Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno III - n. 17 - 15 marzo 1898

lii\ IST-\ l'Cll'Ol.,\HI( Ili l'OLJTICA LETTEIIE E SCIEJ\ZJ•: SOCl.-\1.1 Ebbene : il partito socialista non crede di poter dare migliore tributo alla memoria di Felice Cavalletti che promettendo a sè ~tesso di far sua quella battaglia e di consacrarle le sue giovani forze E quanti sono sinceri e intelligenti dei" partiti borghesi pensino, per conto loro, a stornare il triste augurio simboleg-giato dalla morte di Felice Cavalletti. La spada di un conservatore a oltranza lo ha ucciso! badi la borghesia italiana che quella spada non abbia trafitto a morte anche le ultime sue idealità. E il Don C/Jisciotle del 7 marzo : Cavallot{i è mor1o ! Felice Cavalletti è morto. É morto come av.eva vissuto: combattendo per la giustizia e per l'onore. É morto come a\'eva operato, pensato, sperato: da cavaliere. Cavaliere e poeta era per temperamento, negli impeti della fibra gagliarda, nella bontà dell'anima ripiena di delicatezze gentili. E però egli era tra i nostri uomini politici quegli che portava intorno a se più viva la fiamma di un alto ideale, ideale di energia fisica e morale, di giustizia, di fede. Ed era quella la sua forza, la forza che lo rendeva superiore agli altri perchè più amato e conduceva intorno a sè la moltitudine, trascinata principalmente dal cuore : egli credeva. Credeva alla libertà, alla rettitudinr, ali' ingegno, al diritto, alla bontà umana. In questi anni tristi di decadimento aveva lanciato il grido delle rivendicazioni morali che non era sfogo di vendetta contro una persona o contro persone, ma sintesi del suo concepimento della vita pubblica e privata. Perchè qnesfuomo che ha avuto cultura \'era, successi inebrianti guadagnati dal suo ingegno, che nel giornalismo è stato un maestro, che nel Parlamento ha esercitato un'a.ione costante, potente dal primo giorno che vi entrò - quasi trent'anni sono - è vissuto sempre povero. Ed era povero principalmente puchè sentiva che chi ha dai sucoi concittadini un ufficio altissimo, chi può sentire l'ambizione di fare del bene, non ha più il diritto di pensare e di provvedere a sè. La sua occupazione era la patria, per renderla meno infelice e migliore. Però, egli che concepiva così la vita, sentiva spontaneamente la necessità di purificare l'esistenza morale del suo paese. E vi aveva dedicato i migliori anni e la maggior forza della vita. Perchè, Iintracciata comunque, nei giorni lontani t! oscuri, la vita di quel grande lavorat >re che in cinquantacinque anni non ha mai avuto un'ora di riposo, che è passato dal giornalismo al carcere, dal teatro all'esilio, dal Parlamento alle opere più sante di carità, che è stato minaccioso e minacciato, che si è offerto alla morte in trenta duelli, che ha iniziato le polemiche più terribili e sostenuto sereno le diffamazioni più perfide, questo lavoratore inflessibile, che si era non si sa quando accumulata una erudizione formidabile, ch'era divenuto, per volontà sua, a furia di per;everanza, il maggior oratore italiano, che aveva rO\'esciato molti l\lini;teri e non aveva mai voluto appartenere ad alcuno, questo lavoratore così vario, cosi assiduo, pas;ato per tante fortune, ha avuto un solo ~copo, un metodo unico davanti a sè : quello della giustizia con'luistata colla fede, colla ostinazione, col coraggio. Ed era ormai, dopo tanti anni di fatiche, di sofferenze, di nobile e feconda attività giunto al culmine della carriera cui aspirava non per volgarità di ambizione ma per la natura sua, perchè era fatto così. Egli raccoglieva nell'autorità che ornai esercitava indiscussa il premio del lungo lavoro, in cui a\·eva spesa tanta abbondanza di cuore. Noi che l'amavamo, che l'amiamo perchè il ricordo di lui troppo e troppo lungamente avremo presente, sentiamo ancora la sua parola, così vivida e calJa nella espansione dell'entusiasmo, narrarci i disegni maturati, le speranze che era andato tesoreggiando, non per sè, ma per l'Italia. Sono due sere che ci narrava commosso, una gi0rnata trascorsa col figlio suo, il giovanetto cui dedicava affett;, sacrifizi, la più gelosa parte di sè. Ed è morto! Morto, in quella piena maturità dell'ingegno ·e dell'anima, morto quando più sarebbe stata benefica la operosità sua; morto quando l'avvenire sembrava non gli riserbasse più altri fieri, immeritati contrasti. Felice Cavallotti è morto. Con che schianto queste parole che ci pare impossibile di dover scrivere si ripercuoteranno per le terre e per gli animi d'Italia. Tutti noi perdiamo qualche cosa di buono eh' è in noi, ci è portato, schiantato via. Oh doloroso giorno per la patria ! Cavalloni è morto! DoN CmsCIOTTE. I PRECURSORI DELLO ZOLA li caso Zola ha dei precedenti? A. Morandotti, in queste stesse colonne, ha notato con acuttzza e sobrietà le vere e profonde ragioni, che determinarono il contegn~ dd popolo francese nel caso recente. Noi oggi, più modestamente, se non più brevemente, vogliamo indagarne qualcuna fra qudle che determinarono, psicologicamente parlando, il contegno dello Zola. Belacq11a, nella Illuslrazio11eJlal-iana del 30 Gennaio scorso, ha ravvicinato lo Zola al Voltaire citando poche righe dello Stendhal. li Voltaire infatti, sotto il regno di Luigi XV, difese, prima il generale Lally, poi il celebre Calas. Col secondo fu più fortunato che col primo, e ottenne di esso ciò che oggi dicesi la riabilita,ione.... postuma. Ma v' è un esempio più recente, che forse entrò per non poco nel decidere lo Zola a quell'attitudine eroica di fronte al governo del suo paese ; v'è forse un nome, oltre a quello del Voltaire, cui merita di esser ra vvicinato quello dello Zola, senza tema di perdere nel confronto.

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