la riterranno vaga e indeterminata. Noi la crediamo vera e perchè tale la enunciamo senza esit:inze. Per conforto, quasi per contentino di questi nostri amici brontoloni, ci sentiamo nel dovere di aggiungere questo postulato della storia : do~e le istitttzi~ni . migliori banno piu lungamente vissuto e fun;:;wnato,ivi si sono ottenuti i migliori rirnltati nel campo politico, econom·ico,intelletiuale e morale. Una prova luminosa ci viene della Svizzera. Confermano l'Inghilterra e la Scandinavia, che sono le migliori monarchie, tanto che si possono considerare sostanzialmente delle repubbliche e che alla forma repubblicana per via di evoluzione sono avviate. E dell,t Svizzera vogliamo ricordare questo recentissimo dato di cronaca. Ad un giornale di Roma telegrafarono da Mondon in data del 30 Marzo: « Da una settimana sulle prigioni di questa cittadina sventola la bandiera bianca per avvertire la popolazione che il triste albergo è senza inquilini, infatti pochi giorni fa da questa prigione è uscito l'ultimo cliente, ed ora il personale di servizio è in posizione di riposo. Se cosi continua, le povere guardie carcerarie saranno sul lastrico. Il fatto è di qualche importanza, essendoMondon una citta di circa diecimila abitanti ». Questo caso fort•matissimo non si verifica per la prima volta in !svizzera; è tanto poco accidentale che la criminalità di Cantoni limitrofi all'Italia pare fatta apposta per fare vergognare gl'italiani la cui delinquenza ha suggerito draconiani provvedimenti contro di loro a Zurigo e negli Stati Uniti. In !svizzera vige da parecchi secoli la repubblica; in Italia vige da parecchi secoli la monarchia. Quel che valgono le istituzioni del resto possiamo apprenderlo dalla differenza enorme - morale, intellettuale, politica ed economica - che c'è tra le provincie dell'antico regno delle Due Sicilie, e le provincie del Centro e del Settentrione d'ItaliaLe prime per venti secoli ebbero la Monarchia; le seconde per alcuni secoli si ressero a repubblica. Le due istituzioni diverse lasciarono i germi di due diverse civilta. LA RIVISTA. Per assoluta mancanza di spazio siamo costretti a rinviare ai prossimi nume_ri un articolo sul Monosillabismo socialista, i commenti Sulla negata autorizzazione a procedere contro l'on. N. Colajanni, uno scritto di Luigi Einaudi: Come si scrivono i libri di sociologia, e la continuazione del1' importante studio di Paolo Bellezza sul Pensiero letterario di Carlo Cattaneo. Il pane quotidiano(l) ~~~/' N·essunoche abbia senso umano può non essere profondamente offeso dallo stato miserando in cui versa il proletariato odierno, delle citta e delle campagne, per mancanza di lavoro. Sono migliaia di operai nel fiore della gio:,rentùelemos:nanti per sè e pei loro cari il pane della canta pubblica e privata; sono moltitudini di contadini piu infelici ancora dei loro compagni della citt:\ perchè lontani dalle sorgenti della beneficenza propri; dei grandi centri di popolazione, e che sono costretti a nutrirsi di erbe. Molti cuori pietosi vanno incontro alla loro miseria, si tenta di organizzare la beneficenza dei Municipii, delle Opere pie, del Governo, di fronte al grido acuto di popolazioni intere sofferenti.... ma la beneficenza non basta. E chi dice lo strazio compresso delle famiglie vergognose di stendere la mano. ? La piccola borghesia non è meno tormentata del proletariato disoccupato. E non sono soltanto voci compassionevoli di dolore sono state pur rivolte di affamati ed esplosioni di furore che con frequenza paurosa hanno turbato l'ordine pubblico in Itaha, e sono ricorse più specialmente in quest' isola nostra, in cui la fertilita del suolo contrasta tanto dolorosamente con la inopia della maggior parte degli abitanti. . Vana _ricerca quella dei sobillatori, quasi che il difetto d1 lavoro e di pane non fosse sufficiente ca- (1) Conferenza tenuta dal Prof. G. B. Impallomeni in Palermo, il 6 marzo 1898, per cura del Circolo radicale.
