Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno II - n. 23 - 15 giugno 1897

RIVISTPAOPOLARE DI POLITICALETTERE E SCIENZESOCIALI Direttore: Dr NAPOLEONE COLAJANNI DBPUTA.TO AL PA.aLAMSNTO ITALIA: anno lire 15; semestre lire 8 - ESTERO: anno lire 7; semestre lire 4. Un numero separato Cent. 20. AnnoIl. - N. 23. Abbonamintoptntal• Roma15Giugno1897 Sommarlo. LA Rrv1STA - Nel regno dcli' inverosimile. Dr. NAPOLEONECoLAJANNI- Giustizia fin de siécle. Ir. SocrALISTOIDE- Il bersaglio repubblicano (A Filippo Ttt• rati). PAOLO VALERA- La libertà di stampa in Inghilterra. ALBERTOCENCELLI- Un programma di politica agraria. Dr. PAOLO BELLEZZA- Il pensiero letterario di Giuseppe Mazzini. Sperimentalismo Sociale. Notizie Varie. Recensioni. Nerlegndoell'inverosimile. Non avevamo aspettato la circolare dell'on. Di Rudinì ai Prefetti del Regno, nella quale assumeva sopra di sè la responsabilità dell'arresto - ed implicitamente dell'assassinio - del Frezzi per constatare con vivo rammarico che il ministero attuale si era messo sulla via della più sfrenata reazione. Chi ricorda l'articolo della Rivista in cui si salutava, all'indomani di Abba Carima, l'arrivo al potere dell'on. Di Rudinì rammenterà pure che nell'avvenimento noi scorgevamo l'inizio di un nuovo periodo, che doveva riuscire alla restaurazione dell'impero della legge. Altro non ci attendevamo perchè ci erano note le opinioni professate lealmente dal Pre- ~idente del Consiglio, ch'erano quelle di un sincero conservatore. Attendevamo quella restaurazione non solo perchè formalmente promessa dal deputato Di Rudinì in vari discorsi contro l' on. Crispi; ma · perché ci sembrava che la fiducia nell'impero della legge e la scrupolosa osservanza dello Statuto più che altro dovessero stare a cuore ad un conservatore onesto e sopratutto intelligente quale credevamo che fosse l'on. Di Rudinì. Si comprende perciò che dovette essere profondo il nostro dolore quando potemmo convincerci, che ci eravamo ingannati grossolanamente. La circolare da cui abbiamo preso le mosse non era grave solo perchè copriva delle responsabilità del ministro l'arresto arbitrario. prima e poscia l'assassinio misterioso del Frezzi; ma ancora di più perchè infliggeva un biasimo esplicito e solenne contro il magistrato inquirente, che aveva creduto suo dovere spiccare un mandato di comparizione conti-o il Martelli ex questore di Roma, la cui responsabilità nell'assassinio del Frezzi emergeva evidente. Era poca la speranza che si trattasse di una circolare apocrifa che sarebbe stata smentita, rinnegata dall'autore, cui veniva attribuita; ed era poca perchè il linguaggio dell'Opinione, che è l'ufficioso sistematico ·di tutti gl' inquilini di Palazzo Braschi, aveva già avvisato il pubblico della realtà della medesima. Nessuno, però, neppure i più convinti avversari dell'on. Di Rudinì, neppure i più ostinati pessimisti, si attendevano che il ministro dell'interno e il ministro Guardasigilli fossero venuti alla Camera a riconfermarla con cinismo inaudito, con vera spavalderia, - quasi come una sfida al Parlamento e al paese. Certamente e l'on. Imbriani e l'on. Turati, che raccolsero e ribatterono con parole vibrate le dichiarazioni dell'onorevole Ministro dell' Interno non erano preparati alle medesime, altrimenti non si sarebbero limitati a rinfacciare all'oratore la enormità emergente dal singolo caso, che aveva determinato la circolare prima e le dichiarazioni ministeriali dopo. L'arresto arbitrario e l'assassinio del Frezzi, e la impunità accordata agli assassini impedendo al magistrato di ricercarne gli autori sono fatti gravissimi, che dovrebbero richiamare l'attenzione del Parlamento e del paese trascinare l'uno e l'altro a provvedimenti energici a garanzia delle libertà e della vita dei cittadini; ma nella circolare e nelle dichiarazioni c' è di peggio, perchè vi è il biasimo inflitto al magistrato, che dopo anni ed anni di asservimento abbietto della più alta istituzione dello Stato, dava un esempio lodevole d'indipendenza e di applicazione giusta - niente altro che giusta - della legge. Questa ingerenza sfacciata e prepotente del potere politico nell'amministrazione della giustizia

442 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA. LETTERE E SCI&NZK SOCIALI assume carattere straordinariamente grave sopratutto pel momento in cui arriva e per tutti i precedenti, che alla magistratura e alla sua funzione si riferiscono. La magistratura, che dov' è onesta, ferma ed indipendente dal potere politico ·costituisce una garanzia forse superiore ad una costituzione scritta e liberale, in Italia era scesa in basso e scaduta tanto nella estimazione del pubblico che pochi o nessuno sperava più trovare un freno all'arbitrio dei governanti e neppure un mini?num. di onestà e di sapienza nelle contestazioni e nei giudizi tra i privati. Le cagioni dello scadimento vanno ricercate in una lunga serie di fatti passati nel dominio della storia e che non furono e non poterono mai essere smentiti. Descrivere i più salienti tra quei fatti sarebbe opera proficua; ma ci vorrebbe non un articolo della Rivista Popolare sibbene un volume. Ci limiteremo, perciò, soltanto ad enumerarne alcuni, che costituiscono una vera storia di vergo· gna comprovanti la dipendenza assoluta e continuata della magistratura al pòtere politico. In questa storia di vergogne che disonora coloro, che l'hanno scritta ed il popolo che l'ha tollerata trovano posto distinto: i processi contro l'Unità Italiana per gli assassini nelle cacce reali del Tombolo; il processo contro il Gazzettino Rosa; il Processo Lobbia colle relative sdegnose dimissioni del Procuratore generale Nelli e del Procuratore del Re Borgnini e colla misteriosa morte o scomparsa di alcuni principali testimoni; i processi e le contraddizioni sugli Internazionalisti; i processi sui fatti di Piazza Sciarra, per lo Strigelli, per l'assassinio Fiaschi; il processo della Banca Romana col ricorso Bartoli contro la decisione della sezione di accusa, colla severa sentenza ~lella Cassazione e colla finale e terribile relazione Costa - l'attuale ministro di Grazia e Giustizia. E qui ci arrestiamo, non perchè altri processi mostruosi non potremmo citare, ma perchè crediamo che bastino ad esuberanza per giustificare l'avversione e la disistima del paese per la magistratura. Non era di sicuro l'on. Crispi, quello che poteva rialzare le sorti del supremo istituto ; l'asservimento dei magistrati nei processi svoltisi innanzi ai Tribunali militari, il processo Cellere, la sorte della denunzia Cavallotti nella questione morale, le dichiarazioni ingenue nella loro imprudenza del ministro Calenda sulla formazione dell'ambiente tra i giudici, si credeva che avessero assestato l'ultimo colpo al credito ed all' indipendenza della magistratura. Ma si doveva vedere di peggio! Intanto, affinchè non si creda che il giudizio aspro sia in noi suggerito da passione di parte, ci preme far notare che giudizi: ancora pm severi e di persone insospettabili per il loro attaccamento alle istituzioni vigenti si ebbero in vari tempi e in varie occasioni. Lasciamo da parte l'Imbriani che dice ~ col consentimento tacito e esplicito di tre quarti della Camera - una sentenza giusta essere divenuta tanto eccezionale quanto un terno al lotto; ma potremo passar sopra ai giudizi di i\1arco Minghetti, di Lozzi, di Musio, di