Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno II - n. 23 - 15 giugno 1897

RIVISTA. POPOLAREDI POLITIOA.LETTERE E SCIENZE SOCIA.LI 443 tiamo anzi che il giudice Boccelli abbia capriccio• samente e senza alcun fondato motivo voluto complicare nel processo da lui istruito l'ex questore di Roma. Ma non doveva esser preso questo caso come una fortunatissima occasione per rialzare in modo clamoroso il prestigio della magistratura, riaffermandone l'indipendenza dal potere politico ? Se la. legge e se le cvndizioni di fatto fossero state contro la condotta del giudice, tanto meglio: non sarebbero mancati i giudici superiori, che avrebbero corretto il suo errore e intanto rimaneva assodato che il m~gistrato poteva procedere anche contro un ex questore del regno; ciò che sarebbe un fatto normalissimo in Inghilterra dove nemmeno i membri della famiglia reale si sottraggono all'autorità della legge, ma che in Italia, per la sua eccezionalità, avrebbe destato una immensa e stupenda impressione: sarebbe valso a rilevarne il prestigio più che una legge sapiente e provvida. Che fa invece l'on. Di Rudinì ? Si lascia sfuggire questa favorevole occasione per rendere un grande servizio al paese ed alla sua più alta istituzione e proclama - contro la legge - e in disprezzo di ogni sentimento morale e di ogni convenienza politica - che il magistrato italiano deve assicurare l'impunità del reato quando il presunto deliaquente è un funzionario e che la magistratura è serva umilissima del potere esecutivo. E si trova un ministro guardasigilli che commette la suprema viltà di abbandonare la istituzione alla cui difesa e al cui retto funzionamento è preposto, alla libidine di arbitrio del ministro dell'interno. * * * Un giornale di Napoli, il Roma appena si ebbe la notizia della circolare e delle dichiarazioni dell'on. Di Rudinì non seppe fare di meglio che rievocare certi precedenti dei tempi del Borbone che fanno onore alla Magistratura di quell'epoca infausta. La Tribuna alla sua volta chiude un suo temperato articolo nel quale s' illustrano gli scandalosi rapporti fra Palazzo Brr-schi e Palazzo Firenze - i due storici edifizi dove han sede il minisiero dell'interno e quella di Grazia e Giustizia - con questo ricordo storico : « Si dice eh~ e il cardinale Rivarola, cardinale legato a latere « di Gregorio XVI, al presidente del Tribunale « che gli mostrava nel Regolamento giudiziario « certi articoli a tenore dei quali non potevano « condannarsi certi imputati, rispondesse cancel- « lando colla penna gli articoli e dicendo - Ve- « dete che questi articoli non ci sono. - E « infatti spariti gli articoli, oltre a cinquecento « imputati vennero condannati, ed alcuni a morte. » Noi non completeremo queste citazioni affermando che l'on. Di Rudinì voglia trovare nei suoi giudici se non la crudeltà, almeno il servilismo del giudice Yeffries ; ci sarà lecito, però di pensare che egli abbia voluto vibrare il còlpo di Maramaldo a quella riputazione della magistratura ch'è già morta da tempo. LA RIVISTA, GIUSTIZIAFìNDESIECLE. Negli anni 1885 e 1886 l'Italia ufficiale - go- .verno e parlamento - col plauso di gran parte del paese si accinse a due imprese, di cui una è riuscita già e l'altra riuscirà un disastro colossale. Iniziò la politica coloniale che condusse adAbbaCarima; iniziò il nuovo catasto che non avrà esito migliore, data la natura di questa seconda intrapresa. Abba Carima fu un disastro politico, militare, morale e finanziario, che almeno ci ha indotto a meditare sui casi nostri e ci ha portati sulla via della liquidazione coloniale. Il nuovo catasto sarà un disastro morale e finanziario che si va consumando follemente e da cui non si sa se ci ritrarremo prima di arrivare sino in fondo. Il primo è noto e finanziariamente costò all'Italia circa cinquecento milioni. La spesa lo appaia col secondo : il nuovo catasto, infatti, costerà alla nazione, ai contribuenti, se non allo Stato, all' incirca altri cinquecento milioni. Perchè un paese stremato di forze qual' è l'Italia si sia dato a così ingente spesa, sarà occorso un motivo reale o un pretesto d'importanza eccezionale. C'era e c'è come non mancò alla politica coloniale. Si disse quando le nostre navi salparono per Massaua che laggiù avremmo ripescato le chiavi del mediterraneo; che vi avremmo aperto un grande sbocco all'esubero della nostra popolazione e dei nostri prodotti; che vi avremmo fatto opera di civiltà. Nell'intraprendere il nuovo catasto non furono meno altisonanti - e meno fallaci - le promesse, i fini che si annunziò dovessero essere raggiunti : si disse che la terra avrebbe trovato credito a buon mercato mercè il catasto probatorio; si affermò che si sarebbero tolte le sperequazioni tributarie esistenti tra le varie regioni d'Italia; e tenendo conto del fine economico e dall'altro morale si strombazzò con ciarlatanesca prosopea, che - proprio come per la politica coloniale - si sarebbe fatta opera di civiltà. Dopo poco più di dieci anni di amari disinganni si venne alla liquidazione della prima impresa civilizzatrice ; dopo altri dieci anni s' intraprese la discussione sull'attendibilità della seconda (1). Strada facendo, però, i civilizzatori catastali hanno mutato linguaggio. Quando si discusse la (i) Per parte mia la intrapresi prima collo svolgimento di una interpellanza nel i892.

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