RIVISTAPOPOLAREDI POLITICALETTEREE SCIENZESOCIALI 267 gione ai disordini commessi al grido di pane e 1a, voro ! Il disagio economico delle popolazioni rurali siciliane, conosciuto da tutti, e ufficialn ,ente documentato da molti anni, ai nostri tempi si è diffuso ed acuito, in modo da costituire una minaccia permanente per l'ordine: ecco tutto. Quali le cause ? Bisogna in primo luogo aver presente che la Sicilia non ha quasi industrie, è povera di capitali, e vive dei prodotti del suolo; per la qual cosa la sua vita economica è al massimo grado dipendente dalle vicende del mercato e dalle influenze naturali. Da ciò le crisi che la desolano. Dal 1888 fin verso al :893 fu la crisi vinifera, in parte rimediata con nuovi sbocchi ; ma sopravvenne la filossera a distruggere due terzi dei vigneti, la cui ricostituzione è difficilissima appunto per la mancanza di capitali. Dal 1892 al 1896 furono le crisi zolfifera e granaria, la prima delle quali fu risoluta per il benefico intervento della casa Florio, la sola fortuna capitalistica sulla quale la Sicilia e Palermo in particolare possono wntare, e per l'accordo col Governo; la seconda fu in parte rimediata, ma a caro prezzo per i consumatori, cioè con l'aumento del dazio di entrata. Oggi è la crisi agrumaria, non meno funesta delle- precedenti. E non è senza importanza il ricordare ad ammonimento dei gravi doveri dello Stato verso la Sicilia come la deficienza di capitali fra noi fu io buona parte determinata dall'appropriazione dello Stato dei beni ecclesiastici, che erano proprietà siciliana e a beneficio della Sicilia dovevano quindi essere destinati; per cui emigrò da noi un capitale di circa 400 milioni. E ciò con la complicità della più gran parte della Deputazione siciliana, sempre parteggiante ora per questo, ora per que !l'altro Ministro o pretendente, ed ai nostri tempi o crispina, o rudiniana, o giolittiana, o sonniniana, quando dovrebbe essere sop:·atutto una Deputazione siciliana, cosi come le Deputazioni piemontesi, lombarde, toscane appartengono io primo luogo al partito degli interessi piemontesi, lombardi, toscani. Questo depauperamento di capitali è venuto accrescendosi, e a dar luogo a una causa permanente di disagio progrediente, per la scomparsa di quelle industr,e tessili e di altra natura, modeste, ma sparse per tutto il territorio dell' isola, e che servi vano agli usi di gran parte della popolazione, specialmente proletaria e piccolo-borghese, per ciò che il nostro mercato fu occupato dai prodotti industriali, migliori e a più buon prezzo, di altri paesi e di altre regioni italiane piu progredite della nostra ; per modo che quel denaro che valeva ad alimentare le numerose e generalizzate industrie indigene e a dar lavoro a un numero considerevole di persone è andato via, e va a profitto del lavoro e del commercio di altri luoghi. Ma v'è una causa permanente e più profonda ancora di disagio, rimediabile a preferenza di quella or ora ac-- cennata, e interessante in ispecial modo la grande massa della nostra popolazione rurale, e che sinora non è stata considerata dai governi, appunto perchè danneggia quelle classi di persone, che hanno poca influenza nell'indirizzo politico della nazione; accenno alla pur troppo nota e sempre più grave quistione del latifondo. O meglio, qualche volta il governo l'ha sollevata. facendola funzionare come lo specchio per le allodole. Così il Presidente dt'l Consiglio on. Crispi, nel 189 5, fece della spartizione dei latifondi la sua piattaforma per le elezioni generali ; e quando si assicurò la maggioranza, abbandonò il progetto: il quale era buono o cattivo, attuabile o no, ma conteneva un principio di riforma necessaria per l'economia e la civiltà siciliana, e doveva pertanto essere studiato, corretto, e completato, perchè da Palmeri e Balsamo ai più sapienti e umanitarii economisti, politici e sociologi dei nostri giorni, il latifondo è la causa principale della povertà relativa della produzione, come della miseria, dello asservimento e abbrutimento delle nostre masse