Miraglia - questi ultimi alti magistrati anch'essi? e potremo non tener conto di un magistrale articolo di un giurista temperatissimo qual' è il professore Mortara; e del discorso del Prof. Manfredini nella inaugurazione degli studi nell'Università di Bologna? In costoro si trovano tante requisitorie inesorabili sulle deplorevoli condizioni della magistratura. Le quali furono note a parecchi Ministri di grazia e Giustizia, e questi non · esitarono ad esprimere pareri che andarono a confermare pienamnnte quelli su ricordati. Così l'Eula in un brindisi famoso in Torino sentì il bisogno di rammentare che la magistratura non deve 1·endere servigi ; e il Santa Maria sentendosi impotente a riformarla e migliorarla scappò dal palazzo di giustizia proclamandola: un punto interrogativo! Il male era tanto minaccioso e inveterato che il Re inaugurando la XV legislatura promise solennemente che: « sarebbe studiato l'arduo tema « dell'ordinamento giudiziario pe1· elevare la « magistratura a quell' altezza che risponda « alla sua missione ». La parola di un re dovrebbe essere sacra e dovrebbe essere mantenuta. Dovrebbe...... intanto cinque legislature sono passate e l'arduo tema ebbe come risposta la circolare e le dichiarazioni dell'on. Di Rudinì. Rifacciamoci al punto di partenza per venire alla conclusione. Dopo tanti anni di vergognosa decadenza si trova in Roma - la celebrata patria del diritto - un magistrato onesto, coraggioso, indipendente - il Boccelli - che imitando i nobili e rari precedenti di un Nelli e di un Borgnirii vuol fare il proprio dovere e spicca il mandato di comparizione contro un ex questore per tentare di far la luce sul mostruoso assassinio Frezzi. L'atto in sè era e rimane degnissimo di lode; pel momento in cui venne doveva suscitare la più schietta ammirazione. Non c'indugeremo a ricercare se ciò che fece il Boccelli fosse consentito dall'invocato articolo 8 della legge comunale e provinciale, perchè questa ricerca ci sembra davvero meschina. Concediamo pure che l'interpretazione giusta di tale articolo sia quella data dal ministro dell'interno; ammet-

RIVISTA. POPOLAREDI POLITIOA.LETTERE E SCIENZE SOCIA.LI 443 tiamo anzi che il giudice Boccelli abbia capriccio• samente e senza alcun fondato motivo voluto complicare nel processo da lui istruito l'ex questore di Roma. Ma non doveva esser preso questo caso come una fortunatissima occasione per rialzare in modo clamoroso il prestigio della magistratura, riaffermandone l'indipendenza dal potere politico ? Se la. legge e se le cvndizioni di fatto fossero state contro la condotta del giudice, tanto meglio: non sarebbero mancati i giudici superiori, che avrebbero corretto il suo errore e intanto rimaneva assodato che il m~gistrato poteva procedere anche contro un ex questore del regno; ciò che sarebbe un fatto normalissimo in Inghilterra dove nemmeno i membri della famiglia reale si sottraggono all'autorità della legge, ma che in Italia, per la sua eccezionalità, avrebbe destato una immensa e stupenda impressione: sarebbe valso a rilevarne il prestigio più che una legge sapiente e provvida. Che fa invece l'on. Di Rudinì ? Si lascia sfuggire questa favorevole occasione per rendere un grande servizio al paese ed alla sua più alta istituzione e proclama - contro la legge - e in disprezzo di ogni sentimento morale e di ogni convenienza politica - che il magistrato italiano deve assicurare l'impunità del reato quando il presunto deliaquente è un funzionario e che la magistratura è serva umilissima del potere esecutivo. E si trova un ministro guardasigilli che commette la suprema viltà di abbandonare la istituzione alla cui difesa e al cui retto funzionamento è preposto, alla libidine di arbitrio del ministro dell'interno. * * * Un giornale di Napoli, il Roma appena si ebbe la notizia della circolare e delle dichiarazioni dell'on. Di Rudinì non seppe fare di meglio che rievocare certi precedenti dei tempi del Borbone che fanno onore alla Magistratura di quell'epoca infausta. La Tribuna alla sua volta chiude un suo temperato articolo nel quale s' illustrano gli scandalosi rapporti fra Palazzo Brr-schi e Palazzo Firenze - i due storici edifizi dove han sede il minisiero dell'interno e quella di Grazia e Giustizia - con questo ricordo storico : « Si dice eh~ e il cardinale Rivarola, cardinale legato a latere « di Gregorio XVI, al presidente del Tribunale « che gli mostrava nel Regolamento giudiziario « certi articoli a tenore dei quali non potevano « condannarsi certi imputati, rispondesse cancel- « lando colla penna gli articoli e dicendo - Ve- « dete che questi articoli non ci sono. - E « infatti spariti gli articoli, oltre a cinquecento « imputati vennero condannati, ed alcuni a morte. » Noi non completeremo queste citazioni affermando che l'on. Di Rudinì voglia trovare nei suoi giudici se non la crudeltà, almeno il servilismo del giudice Yeffries ; ci sarà lecito, però di pensare che egli abbia voluto vibrare il còlpo di Maramaldo a quella riputazione della magistratura ch'è già morta da tempo. LA RIVISTA, GIUSTIZIAFìNDESIECLE. Negli anni 1885 e 1886 l'Italia ufficiale - go- .verno e parlamento - col plauso di gran parte del paese si accinse a due imprese, di cui una è riuscita già e l'altra riuscirà un disastro colossale. Iniziò la politica coloniale che condusse adAbbaCarima; iniziò il nuovo catasto che non avrà esito migliore, data la natura di questa seconda intrapresa. Abba Carima fu un disastro politico, militare, morale e finanziario, che almeno ci ha indotto a meditare sui casi nostri e ci ha portati sulla via della liquidazione coloniale. Il nuovo catasto sarà un disastro morale e finanziario che si va consumando follemente e da cui non si sa se ci ritrarremo prima di arrivare sino in fondo. Il primo è noto e finanziariamente costò all'Italia circa cinquecento milioni. La spesa lo appaia col secondo : il nuovo catasto, infatti, costerà alla nazione, ai contribuenti, se non allo Stato, all' incirca altri cinquecento milioni. Perchè un paese stremato di forze qual' è l'Italia si sia dato a così ingente spesa, sarà occorso un motivo reale o un pretesto d'importanza eccezionale. C'era e c'è come non mancò alla politica coloniale. Si disse quando le nostre navi salparono per Massaua che laggiù avremmo ripescato le chiavi del mediterraneo; che vi avremmo aperto un grande sbocco all'esubero della nostra popolazione e dei nostri prodotti; che vi avremmo fatto opera di civiltà. Nell'intraprendere il nuovo catasto non furono meno altisonanti - e meno fallaci - le promesse, i fini che si annunziò dovessero essere raggiunti : si disse che la terra avrebbe trovato credito a buon mercato mercè il catasto probatorio; si affermò che si sarebbero tolte le sperequazioni tributarie esistenti tra le varie regioni d'Italia; e tenendo conto del fine economico e dall'altro morale si strombazzò con ciarlatanesca prosopea, che - proprio come per la politica coloniale - si sarebbe fatta opera di civiltà. Dopo poco più di dieci anni di amari disinganni si venne alla liquidazione della prima impresa civilizzatrice ; dopo altri dieci anni s' intraprese la discussione sull'attendibilità della seconda (1). Strada facendo, però, i civilizzatori catastali hanno mutato linguaggio. Quando si discusse la (i) Per parte mia la intrapresi prima collo svolgimento di una interpellanza nel i892.

