Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno III - n. 12 - 30 dicembre 1897

RMSTA POPOLAREDI POLITICALETTEREE SCIENZESOCIALI piendosi (1). Noi abbiamo Banche, imprese di assicurazioni e commerciali di Stato, imprese comunali dello stesso genere, imprese del Gas, opere elettriche, mercati pubblici, istituti di commercio etc., cd anche le ferrovie possono nuovamente citarsi a questo proposito. In effetti, oggi si trovano in azione dei forti movimenti che portano ad adempiere, sino ad un certo grado, il programma della democrazia sociale della « socializzazione » della « comunilizzazione » del suolo, della terra, e del capitale. - « Abbasso la proprietà privata ! evviva la proprietà comune I » ; ecco delle parole che suonano peggiori di quello che la realtà non sia. l\la certamente l'antica prop1·ietà comune si è conservata, sia pure in nuove forme, e nuova proprietà comune a quella si è aggiunta, solamente sino ad un certo punto, per speciali ragioni ed entro l'ambito di speciali circostanze. In generale, queste non sono se non eccezioni. La regola fu sinora cd è restala la proprietà privata del suolo, del capitale e delle istituzioni economiche in connessione con essa. Questo fatto deve avere un profondo motivo a base, sul quale sguiscia via in false generalizzazioni di fatti singoli il pensiero teorico della democrazia sociale. Le persone spregiudicate, in quanto pigliano una posizione intermedia fra i partigiani unilaterali .e gli avversarii del socialismo democratico o di qualunque altro, devono ammettere che razionalmente la contesa può volgere solo intorno a questo punto: dato lo svi• luppo già detto, fino a qual punto noi ci discostiamo dal sistema della proprietà privata e passiamo alla proprietà comune, nel senso della proprietà di Stato o comunale? Fra voi e noi, io potrei opporre ai socialisti democratici, si tratta non già, come voi pensate, di differenze di principio, ma della misura in cui un principio può venire o deve essere attuato; non vi Ila dunque, fra noi, una questione di principii, ma una questione di opportunità. Per esempio, sino a elle punto noi possiamo « statizzare » o « comunalizzare » delle imprese industriali di un determinato territorio, ciò non dipende dalla nostra volontà o dal nostro desiderio, ma da certi dati rapporti, più ancora dallo stato e dallo sviluppo e dalle ulteriori conclizioni di sviluppo della « tecnica ». Facenclo delle generalizzazi0ni, avanzando delle pretese dedotte dai« principii », come quelle della Democrazia sociale, non se ne ricava niente. Lo sviluppo reale della storia si fa assai diversamente da ciò elle i desiderii, le aspellazioni e le opinioni degli uomini presuppongono. Per certo non si deve, restando chiusi nel proprio tempo e giudicando di tutto secondo l'esperienza acquistata sino adesso, prescrivere ai tempi avvenire un cammino determinato e preciso. Cento anni addietro chi avrebbe (I) Il traduttore si permette di far osservare che qui « capitale » deve intendersi come « complesso materiale di mezzi di prcduzione », ad esclusione della terra, del sutilo e degli edificii. Solo in questo senso può dirsi che i socialisti ne vogliano la socia izzazione. Per altro tali mezzi di produzione, diventando proprietà comune, ces~ano di essere « capita'.e » che è la forma sto· ica, scciale, dei mezzi di produzione privatamente i:osseduti allo ~copo del profitto. potuto supporre cbe cento anni più tarcli i più importanti mezzi cli comunicazione sa1·el)berodivenuti proprietà clelto Stnto, come è clelle fcnovie? Può benissimo aYvenirc che fra altri cento allni potranno aversi sviluppi e progressi cli simil genere su altri campi, elle a noi scm!Jrano oggi ancora assai strani. Ciòpuò rispondere anche la democrazia sociale ai suoi avversarli. l\la noi possiamo farle di nuovo il rimprovero che essa non faccia i conti con i fatti reali, ma che si lasci condurre nelle sue tendenze e nei suoi sforzi ed anche nelle sue teorie, dai proprii desiclerii e fantasie e dai proprii pare1·i preconcetti. Allorchè noi parliamo dell'avvenire, noi non possiamo considerarlo che dal punto cli vista del presente e delle nostre conoscenze attuali. E perciò noi concludiamo che per tutto un lunghissimo periodo di tempo, fin d'ora prevedibile, la più gran massa della proprietà inclustriaJ.e, mercantile e fondiaria resterà proprietà privata e tale deve restare per il suo meglio. Ed invero non già solo resterà così, e nemmeno principnlmente, nell'interesse dei possidenti, ma anche e sovrattutto nell'interesse della generalità ccl altresì nell'interesse clei lavoratori. Percllè? Per il motivo assai semplice, che seconclo la esperienza più generale e per l'analisi dei momenti psicologici elle vi concorrono, il sistema cli produzione cli• retto sotto la responsabilità del proprietario cd imprenditore personalmente interessato, è quello elle Ila miglior successo. Inoltre anche il progresso della tecnica, che è uu fattore principale di tutti gli ulteriori sviluppi economici, vien presumibilmente meglio garentito da questo sistema di produzione fondato sulla proprietà privata. IV. Ed eccomi alla differenza di principio che esiste fra noi ccl il socialismo democratico. Questa differenza si ritrova nella assoluta diversità di vedute sull'uomo e l'umanità, su tutta l'umana natura e le condizioni del suo sviluppo. La democrazia sociale pensa - ed io ammelto checiò sia in buona fede nei suoi più convinti partigiani - che con un rimutamento dell'organizzazione giuriclico-economica, come quello eia essa domandato ccl anche prognosticato quale conseguenza necessaria della Evoluzione, noi perverremmo a realizzare condizioni economiche quasi-Weali, poichè allora saremmo (liventati allri uomini. Si può questa opinione rafforzare con l'esperienza? Ovvero è stata essa scientifica• mente provata mai? Ci si potrebbe obbiettare che a ciò non può nulla rispondersi, percllè infine l'ordinamento economico del socialismo non esiste ancora. Frattanto noi abbiamo avuto elci grandi mutamenti nella vita elci popoli e si son realizzate cliffcrcnze nella tecnica, nell' ordinamento giuridico-economico , anche nell'ordinamento della proprietà e cli tutti i rapporti economici, e si son fatti dei g1·andi progressi come in nessun'altra epoca precedente, nel secolo XIX. Siam noi divenuti diversi dai nostri progenitori? O migliori di essi in modo essenziale ? Abbiamo forse noi debolezze e colpe !liverse o minol'i cli esse, oppure di altri popoli i quali \'ivnno sotto l'apporti di tecnica, cli economica e di giure ciel tulto clivcr·sidai

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