rurali..... Quell'abbrutimento, è bene ripeterlo per chi noi sa e per chi non lo vuol sapere, che è non ultima ragione del modo incoerente e selvaggio con cui le plebi rurali fra noi sogliono agitarsi e insorgono. E questa condizione di cose è aggravata dall'assentismo dei gr:mdi proprietarii, per cui i loro carnpi sono abbandonati alla ingordigia dei comodi e immediati guadagni dei gabellotti, intermediari usurai e parassiti molteplici del lavoro. E frattanto, nella maggior parte dei comuni rurali, che sono aperti, i meno abbienti e i contadini, ivi agglomerati a causa del latifondo e della malaria che incombe su gran parte del territorio, sono quelli che pagano quasi esclusivamente il dazio di consumo sullo smercio al minuto delle materie alimentari, di loro uso quotidiano, perchè gli abbienti si provvedono del proprio coi prodotti dei loro terreni o acquistano le derrate in quantità superiore a quella soggetta a dazio. Ed ecco gli effetti disastrosi di questo complesso di condizioni, annunziati dalle cifre delle statistiche ufficiali. La piccola proprietà va celermente scomparendo per rendere più esigua la già abbastanza ristretta aristocrazia borghese, ingrossandosi le falangi del proletariato degli elementi più fieramente saturi di malcontento. Dal 1892 al 1895 si sono compiute in Sicilia 14218 vendite giudiziarie d' immobili (1); quando in tutto il Regno d'Italia se ne ebbero 71039, vale a dire che, mentre la superficie della Sicilia è circa il decimo del Regno, le espropriazioni furono da noi tra il quarto e il quinto di tutte quelle compiute nel Regno. E fra le dette 14218 espropriazioni non meno che 11618 furono consumate dagli Esattori per debiti d'imposta, quando tutte quelle del Regno furono 48,757, da noi, cioè, le espropriazioni esattoriali furono il quarto di quelle compiute in Italia. E non v' ha regione d'Italia in cui trovi ci6 riscontro, ad eccezione del!' isola di Sardegna ancora più infelice della nostra. Facendo tesoro di uno studio fatto da un mio amico, noterò ancora che nell'anno 1894 si ebbe in Sicilia un:i media di esecuzioni esattoriali del 21,45 per ogni rn,ooo abitanti, mentre nel!' Italia settentrionale appena il 2,03, e nella centrale soltanto· r 1,98 (2). Ciò che poi prova quanto iniquo sia il sistema tributario che ci governa, il quale con Il stessa misura colpisce il prne ddl'agricoltore e la mensa del signore. Si può aggiungere che nel 1894 si ebbero in Sicilia 18,777 pignoramenti, in ragione del 64.02 per ogni 10,000 abitanti, mentre nel Napoletano furono in ragione inferiore alla metà, 30,73; n.ell'ltalia centrale di 2 3. 16, nel!' Italia settentrionale di 13,99, cioe in proporzione di poco più di un quinto. Si dica ora che Je condizioni condizioni economiche della Sicilia sono simili a quelle della rimanente Italia I E mentre tali sono le condizioni delle classi inferiori, la popolazione de\!' isola cresce in modo da essersi aumentata di più che un sesto nel giro di quindici anni, in guisa da essere più densa che nelle altre regioni, meno che in Lombardia, Liguria e Campania; non compensata dall'emigrazione che è pochissima fra noi, in confronto a quella che muove da Salerno, Campobasso, Basilicata, Cosenza, dal ,·eneto, e persino dalla Liguria, dalla Lombardia e dal Piemonte che sono le regioni italiane più industriali. Tutto ciò dira ai meno veggenti come e perchè il disagio economico è più acuto in Sicilia che altrove, e (r) Attuali di Slitlislictt pubblicati dalla Direzione Generale ddla Sratistic,1.Roma 1897. Atti della Commissioue per la statistica giudiziaria, civile e penale, Parte Il, pag.. p. (2) Le condiziotti delhi Sicilia alla luce dei 1111111:cri A. Guarnieri v~mimiglia, nella Riuisfo Popolc1re diretta ùall'on. Colajanni, Anno II, n. 24.