444 RIVISTA POPOLA.REDI POLITICALETTEREE SCIENZESOCIA.LI legge infausta del l · Marzo 1886 i suoi sostenitori con rara ipocrisia insistettero sul suo carattere economico ed esaltarono i vantaggi del caiasto probatorio e dissero che la probatorietà doveva essere il fine precipuo della grande impresa, cui legò il suo nome il Minghetti. La probatorietà, però, gli esecutori della legge con insigne malafede la lasciarono in disparte e smessi gl' infingimenti oggi confessarono qual' è)'obbiettivo vero della legge: la perequazione dell' imposta fondiaria. · Trattandosi di perequare si suppone che la giustizia debba presiedere all'operazione. E infatti i sostenitori del nuovo catasto videro sinora coronati dal successo i loro sforzi perchè li moralizzarono, li resero simpatici e interessanti in alcùne regioni d'Italia perchè li proclamarono intesi a correggere la iniquità, violatrice dello Statuto, nella distribuzione della imposta fondiaria. Esiste davvero questa iniqua e anti-statutaria sperequazione mercè la quale gli uni pagano di più e gli altri pagano meno di quanto dovrebbero ? È stata affermata con insistenza meravigliosa e la sperequazione la si è asserita regionale con rara: abilità per suscitare maggiore interesse in quelle contrade che si sono additate come sacrificate. Si è anzi riusciti a far credere che il mezzogiorno e la ·Sicilia non pagano - o quasi - imposta fondiaria, la quale grava solo sul settentrione; e si comprende perciò come - falsata od eccitata l'opinione pubblica di- coteste regioni, che si pretendono danneggiate e rovinate - sia divenuta sinceramente popolare la causa della perequazione. Cotesto è un pregiudizio, è una falsità, contro cui ripetutamente han protestato molti cittadini delle stesse ragioni nelle quali piìt insistentemente si domanda la perequazione. Essi, e principalmente mente l'avv. Davide Sacerdoti, hanno dimostrato erronea tale credenza provando che provincie le quali pagano al disopra e al disotto della media ve ne sono nel sententrione e nel mezzogiorno. Napoli e Caserta, ad esempio, appariscono tra le più gravate dall'imposta fondiaria. Perchè il pregiudizio attecchisca, però, é necessario che abbia qualche parvenza di verità; e la si é trovata nel paragone complessivo sull'imposta pagata in ragione di superficie; ma il metodo per procedere al paragone non regge perchè è ovvio che un ettare di terra sterile non può pagare quanto uno di terra fertile. Infatti una marcita lombarda, un orto dei dintorni di Napol;, una vallata del circondario di Nola della estensione di pochi ettari danno quanto un feudo della Basilicata o della Sicilia di molte centinaia di ettari. Della equità della imposta, quindi, non può giudicarsi dalla estensione della terra su cui grava; ma da quanto la terra stessa rende. L'on. Colombo, da persona accorta, comprese che la perequazione desunta dal rapporto tra la impo sia e la superficie non avern alcuna base e si dette a ricerca più opportuna; paragonò il reddito della terra in Toscana, nelle provincie di Milano, di Napoli e di Caserta per conchiuderne che Napoli, Caserta e Milano dovrl'hbero pagare a un dipresso la metà del iributo toscano mentre in realtà Napoli e Caserta paga}lo più e Milano poco meno dell'intera Toscana (Riforma Sociale. Vol V. Fascicolo 3). Il metodo seguito dall'ex ministro del tesoro, poscia, venne adottato dall'on. Di Broglio che fu relatore dell'ultima legge, che si riferisce alla continuazione del nuovo catasto : legge ad esclusivo benefizio - confessato - delle provincie, che hanno chiesto l'accelera.mento. che costituisce l'iniquità più stridente che si abbia potuto commettere in Italia. Bisogna ammirare l'abilità dell'on. Colombo·,che pose i confronti in guisa da escludere il carattere regionale della ricerca associando Milano a due provincie del mezzogiorno. Richiesto da me, l'ex ministro del tesoro, pel quale nutro sincera e grande stima, cortesemente rispose che gli elementi pel calcolo li aveva desunti dall'Annuario di Statistica, che riporta i valori medi dei prodotti delle singole regioni. Ma questo calcolo è incompleto: vi manca il prodotto del bestiame, che per la Lombardia e per Milauo ha uua importanza veramente eccezionale. Quale fiducia meritano i prospetti dell'on. Di Bro· glio si rileverà, poi da questi dati : vi manca almeno uu miliardo di produzione, che appartiene in prevalenza - per açcidente, veh ! - alle regioni settentrionali; vi mancano le uova, vi manca il pollame, vi manca il legname. La produzione dei soli bozzoli è calcolata almeno di cento milioni al disotto della realtà; è valutaia 102 milio~i, mentre la seta greggia esportata oscilla tra i 250 e i 300 milioni. Nè si creda che questo maggior valore dimenticato possa rappresentare la parte del lavoro, perchè il costo della filatura non é gran cosa. Comunque verrebbe largamente compensato dalla seta lavorata e consumata all'interno. Di più è erroneo il metodo di assumere il prezzo unitario fissato nella tariffa doganale per le singole regioni, perchè i peezzi dei proJotti agricoli variano assai sui diversi mercati italiani in ragione della qualità, dell'abbondanza o della scarsezza del raccolto, della facilità delle comunicazioni ecc. Quest'ultima circostanza è tale, ad esempio, che mentre nella provincia di Catania del vino eccel lente si vendeva appena a L. 10 l'ettolitro, in Roma

RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI 445 e in Lombardia si poteva vendere a L. 40. Di più: il sistema di coltivazione influisce sul reddito che il proprietario ricava dalla terra; diminuisce colla vera mezzadria ed aumenta coll'intensiva coltura diretta. Di che dovrebbe tenersi conto quando si parla della Toscana. Risultati pitì esatti e criteri più equi si ottengono dal confronto tra il valore delle terre secondo le varie colture e il prezzo del fitto. Queste ricerche avrebbe dovuto e potuto fare il Governo per procedere ad un ragguagliò approssimativo, ma equo per la imposta fondiaria; ma pur troppo non ha ripetuto con maggiore esattezza quello del 1864. Ora dalle ricerche dirette mie - incomplete, frammentarie, e come può farle un privato - e da pubblicazioni, che hanno un certo carattere ufficiale mi risulta che la_famosa sperequazione tra le regioni e tra le provincie o non esiste o è ben poca cosa. Vadiamo. Nella provincia di Milano un ettare di terra vale circa L. 3000; secondo l'inchiesta agraria il reddito netto per ettaro sarebbe di L. 220 --: nel circondario di Lodi L. 225 - nella provincia di Milano e di L. 200 in quella di Cremona. La fertilità, e perciò il reddito, delle provincie di Napoli e Caserta è tale che secondo il Prof. Giglioli (Direttore della scuola agraria di