Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno II - n. 23 - 15 giugno 1897

RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI 445 e in Lombardia si poteva vendere a L. 40. Di più: il sistema di coltivazione influisce sul reddito che il proprietario ricava dalla terra; diminuisce colla vera mezzadria ed aumenta coll'intensiva coltura diretta. Di che dovrebbe tenersi conto quando si parla della Toscana. Risultati pitì esatti e criteri più equi si ottengono dal confronto tra il valore delle terre secondo le varie colture e il prezzo del fitto. Queste ricerche avrebbe dovuto e potuto fare il Governo per procedere ad un ragguagliò approssimativo, ma equo per la imposta fondiaria; ma pur troppo non ha ripetuto con maggiore esattezza quello del 1864. Ora dalle ricerche dirette mie - incomplete, frammentarie, e come può farle un privato - e da pubblicazioni, che hanno un certo carattere ufficiale mi risulta che la_famosa sperequazione tra le regioni e tra le provincie o non esiste o è ben poca cosa. Vadiamo. Nella provincia di Milano un ettare di terra vale circa L. 3000; secondo l'inchiesta agraria il reddito netto per ettaro sarebbe di L. 220 --: nel circondario di Lodi L. 225 - nella provincia di Milano e di L. 200 in quella di Cremona. La fertilità, e perciò il reddito, delle provincie di Napoli e Caserta è tale che secondo il Prof. Giglioli (Direttore della scuola agraria di Portici) nell' Acerrano il frumento ha dato 27 ettolitri per ettara senza uso di speciali concimi (Pungolo Parlamentare 2 agosto 1896). Invece in Basilicata il prezzo massimo della migliore terra vicino ali' abitato è di L. 900 per ettaro ed in media l'affitto è di lire trenta per ettaro; in Puglia attualmente si coltiva la terra a cereali in pura perdita (A. Lo Re: Capitanata triste, Cerignola 1896) e le terre di vecchia dissodazione si affittano a L. 45 l'ettare; in Castrogiovanni le terre seminerie valgono L. 740 l'ettare e si affittano L. 35 in media. Confemporanea alla legge del 1° Marzo 1886 vi è una pubblicazione ufficiale del Ministero di Agricoltura e Commercio (Variazioni nel fitto dei terreni) dalla quale si rilevano dati, che confermano pienamente i precedenti. Vi si apprende che in certi punti della provincia di Alessandria il prezzo dei terreni arrivò a L. 600ù l'ettare ed a L. 10,·000 il vigneto; che nel circondario di Nola (Caserta) il fitto dal 1860 al 1883 oscillava tra L. 320 e L. 500; che in Cosenza era di L. 77, in Cesarò (Messina) di L. 20, in Caltanissetta di L. 21, in Trapani di L. 77, ecc. ecc. C'è da meravigliarsi se alta è l'imposta fondiaria in alcune provincie accelerate e se è bassa in altre fatte segno ad invidia ingiustificata? Tutto questo mi_sembra sufficiente per dimostrare che i lamenti e le proteste dei settentrionali sono affatto ingiustificati e che non esiste la sperequazione o è poca cosa; se esiste essa è intercomunale e tra individui più che tra regioni. Comunque, non sarebbe mai tale da consigliare la spesa di 500 milioni per correggerla. Non si pone mente, poi, ad altra grave circostanza. Lo Statuto impone che ogni cittadino paghi le imposte in ragione dei _propri averi, E questa è giustizia distribuitiva; perchè essa sia giustizia vera, giustizia giusta e non apocrifa ed iniqua è necessario che si tenga conto cli tutti gli averi e di tutte le imposte: l'equilibrio, la perequazione non può ottenersi, che mettendo in rapporto la somma degli uni colla somma delle altre. La perequazione assoluta e vera, quindi, non pòtrebbe ottenersi che coll'imposta unica sul reddito. Perchè la perequazione tra le regioni e tra i contribuenti sia reale e vera occorrerebbe che ~ssa esistesse tra tutte le specie d'imposta, di tributi, e di tasse che s1 pagano allo Stato:- Ora può darsi benissimo che vi siano diverse sperequazioni, ma che siano tra loro compensative. L'ipotesi diviene realtà in Italia e un caso dei più evidenti soccorre per dimostrare tale realtà: la distribuzione del dazio di consumo governativo nelle varie regioni italiane. Questa dimostrazione è stata fatta con veri criteri obbiettivi dall'Economista di Firenze (28 febbraio 1897). Pel dazio di consumo esiste una- i1inegabile sperequazione regionale, precisamente in senso inverso a quella che si pretende esistente nell'imposta fondiaria. Per convincersene basta porre attenzione a questi dati, che rilevo dallo studio diligentissimo del cennato periodico. Il Governo ricava 39 milioni e mezzo dai comuni chiusi del regno, e circa 15 milioni dai comuni aperti. Ora i comuni aperti, che pagano molto meno di un terzo del totale prevalgono nel settentrione e i comuni chiusi nel mezzogiorno; poichè vi è un comune chiuso per 437 mila abitanti nel Veneto, per 334 mila nella Lombardia, per 174 mila nel Piemonte e per 142 nell'Emilia. Invece vi è un comune chiuso per 95 mila abitanti nelle Calabria, per 91 mila in Basilicata, per 50 mila in Sicilia, per 44 mila nelle Puglia e pure per 44 mila nella Campania. Fra le due grandi divisioni - settentrione e mezzogiorno - farebbero eccezione in senso inverso la Liguria da un lato, gli Abruzzi e Molise dall'altro. La distribuzione del dazio di consumo - ch'è il più esoso perchè colpisce maggiormente i poveri creando una progressione al rovescio - riesce davvero iniqua e fa osservare all'Economista: « L'uniformità della legge in questo caso, come « del resto in tanti altri casi, è una vera e propria < ingiustizia, giacchè colpisce in modo enormemente « diverso i cittadini delle varie regioni del regno

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