RIVISTAPOPOLAREDI POLITICALETTEREE SCIENZESOCIALI come non sia destinato a diminuire, ma ad accrescersi per l'aumentarsi della popolazione - essendo un vieto pregiudizio il far dipendere il movimento della popolazione esclusivamente dalla ricchezza -, essendo permanenti le cause che son venuto sommariamente esponendo. Certamente alcune di queste cause possano essere combattute, l'influenza di certe altre potrà essere attenuata, sopratutto la divisione in lotti enfiteutici dei latifondi, ausiliata dalla istituzione del credito agrario, e dalla obbligatorietà dei consorzii agrarii in quei terreni che per condizioni fisiche non fossero suscettivi di essere divisi con separate colture o pastorizie ; con leggi sui contratti agrarii che facilitino la eliminazione del lavoro salariato con la sostituzione di patti colonici; con la trasformazione del sistema tributario nella tassa unica progressiva. Quand'anche, però, si avesse mente e volontà di attuare queste riforme, esse non potre~bero portare gli attesi beneficii che a lunga scadenza. E, d'altronde, sconfortante il dover riconoscere che nella maggioranza delle nostre classi dirigenti manca la chiara percezione delle cause vere e fondamentali dell' inopia delle nostre plebi, manca la coscienza della estensione e della pericolosità di tale stato di cose sempre peggiorante e sempre più incalzante. E se ne è avuta la prova nelle recenti discussioni alla Camera dei Deputati, sui disordini di Troina e di Modica, nelle quali nessuna voce si levò dai Deputati siciliani per proporre un rimedio radicale, una voce che accennasse al sentimento dei sacrificii necessari nelle classi abbienti per obbedire alla legge suprema della solidarietà umana verso le classi diseredate, che pur sono la grandissima maggioranza della popolazione, e soltanto vi furono di quelli che si limitarono a chiedere il troppo parziale e transitorio sollievo di lavori pubblici, ad accusare il governo perchè non obbliga la Russia ad aprire i suoi porti ai nostri agrumi, ad accusarlo d' imprevidenza e di aver fede nella repressione pii: che nella prevenzione, di violenza e partigianeria politica ed amministrativa, essi che tollerarono e approvarono e incoraggiarono i furori di uno stato di assedio di sette mesi e le deportazioni in massa delle leggi eccezionali, senza reclamare nessun atto di provvidenza sociale, e immiserendo così nelle proporzioni di una questione ministeriale un'ardua e complessa questione sociale. E siano grazie ai non siciliani Vischi, Engel, Franchetti e al Senatore D'Antona, per fortuna siciliano, vanto dell'Ateneo napoletano, che seppero pronunziare qualche parola sensata ed alta. Se intanto il disagio dell'isola reclama la maggiore nostra attenzione, non è meno evidente il peggioramento delle condizioni economiche dell'Italia intera, per coloro che non misurano soltanto la ricchezza di un popolo dalla quantità delle produzioni, dai commerci, dalle industrie, ma altresi e principalmente dalla distribuzione dei mezzi di sussistenza nella universalità dei cittadini. Il debito ipotecario fruttifero, che nel 1877 era di 855,878,218, è salito nel 1894 a 1.360,159,101. La D·rezione generale della Statistica del Regno ci ammonisce che le « notizie raccolte dall'Amministrazione finanziaria sopra le derrate provenienti dall'estero e soggette a dazio doganale, come pure sui generi introdotti entro la cinta daziaria dei comuni chiusi, indicano un miglioramento nell'alimentazione per un certo numero di anni fiuo al 1888, dopo di che si avverte una diminuzione, o almeno una sosta nella quantità dei generi consumati " ( r): si parla del frumento, del granturco, del sale, olio, vino, alcool, birra, zucchero, caffé. E ciò non ostante l'aumento sensibile della popolazione, che era di 28,953,480 al 31 dicembre 1881, ed ora di 31,190,490 al 31 dicembre 1896, e non ostante l'aumento della produzione generale agricola e industria le. E correlativamente a tali fenomeni di depressione si ha un costante aumento nei delitti contro la proprietà e nelle frodi commerciali e industriali. (r) Annuario statistico italiano, 1895. Roma, 1896,pag. 2 3 5. Le cause sono permanenti, di carattere più o meno generale e notissime. Consistono nella scomparsa con moto uniformemente