Portici) nell' Acerrano il frumento ha dato 27 ettolitri per ettara senza uso di speciali concimi (Pungolo Parlamentare 2 agosto 1896). Invece in Basilicata il prezzo massimo della migliore terra vicino ali' abitato è di L. 900 per ettaro ed in media l'affitto è di lire trenta per ettaro; in Puglia attualmente si coltiva la terra a cereali in pura perdita (A. Lo Re: Capitanata triste, Cerignola 1896) e le terre di vecchia dissodazione si affittano a L. 45 l'ettare; in Castrogiovanni le terre seminerie valgono L. 740 l'ettare e si affittano L. 35 in media. Confemporanea alla legge del 1° Marzo 1886 vi è una pubblicazione ufficiale del Ministero di Agricoltura e Commercio (Variazioni nel fitto dei terreni) dalla quale si rilevano dati, che confermano pienamente i precedenti. Vi si apprende che in certi punti della provincia di Alessandria il prezzo dei terreni arrivò a L. 600ù l'ettare ed a L. 10,·000 il vigneto; che nel circondario di Nola (Caserta) il fitto dal 1860 al 1883 oscillava tra L. 320 e L. 500; che in Cosenza era di L. 77, in Cesarò (Messina) di L. 20, in Caltanissetta di L. 21, in Trapani di L. 77, ecc. ecc. C'è da meravigliarsi se alta è l'imposta fondiaria in alcune provincie accelerate e se è bassa in altre fatte segno ad invidia ingiustificata? Tutto questo mi_sembra sufficiente per dimostrare che i lamenti e le proteste dei settentrionali sono affatto ingiustificati e che non esiste la sperequazione o è poca cosa; se esiste essa è intercomunale e tra individui più che tra regioni. Comunque, non sarebbe mai tale da consigliare la spesa di 500 milioni per correggerla. Non si pone mente, poi, ad altra grave circostanza. Lo Statuto impone che ogni cittadino paghi le imposte in ragione dei _propri averi, E questa è giustizia distribuitiva; perchè essa sia giustizia vera, giustizia giusta e non apocrifa ed iniqua è necessario che si tenga conto cli tutti gli averi e di tutte le imposte: l'equilibrio, la perequazione non può ottenersi, che mettendo in rapporto la somma degli uni colla somma delle altre. La perequazione assoluta e vera, quindi, non pòtrebbe ottenersi che coll'imposta unica sul reddito. Perchè la perequazione tra le regioni e tra i contribuenti sia reale e vera occorrerebbe che ~ssa esistesse tra tutte le specie d'imposta, di tributi, e di tasse che s1 pagano allo Stato:- Ora può darsi benissimo che vi siano diverse sperequazioni, ma che siano tra loro compensative. L'ipotesi diviene realtà in Italia e un caso dei più evidenti soccorre per dimostrare tale realtà: la distribuzione del dazio di consumo governativo nelle varie regioni italiane. Questa dimostrazione è stata fatta con veri criteri obbiettivi dall'Economista di Firenze (28 febbraio 1897). Pel dazio di consumo esiste una- i1inegabile sperequazione regionale, precisamente in senso inverso a quella che si pretende esistente nell'imposta fondiaria. Per convincersene basta porre attenzione a questi dati, che rilevo dallo studio diligentissimo del cennato periodico. Il Governo ricava 39 milioni e mezzo dai comuni chiusi del regno, e circa 15 milioni dai comuni aperti. Ora i comuni aperti, che pagano molto meno di un terzo del totale prevalgono nel settentrione e i comuni chiusi nel mezzogiorno; poichè vi è un comune chiuso per 437 mila abitanti nel Veneto, per 334 mila nella Lombardia, per 174 mila nel Piemonte e per 142 nell'Emilia. Invece vi è un comune chiuso per 95 mila abitanti nelle Calabria, per 91 mila in Basilicata, per 50 mila in Sicilia, per 44 mila nelle Puglia e pure per 44 mila nella Campania. Fra le due grandi divisioni - settentrione e mezzogiorno - farebbero eccezione in senso inverso la Liguria da un lato, gli Abruzzi e Molise dall'altro. La distribuzione del dazio di consumo - ch'è il più esoso perchè colpisce maggiormente i poveri creando una progressione al rovescio - riesce davvero iniqua e fa osservare all'Economista: « L'uniformità della legge in questo caso, come « del resto in tanti altri casi, è una vera e propria < ingiustizia, giacchè colpisce in modo enormemente « diverso i cittadini delle varie regioni del regno

RIVISTA.POPOLA.REDI POLITICA.LETTEREE SCIENZESOCIA.LI « e crea una perenne sperequazione. Se poi ba- .« diamo alla entità totale del dazio consumo, cioè « a quello governativo e comunale presi insieme, « la sperequazione appare ancora più grave. A chi, « infatti, non deve colpire il fatto che il Veneto « con poco più di tre milioni di abitanti, paghi « meno di dieci milioni di dazio tra erariale e « comunale, e la Sicilia con tre milioni e mezzo « di abitanti paghi ventiquattro milioni e mezzo « di dazio L .. Queste sono non più sperequazioni, « ma offese a quella eguaglianza di trattamento « che lo Statuto ha promesso, almeno nei limiti « del possibile ». Ebbene, la ingiusti?.ia nella ripartizione dell'imposta fondiaria - della cui esistenza legittimamente si deve dubitare - è stata denunziata e vi si provvede con grave danno di tutta Italia; ma non si pensa affatto a provvedere per la ingiustizia stridente nella ripartizione del dazio di consumo. Si capisce: la prima ferisce i settentrionali, la seronda non riguarda che i meridionali .... Dissi che la perequazione vera dovrebbe farsi proporzionando la somma delle imposte colla somma degli averi. Un calcolo, al di fuori di ogni preoc cupazione politica e regionale, del genere di quello consigliato, è stato fatto dall'illustre Prof. Pantaleoni alcuni anni or sono ed i risultati del calcolo sono davvero sbalorditivi. (1) Se ne giudfohi. La ricchezza totale dell'Italia è divisa così; il 48 0/0 nell'alta Italia, il 25 nell'Italia media e il 27 nell'Italia meridionale. Il carico tributario totale invece è distribuito precisamente in senso inverso della ricchezza; cioè: il 40 0/0 viene pagato dall'alta Italia, il 28 dalla media e il 32 dalla meridionale. Così paga meno chi ha di più, e viceversa. Questa è la vera sperequazione, cui si dovrebbe porre riparo e al più presto possibile. Non se ne farà nuUa, perchè sarebbe opera onesta, ma che riuscirebbe a beneficio di quell'Italia meridion~le, che rappresenta, come disse un deputato, la colonia di sfruttamento dei settentrionali. DR. NAPOLEONE COLAIANNI. (1) Il . metodo del Pantaleoni è stato lodato e accettato dal Comm. Bodio - un settentrionale autentico - direttore generale della statistica. La Rivista Popolare di politica lettere e scienze sociali, si vende anche a numeri separati al prezzo di Cent. 20, il fascicolo. La Rivùta Popolare di Politica Lette,-e e Scien::n aocìali esce il 15 e il 30 d"ogni mese, in fascicoli di 20 pagine in 4' granda. Ptr abbonarsi, spedire lettera o Cartolina Vaglia a/l'Onorevole Dr. Napoleone Colajannl - Roma. ILBERSAGLIO REPUBBLICANO (A Filippo Turnti). Continua la critica del programma della parte repubblicana della Camera dei Deputati e mi pare utile continuare la polemica anche dopo che l'autore del programma stesso ha fatto la difesa propria; e parmi utile tornare sull'argomento perchè la sintesi elevata del filosofo non rende superflua l'analisi pedestre del milite oscuro, che segue da vicino il contraddittore e non disdegna di rintuzzar~ le frecciate; tanto più che se i lettori più colti di una rivista possono accontentarsi delle sintesi, ai meno colti non riuscirà di troppo un po' di analisi. Anzitutto una dichiarazione : se io fossi deputato ed a me fosse toccato l'onore di stendere il programma della estrema sinistra repubblicana avrei sicuramente fatto opera di molto inferiore a quella dell'on. Bovio; ma è del pari sicuro che l'avrei fatta diversa, perché diversa é la mentalità mia da quella dell'illustre professore dell'Ateneo napoletano. Quale esso è, però, ai repubblicani riuscì argomento di non poco conforto, perché ha sollevato la discussione ; e non si discutono le cose senza valore, inutili e che non destano né timori, nè apprensioni di sorta alcuna. E si è discussa la repubblica, questa parola vana, cui a giudizio di talÙni, più non risponde alcun contenuto, alcuna idealità I L'idea repubblicana, che si disse sorpassata (?), moi ta e seppellita ha provocato gli strali acuminati dei monarchici e dei socialisti, che spesse volte si sono trovati concordi nella cr:tica. Non mi sorprendono i primi - anzi sarebbe stato inconcepibile il loro silenzio, quando essi si sentivano assaliti; ·mi addolorano gli ultimi, perché con loro c'è tanta via da percorrere insieme, prima che se ne separino coloro che non vorranno s1>guirli nella lotta per le ulteriori trasformazioni, che non ci trovo sugo alcuno a graffiarci e ad indebolirci a vantaggio di comuni avversari. Eppure la critica piil mordace e meno cortese è venuta dai socialisti, è venuta da F1lippo Turati - l'elegante e scettico pamphlétafre. Ed a lui oggi particolarmente rispondo riserbandomi di continuai·e l'avvisaglia cogli altri; convinto, del resto, che su per giù i monarchici nulla hanno saputo ti-ovare di più e di meglio per demolire il programma dei repubblicani parlamentari. Che la critica di Turati sia stata mordace e poco cortese è evidente. Egli ha rassomigliato il program· ma «: ad un discorso della corona scialbo, vago, poco impegnativo, tutto luoghi comuni. > ( Critica sociale 16 Maggio 1897). Non solo; ma lo ha trovato incomprensibile, ed il caso sarebbe grave assai, perchè il Turati ha mostrato di aver capito - in altri tempi, quantunque non remoti - fatti e condizioni, che non conosceva! Se mi addolora il contegno del Turati e dei socialisti, però, non mi sorprende. Data la linea di condotta sinora seguita, e trasudante disprezzo da tutti i pori per il partito repubblicano che trattarono da quantitè negligéable, quasi da quattro predoni alla

RIVISTA POPOLARE DI POLITICA.LETTERE E SCIENZE SOCIA.LI 447 Dì Robilant, si spiega che essi siano stati maledet. tamente indispettiti dalla manifestazione repubblicana nel paese, che si riperoosse nella formazione del gruppo repubblicano nella~ Camera dei . deputati• Ed il dispetto traspare chiaro dal tono dell'articolo di Turati, che a denti stretti constata l'aumento nel numero dei voti ottenuti dai repubblioani. Diavolo l la privativa di questi aumenti doveva essere lasciata ai socialisti della lotta di classe e sono stati ben im· pertinenti coloro che sono venuti a distubarli e non si sono rassegnati a lasciarsi seppellire senza neppure gli onori dei funerali - proprio come tanti cani. .. * * Tutta la banda monarchica, di accordo con Turati e coi socialisti, al programma steso da Bovio ha rimproverato la mancanza di chiarezza, la mancanza di precisione e di dettaglio, per così dire simmetrico ; e qualcuno, nei crocchi, se non nella stampa, gli ha fatto colpa grave del non avere esposto l'ordine - perché non anohe il tempo, la soadenza fissa come per le cambiali? - in cui le riforme si sarebbero propugnate e seguiti gli avvenimenti. Or bene nulla di più sbagliato di questi appunti. Sbagliato non solo ; ma anche a parer mio di mala fede perché sono convinto che gli avversari non avrebbero disarmato se il programma avesse avuto le qualità opposte ai difetti, che si volle scorgervi. Se fosse stato semplice e limpidissimo si sarebbe trovato volgare; se fosse stato preciso e dettagliato lo si sarebbe chiamato un centone. Oh l perchè mai dissero un volgare centone il Patto di Roma se non pe,rché esponllva, quasi catologava, tutte le riforme che la democrazia voleva propugnare ed ottenere? NÒn si sarebbe risparmiato il ridicolo al programma se fosse riuscito diverso da quello che è perché i suoi denigi·atori avrebbero osservato che con un pezzo di carta sottoscritto da trenta deputati si avrebbe voluto dar fondo all'universo. Al programma, per distinguerlo da quello di altri gruppi coi quali in Parlamento, i repubblicani possono collaborare, bastava definire e determinare la tendenza sua; e più ohe la tendenza, la meta. In quanto all'ordine delle riforme da propugnare, non esito ad affermare, che il prestabilil'lo è davvero cosa vana. Quest'ordine non dipende né da gruppi nè da singoli ; nè da ministri nè da deputati o pubblicisti. Non dico in un periodo di tempo abbastanza lungo, ma nemmeno in una legislatura, neppure in una sessione si può svolgere od attuare, nell'ordine prestabilito, un dato programma; e ciò con tutte le buone intenzioni del mondo in coloro, che lo presentano. Certo nè il Re che legge un discorso della corona, nè i ministri che gli fanno fare alcune determinate formali promesse vorrebbero venir meno alla parola data; ma gli avvenimenti, imprevvisti e imprevedibili sinora, a loro s'impongono e spesso capovolgono l'ordine delle riforme e talora lo cancellano del tutto. Perciò i deputati repubblicani si sono attenuti agli insegnamenti del più sano sperimentalismo politico limitandosi ad additare lo spirito, la tendenza, la meta del loro programma - segnalando, nelle grandi linee, le trasformazioni preconizzate, convinti della ninna importanza dell'o1•dine anticipatamente segnato, ohe solo gli avvenimenti realmente stabiliscono ed impongono. Ma e' è poi una tendenza nel gruppo reppubblicano parlamentare? L'amico Turati non esita a negarlo; ma che abbia torto indiscutibile lo dimostra la esistenza anche dello scopo negativo, che si prefiggono i repubblicani: l'abolizione della monarohia. Questa é una tendenza negativa, che vale molte altre tendenze che si pretendono positive. La parte più vera più inconfutabile del socialismo contemporaneo è