accelerato, dell'artigianato e del piccolo commercio, per i progressi del capitalismo e dell'industrialismo. La gran !e industria uccide la piccola industria; i capitali si vanno sempre più concentrando in poche mani e uccidono la piccola speculaz:one. Gli artigiani e i piccoli commercianti divengono salariati, o ingrossano il contingente dei disoccupati e degli Ospedali. Con l'applicazione e il perfezionamento delle macchine all'industria e con l'ingrandirsi dei commerci riceve applicazione sempre maggiore la legge del minimo sforzo col massimo utile, per modo che il numero proporzionale di persone salariate impiegate per la speculazione del padrone e in ragione inversa della importanza della speculazione. Ed ecco come la popolazione proletaria tende sempre più a crescere, e proporzionalmente il numero dei disoccupati Questa legge economica trova una compensazione, benchè non duratura, in quei centri soltanto in cui le industrie e i commerci sono fiorenti di vigore giovanile. In tutti gli altri centri, essa avrà per effetto un irrimediabile deprezzamento della mano d'opera. Se a ciò si aggiunge l'aumento della popolazione si avrà la spiegazione del malessere delle plebi. Aumento non compensato dalla emigrazione, poichè essa segna delle oscillazioni che non indicano una tendenza ad aumentare. La disoccupazione è dunque un fenomeno non accidentale e transitorio, ma necessario; e per ciò stesso non può essere evitata. Non con i lavori pubblici, per la semplice ragione che se questi fossero sufficienti, la dirnccupazione non ci sarebbe ; e i lavori inutili sarebbero niente altro che una funzione parassitaria dei pubblici poteri. Non dico ~ià che lavori inutili e danr.osi non ce ne siano mai stati, ma sono stati fatti a scopo elettorale. Depretis e Magliani rovinarono così le finanze dello Stato. La beneficenza non basta. Riesce in certo modo ad organizzarsi e lenire la calamità nei centri di popolaz1one, ove si può determinare nello spirito pubblico una reazione in favore degl' indigenti, ma non giunge, o giunge faticosamente nei centri meno agitati ; e non tocca la miseria inerte e vergognosa di apparire. Sventuratamente è così: i soccorsi pubblici non aiutano che la miseria rumorosa. E con quali criteri si può giungere poi a discernere la disoccupazione forzosa da quella volontaria, e distinguere un operaio disgraziato da un parassita della pubblica carita ? La fame , si cura come si farebbe con una epidemia, per la quale si dispongono di tempo in tempo dei provvedimenti atti a limitarla e a farla cessare. Ma la fame dei nostri tempi, e parlo in generale, non in considerazione di un luogo o di un' altro, è più che una epidemia sociale, è più ancora che un male cronico, è pur troppo una condizione naturale e normale di essere nelle società odierne, è un poi tato della organizzazione economica attuale. La società, in altri termini, ha in sè gli elementi distruttori della sua stessa organizzazione. Bisogna dunque ricorrere a una forza corretti va, se non si vuole esporla a terribili convulsioni, sostituendo a dei palliativi temporanei, insufficienti sempre, ed arbitrarii per loro natura, perchè dipendenti dalla volontà e dal giudizio individuale quali sono le risorse della pubblica carità, un rimedio organico. E pertanto, mentre si procura di organizzare la beneficenza per sovvenire ai bisogni più urgenti, noi diciamo: organizziamo il diritto alla vita. Il diritto è affermato quando lo Stato dice all'individuo: non uccidere; ma non esiste propriamente per lo Stato, perchè esso non accorda il diritto ai mezzi di sussistenza necessari alla vita. Manca la garanzia, e questa si avra ove sia assicurato per tutti almeno l'alimento indispensabile, che è il pane. Il diritto alla vita sarà dunque il diritto al pane; il pane gratuito per tutti, come condizione minima di esistenza, come funzione sociale dello Stato, come servizio pubblico della comunità, a tutela della vita indi-
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