anch'essa una tendenza negativa cioè: così non può durare la presente organizzazione economica. E che non debba durare, giustamente, lo argomentano da un dato del tutto sperimentale : dalle continue trasformazioni che da tempo immemorabile ha subito il suddetto ordinamento. Anoora. Il progra=a, un progra=a repubblicano, contiene più ohe una tendenza; addita una meta ooncreta, precisa ; si riferisce a cosa realizzabile prossima - e perché prossima più temuta ed avversata di altre più radicali e sostanziali, ma per oomune opinione ritenute più remote. La tendenza la si trova nel collettivismo, che per necessità, é allo stato di semplice nebulosa e la si vuole negare alla repubblica, eh' è cosa di j eri e di oggi e che tutti - i socialisti non esclusi - ritengono che sarà lo avvenimento di domani? .... * * * Filippo Turati che sentenziò mancare una qualsiasi tendenza al partito repubblicano fa sua una obbiezione dei monarchici e nel programma pa~- lamentare trova un difetto, una debolezza nel fatto che la parte critica può essere accettata da qualunque opposizione avanzata. Pe1· comodità di polemica ammettiamo ch'egli sia nel giusto. Ebbene come egli, oosì acuto, non si é avvisto che ha tirato sassi nella propria piccionaia? Santi numi ! Ma la critica del socialismo non solo l'accettano i repubblicani, i radicali, alcuni progressisti ; l'a'lcettano pure molti conservatori, l'acoettano i cattolici. Nella parte critica la bella enciclica di Leone XIII - de conditione opificum - non può stare accanto a molte altre critiche di socialisti di stato e di collettivisti? In certe verità, su certi fatti innegabili non é lecito il dissenso se non coloro, che sono affetti da insanabile cecità o fisica o intellettuale o morale l I repubblicani dovrebbero fare una cl'itica falsa pur di farla diversa da quella dei socialisti o di un& qualsiasi opposizione avanzata? L'elegante e arguto scrittore della Critica sociale assurgendo a filosofo della storia o a sociologo positivista non trova nel programma repubblicano una coordinazione evidente di effetto e di cause. Ma se l'avesse tentato? Apriti cielo! avrebbero coperto di ridicolo il tentativo. Di non averlo tentato, del resto, va data lode grande all'on. Bovio. Questa sistematica coordinazione di cause e di effetti é da lasciarsi ai semplicisti, ai veri metafisici della peggiore specie.

448 ~ RIVISTA.POPOLA.REDI POLITICAL. ETTERE E SCIENZESOCIA.LI Per tentarla del resto non basterebbe un volume grosso grosso; e non riuscirebbe mai compiuta, chiara. evidente. Tale è la complessità, l'aggrovigliamento dei fenomeni sociali; è tale la rapidità talora e talaltra la lentezza con cui un fenomeno segue ad un altro; ed è pure talmente imbarazzante la reciproca azione e reazione che nella fenomenologia sociale c'è tra gli avvenimenti e che fa sì che gli effetti agiscano da cause, che nè sociologi, nè statistici - da Riimelin a Spencer, da Marx a Gumplowicz, a Giffen, a. Bodio .•. - osano stabilire con sicurezza queste connessioni precise e singole. Però è agevole il giudizio generico e complessivo; e il popolo, quando corre ad una rivoluzione, lo fa guidato da.Il'intuito. Sente che sta male ; il male lo attrihuisce all'intera e complessa organizzazione sociale - e senza sottilizzare, senza discriminazione si toglie d'addosso una istituzione - la mona1•chia, ad esempio -; e spesso se ne trova bene. Ciò può fare l'intuito del popolo ; ma la filosofeggiante connessione di cause ed effetti in un programma susciterebbe un allegro scoppio d'ilarità. Dissi che se si fosse tentata. una siffatta connessione si sarebbe fatta della metafisica pura; intanto il Turati opina che il programma è impregnato d'idealismo metafisico perchè... perché si da la prevalenza alla parle morale! .... Anzitutto non è esatto il dire che tale prevalenza vi sia ; a meno che non la si voglia desumere dalla precedenza con cui è la medesima menzionata. Ma se questi argoment.i formalistici, per così dire esteriori, trovano considerazione nell'animo di Turati mi meraviglia che egli non abbia notato nel programma - stando alla edizione dell' Italia clel popolo - alla parte morale venne consacrata una linea di più che alla parte sociale .... Grave colpa in verità! Smettiamo l'ironia. Sono tra coloro che ritengono essere le condizioni morali un prodotto delle condizioni economiche, politiche e sociali; sono tra colorò, anzi, che ritengono tra tutte preminente la condizione economica. ; nia credo in pari tempo che ogni fenomeno ha. il suo momento storico di preminenza, quasi esclusiva, e che mette nell'ombra tutti gli altri. L'ha. avuto il fenomeno 1•eligioso; l'ha avuto la quistione nazionale. Se Tura.ti non se ne accorge, non so che fa1•ci: ~peggio per lui. Se ne sono a.ocorti i socialisti del suo stampo, che vi hanno insistito negli articoli e nei discorsi e se ne sono fatta. arma poderosa. per battere prima Giolitti, poi Crispi ed ora. Di Rudini. Se esiste questo dato reale del momento storico della preminenza. della qnistione morale c' è metafisica. in chi la. constata? Constatarla, illustrarla, invece non sarebbe vero positivismo, accorta politica? Non contento del!' incomprensibile disprezzo per la questione morale, l'amico Turati mette bellamente in canzonatura l'affermato ·bisogno di rialzare il senso morale ed esclama: « E dire che da venti secoli, pe1• questa utopia, il Cristo pende dalla croce I » Affediddio ! ma gli scettici e i pessimisti non canzonano con altro argomento i socialisti. Per convinoerlo delle inanità dei loro sforzi intesi a migliorare la sorte dei lavoratori ricordano che ci furono sempre ricchi e poveri e continueranno sempre ad esservi; ricordano che l'uguaglianza fu sempre un utopia e continue1•à ad essere tale; ricordano che inutilmente il Cristo fu messo alla ci·oce per la redenzione umana; rico1·dano che prima delle giornate di Lione nel 1831 e di Giugno 1848 in Parigi, che prima della Comune - se1,za far capo alla storia della China - ci fu è la guerra servile con Euno e l'insurrezione dei gladiatori con Spartaco ... Ah ! Turati, amico mio, dove ti trascina la voluttà della critica ·beffarda ... I tuoi, i nostri nemici potrebbero allegramente ritorcerla contro di te, contro di noi .. Nè mi dilungo in considerazioni di ordine storico per dimostrare che anche senza una trasformazione economica radicale si ebbe qualche volta la restaurazione del senso morale - almeno in quel senso relativo, che, in attesa del periodo collettivista, è lecito sperare nelle società umane. Mi limito a citare, in proposito l'esempio del!' Inghilterra e passo oltre. ,. * * Il Turati ha creduto di avere buon giuoco nell'eser citare il suo spirito, alquanto maligno in questa occasione, sulla parte politica. del programma. Egli, però, non riesce ohe a dimostrare la propria ahilità - e non è la prima volta che faccio que.;ta osservazione - nello scambiare le carte in tavola; poiché mette in rapporto il suffragio universale colla Carta Albertina per concludere eh' era inutile il fare oggetto di studio e di rivendicazione il primo perché la seconda non lo esclude. Tante grazie l Bovio non sognò mai siffatta esclusione, ma rettamente pensò che l'inclusione implicita valeva meno di nulla, senza l' inclusione esplicita ed effettuale. Ad ottenerlo in fatto e non virtualmente mirano i repubblicani. Avranno con loro i migliori amici di Cavallotti - come il Sacchi-· i progressisti autentici - se ancora ce ne sono. E i socialisti ? Meglio se saranno c0n noi; si otterrà. più facilmente e sarà bene per tutti. L'esame clella carta l'onorevole estensore del programma repubblicano, però, non lo domandò per includervi il suffragio uni versale, che nessuno ve lo aveva visto escluso; sibbene per delineare più chiaramente qual'era l'obbiettivo primo e sostanziale dell'azione parlamentare del gruppJ repubblicano. In quale senso fu chiesto tale esame - che all'occorrenza potrebbe riuscire ad una bocciatura: non si sa che da cosa nasce oosa ? dagli Stati Generali monarchici non si arrivò in Francia al 93? - risulta all'evidenza dal primo dei due fini presupposti: restituire intero alla nazione l'esercizio della sovranità. Escludendo la malafede, devo dire che l'importanza, il significato di questo presupposto è sfuggito interamente tanto a Turati quanto al Saraceno. del Don Chisciotte, che contro di esso scagliano argomenti, che necessariamente riescono sofistici. La dizione del programma si riconnette alla teoria plebiscitaria con tanta asinesca sicumera o con tanta gesniteria invocata di continuo dai monarchici. I quali riconoscono l'eccellenia del diritto plebiscitario, ma

RIVISTA.POPOLAREDI POLITICAL. ETTEREE SCIENZESOCIA.LI 449 solo in quanto serve e giova alla monarchia; e si mostrano ignoranti o gesuiti perché ignorano o Jìngono d'ignorare che colla teoria plebiscitari a il popolo che ha fatto una monarohia conserva il diritto di disfarla ( l ). I repubblicani positivisti accettano la teoria e la interpretano senza mutilarla. Essi cercano la base della discussione nella medesima e non credendo che la repubblica sia di diritto divino perciò non escludono che il popolo nell'esercizio pieno della propria sovranità possa per bene intese ragioni o per errore darsi un governo monarchico e si tengono rispettosi delle istituzioni vigenti sino a tanto che saranno volute dal sovrano vero. Essi, però, chiedono ohe tutti siano del pari rispet tosi dela sovranità nazionale riconoscendo nel pop• lo il diritto supremo di disfardi delle medesime istituzioni, quando le spel'imentasse disa<iatte e dannose. Ma da questo 01•eochio i monarchici non ci sentono; e non sentendoci molti anni or sono rispondevano ad Alberto Mario, che colla sua logioa li aveva messi colle spalle al muro, che al popolo, che a vess 1 voluto sbarazzarsi dell!l monarchia avrebbero risposto colle cannonate. Bel modo di ap,Jlicare la teoria plebiscitaria e di rispettare la sovranità del popolo neh? Nella p~rte dell'Estrema, che segue Cavallotti la teoria plebiscitaria la s'intende in tale modo corretto. L'ordine del giorno Sacchi votato nella seconda riu· nione al principio della legislatura, mil'a sopratu.to alla riconqu;sta e al rispetto della immanente sovranità nazionale; e la interpretazione giusta e completa del pl'incipio affe1•mato come caposaldo, quale risultò dalle dichiarazioni illustrative dello stes~o Sacchi, di Colajanui, di Pantano, di Garavetti e di altri, - interpretazione accettata da C:wallotti - permise ai repubblicani di rimanere nella Sala R0ssa accanto ad altri deputati che, almeno pel momento non senti vano il bisogno di manifestare la propria' aspirazione verso la repubblica (2). A questo punto devo constatare ohe il Turati men. tN rimprovera al Bovio di non esser" stato esplicito nel proclamare nel programma la repubblica - e ce n'era di bisogno per un partit'l che dagli altri si di· stingue giusto perché si afferro 1 repubblicano? - sì mostra molestissimo pei limiti dell' esame della carta; modestia che 1r.i.disce la sua antica indiffi,l'enza per la formo. di governo. Egli non sente il biso· gno di modiJìcare, allargare o riformare la Carta concessa da Carlo Alberto si limita a volerla rein- (1) L'amico Mirabelli nel numero precedente ha dimo strato che lo Statuto non è plebiscitario. Gli è mancata l'occasioue di aggiunger<! che Casi Savoia ha assunto altra volta l'impegno formale di convocare la Costituente - dalla quale potrebbe us~ire uno Statuto plebiscitario - e che non ostante la sua deca1tata lealtà, non ha mantenuto la parola. (2) Se il Regio Fisco non avesse sequestrato l'articolo : Attraverso le sal,edi Montecitorio pubblicato nel Num. 19 della Rivista i suoi lettori conoscerebbero le importanti discussioni avvenute nella riunione della Estrema sinistro; ma ci sarà agio di rievocarle, N. d. R. tegrato perchè crede che sia stata fatta a brandelli e chiede la riconquista dei suoi frantumi. A dir ve1·O,ora come ora, n0n direi che abbia torto; sarebbe t!l.nto di guadagnato se si riuscisse a fa.re rispettare ed applicare gli articoli di que1lo statuto octr<,yé. Ma se il Turati riconosce l'utilità e la praticità di queste rivendicazioni modeste e limitate - che sul terreno parlamentare e col bigottismo attuale sono le sole possibili - perché egli e i iiuoi amici non lavorano di conserva cogli altri gruppi parlamentari che si contentano del poco realizzabile a breve scadenza? * * * L'l critica della parte politica del prog1·amma repubblicano farebbe supporl'e che il Turati abborra dalle costruzioni ex novo, dalle rivendicazioni totali; invece prendendo conoscenza della sua incredulità sulla redenzione delle plebi, che considera come un iperbole, se la. si dove3se ottenero colle leggi sociali, si ritrova in lui il collettivista dogmatico e fotransigente, che reputa essere tutto vanità, illusione, canzonatura se non ai arriverà alla pl'oprietà collettiva. Io non credo che Bovio accennando alla redenzione delle plebi per mezzo delle leggi sociali abbia inteso alludel'e alla Ìoro redenzione assoluta: l'assoluto i repubblicani positivisti lo lasciano ai ponteJìci infallibili d.! cattolicismo e del ma1·xismo. Sono convinto invece che egli abbia voluto additare quei miglioramenti possibili e pro.ssimi nella condizione dei lavo• ratori consentiti d..ll'attuale organizzazione politicosociale; quei miglioram•nti, che devono aprire il ouor<1alla speranza nelle• ienerazioni attuali e d,ar lol'O un obbiettivo stimolante an·azione. Ma l'articolo mi accorgo eh' è già troppo lungo e mi riserbo di ritornare sull'importante argomento pe1• mettere in evidenza le contraddizioni non del solo Turati, ma di tutto il partito socialista intransigente. IL SOCIALISTOIDE. LA LIBERTÀ DI STAMPA IN INGHILTERRA. La stampa inglese, come quella di tutto il mondo, si è fatto strada lottando e resistendo contro i suoi persecutori. Ci fu un tempo in cui lo scrivere per il pubblico era assolutamente pericoloso. Si arrischiava di essere decapitati e squartati o torturati col cardo che strisciava i suoi denti di ferro nelle carni della schiena o di avere le orecchie mozze come il Defoe, l'autore di Robison Crosué e il direttore dela Rivista degli affari di Stato, dei tempi di Anna. Durante questo periodo il meno che potesse capi1are a un giornalista era l'infamia de1la berlina o le frustate vigorose del carnefice. Ma il periodo più perverso attraversato dai giornali inglesi - quando dessi cominciavano a essere giornali sul serio - fu quello di Giorgio III - l'antitesi di Carlo Jl. Costui avrebbe rinunciato alla corona piuttosto che occuparsi del governo. Gior-

450 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI gio Terzo invece avrebbe preferito perdere la testa come come Carlo 1° che dare un addio al governo personale. La sua volontà doveva essere la volontà della nazione, come il suo io doveva essere lo Stato. Giorgio Terzo fu così personale che in otto o dieci anni ridusse quel poco di governo rappresentativo che esisteva a un' ombra. Il suo odio contro la stampa era un odio ereditario, un odio che si sguinzagliava contro quel qualunque giornale che avesse osato avere un'idea che non fosse la sua• Quando andava in bestia assurgeva alle altitudini della collera indiavolata e diceva che si sarebbe servito dei giornali per strangolare i giornalisti. Non ci fu Direttore degno di questo nome, scrisse Grant, che non abbia scontata la grandezza della penna pubblica con della prigionia e delle multe. Con lui tutti i gabinetti ministeriali furono giornalicidi. Egli infondeva loro i suoi rancori. Bute, il suo primo ministro cortigiano, aveva del fiele pei giornali che non lo elevavano, come il Briton, allo zenit degli statisti. Grenville? Nessuno fu più scellerato di lui. Era un giornalofobo che imbavagliava,. con piacere. Il Macaulay, nel conte di Chatam, dice che il Grenville era più « prono alle misure tiranniche di Bute ~- Amava la tirannia camuffata di libertà costituzionale. Ravvolgeva i sofismi della legge nelle teorie repubblicane del 17° secolo, e riusciva un prepotentaccio volgare. Il Macaulay si dichiara propenso a credere che l'amministrazione peggiore che abbia governato l'Inghilterra dopo la rivoluzione cromwelliana, sia stata quella di Giorgio Grenville. I suoi atti pubblici possono essere posti sotto due testate: oltraggi alla libertà del popolo e oltraggi alla dignità della corona. Con lui al potere nessun giornale fu salvo. Non appena presidente dei ministri inviò degli ordini imperiosi e frenatori a più di duecento giornali. In un attimo si rivelò l' Erode della stampa. Egli procombeva su quelli che anelavano alla respirazione libera come una furia e inseguiva i loro redattori con un accanimento che suscita l'indignazione anche oggi che parliamo di lui a più di cento anni di distanza. Una delle tante vittime della sua truculenza fu il John Wilkes, il deputato di Aylesbury che gli storici ci descrissero come uno dei più profani, dei più licenziosi e dei più dissoluti. Tre delitti che, pei posteri, non pÒssono scalfire il carattere di un uomo che viveva in un ambiente caldo ancora di puritanismo. Perchè infine a che cosa si riducevano questi suoi delitti ? All'avere scritto dei versi pornografici pei suoi amici intimi, all'avere contratto dei debiti cogli strozzini e all'avere avuto dei motti ridevoli pel nuovo Testamento. Chi di noi non potrebbe essere appeso dai uemici della libertà di stampa alla stessa fune ? Il Wilkes è conoscmto dai topi di libreria. Ma è sconosciuto alla massa che vive del calamaio di redazione. La sua faccia era così orribile che i caricatucisti più crudeli non avrebbero potuto denigrarlo. Era un buongustaio della letteratura, divorava dei libri, aveva modi gentili, sapeva difendere i suoi scritti colla spada ed era, nella conversazione, eloquente. Taluni, per disprezzo, lo chiamavano un demagogo. Dove non esiste libertà si è sempre demagogo per qualcuno. Prima di diventare il direttore del North Briton aveva scritto degli artiroli parlamentari in un giornale mensile. Il North Briton iniziò l'esistenza in un momento fortunato. Vale a dire in un momento in cui le idee politiche che pochi anni prima erano sogni di alcuni cre- -duti mentècatti o ribaldi, pullulavano nel cervello della maggioranza. Burke aveva già dichiarato di non essere uno di coloro che credono il popolo sempre nel torto. « In tutte le questioni tra il popolo e i governanti ha quasi sempre ragione il popolo. Il popolo non ha alcuno interesse nel disordine». Così è facile capire l' impressione profonda che producevano gli articoli del Wilkes nel North Briton. Egli diceva cose sentite dalla folla che nessuno ardiva confessare o scrivere. I primi 44 numeri andarono a ruba. Stomacavano la Corte, incendiavano il torysmo degli uomini del Parlamento e meravigliavano i sudditi. Ma Bute invece di piombare loro sopra e sopprimerli, li faceva aggredire dal suo organo ufficiale il Briton. AI 45° Grenville era al posto di Bute. Grenvilleera tory, ma guai a chi non lo credeva whig. I whigs e i tories di quel tempo erano tutti, più o meno, monarcofili fino al fanatismo. Gli uni o gli altri, al potere, erano pupazzi del sovrano. Giorgio terzo esecrava la stampa ? Grenville era al potere. Il North Briton sentiva i tempi? Addosso al North Briton. In questo numero il Wilkes aveva lasciato correre la penna fino al delitto reale. Egli aveva avuto l'audacia di criticare il discorso della corona che aveva inaugurata la legislatura del 1762, e il coraggio - per quei tempi, s' intende - di aggiungere che il re d'Inghilterra era semplicemente il primo magistrato investito del potere esecutivo, responsabile delle sue funzioni reali e della scelta dei ministri come qualunque suddito incaricato di un servizio pubblico. Le idee svolte nell'articolo che accusava il re di propalare dal trono il falso, gli erano state, almeno così si supponeva, comunicate, chiacchierando sulla copia del discorso reale, da Pitt, padre. Ma sia come si sia esse affermavano giornalisticamente, la superiorità del giornale nella Corte e sul Par-

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