Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno II - n. 22 - 30 maggio 1897

RIVISTPAOPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI Direttore: Dr NAPOLEONE COLAJANNI DBPUTATO AL PARLAMSNTO ITALIA: anno lire &; semestre lire 8 - ESTERO: anno lire 7; semestre lire 4. Un numero separato Cent. 20. Anno Il. - N. 22. Abboncun,nto ponaltJ Roma 30 Maggio 1897 Sommarlo. GIOVANNBI ov10 - Critica e Veto. LA RIVISTA- In attesa dell'Imprevisto. htBRIANIPol!RIO - Antonio Fratti.· EDOARDO p ANTANO VILFREDOPARETO- Finanza e Partiti Politici. ROBERTOMIRABELL- I Lo Statuto non è plebiscitario. G1usEPPI!D'ANGELO- Quale sarà la soluzione ? (a proposito della crisi agrnmaria). Dr. PAOLOBELLEZZ-A Il pensiero letterario di G. Mazzini. EMILIOFAGUET- Commedia nuovissima. (Varietà). A. CAMPANOZ-ZI Le odi di Orazio tradotte da M. Rapisardi. Sperimentalismo Sociale. Recensioni. Si pregano calda.DJ.ente gli abbonati di DJ.ettersi in regola,al più presto posslblle coll' AJD.DJ.inistrazione. CRITICA E VETO. È gran cosa il programma testè pubblicato dal partito repubblicano parlamentare ? Non poteva essere nè grande nè piccolo: doveva essere una data. Le date si rispettano come sono e per quello che dicono da sè. Non grande, perchè grande è la tradizione repubblicana, entro la qualé c'è tanta luce d'idee e di fatti che fa da sè programma non superato né idealmente nè praticamente da quanti programmi sono nati dopo. Non piccolo, perchè colorisce il disegno di uomini che, deliberati a svolgere il comune intento µel parlamento e fuori, si propongono una meta fissa e determinata. Quella meta ha un nome non indicato prima, e si determina un mezzo non significato negli altri programmi: l'esame della carta, affinchè il paese abbia veramente un patto fondamentale. Non grande nè piccolo è una data, quella presentita e desiderata da Saffi, da Mario, da Campanella, da quanti, fedeli alla tradizione repubblicana, aspettavano che il paese mandasse alla Camera un gruppo repubblicano decisamente, e che questo, con propria insegna, prendesse il proprio nome. Le critiche al programma sono state l'una modellata sull'altra e tutte sul tipo di una critica mo narchica costruita a priori. Non c' era per quella che il patto di Roma, al quale, come tutti ricordano, mancava la nostra meta e mancava il mezzo principale indicato da noi. Ad altri poi, che per opportunità. si erano rassegnati per sino ad un programma minimo sociale, il nostro non parve abbastanza furioso. Volevano invece di un programma un vespro ? - Allora si mette mano alle funi e non si parla. Il Governo che quando si tratta di repressioni sa benino il fatto suo, non avendo potuto porre il veto al programma, lo pose all'esplicazioneche sarebbe venuta immediatamente dopo, e proibì il Congresso di Firenze. Intese gli effetti di ciò che. nel metodo, indicammo azione comune. Spiego il veto, non lo giustifico, perchè queste proibizioni tornano, in ultimo, sempre a danno di chi le fa. Il veto è un errore così sotto il rispetto politico come sotto il rispetto giuridico. Ogni intelletto previdente dovrebbe volere che l' idea repubblicana non tramonti in nessuna parte di Europa, perchè non solo è una meta determinata, ma è un controllo morale al potere irresponsabile. È una meta senza cui il progresso oscillerebbe tra la reazione e l'anarchia; non si saprebbe più determinare una successione di forme politiche nè dove tenda la civiltà di un'epoca. Ne deriverebbe una grande confusione, oscillante anch'essa tra lo scetticismo e !'.apatia, i due termini che annullano il carattere. Ed è un controllo morale al potere irresponsabile, che, guardando nella possibile successione delle forme, trova un limite al suo arbitrio. Il poeta piemontese, guardando verso il princi- . pato, scriveva questo verso aspro e vero : Poter mal far grande è al mal fa1·e invito. Il limite al mal fare non è tanto nello Statuto, che è sempre nelle mani di uomini potenti, quanto in quel limite morale, su cui ogni re legge: Galba · non è lontano !

422 RIVISTA.POPOLA.RE DI POLITIOA.LETTERE E SOIENZESOOIA.LI Che voglion dire questi divieti ? Chiudiamo pur la bocca ai repubblicani ; ma se i grandi repubblicani fecero la monarchia nazionale, non potrebbero i socialisti in Europa far la repubblica ? Quel che ha da entrare, o per la porta o pel muro spezzato penetra. Quanto poi al rispetto giuridico, non mi occorre se non ripetere le parole del Presidente del Consi~lio alla Camera: Le istituzioni non si possono discutere. No ? Queste specie di cose io conosco : Alcune vogliono la discussione ; altre si sottraggono ; altre sono essenzialmente indiscutibili. Vogliono la discussione le cose belle ed oneste; le cattive la fuggono; sono indiscutibili gli spropositi evidenti. Grov ANNI Bov10. Inattesadell' imprevisto. Nella storia del regno d'Italia sono oltremodo numerosi i casi, nei quali i fatti si sono presa la. cura di dare ragione dinanzi al paese alla parte democratica, che féce sempre il suo dovere non solo smascherando le turpitudini, non solo promovendo le più urgenti riforme, ma anche nel farla da inascoltata Cassandra sugli avvenimenti, che riuscirono di nocumento alla nazione. Mai, però,le benemerenze della democrazia per le verità dette e confermate dai fatti sono state così chiare - ed ora così indiscutibili - come nel caso della politica coloniale. Quando in mezzo agli inni e agli entusiasmi, spontanei o provocati, salpavano i nostri navigli pel mar Rosso nel paese - per mezzo della stampa, nei comizi e nel Parlamento - la protesta severamente ammonitrice non venne che dalla parte democratica, in tutte le sue gradazioni. E quante e quante volte dovettero ripeterla; e quanti luttuosi eventi; e quante amare delusioni occorsero; e quante centinaja di milioni e quante migliaia di vite umane l' Italia dovette perdere prima che la resipiscenza apparisse manifesta nella gente pratica, nei così detti uomini di Stato ! Oggi è venuta tardi, ma sémpre in tempo per iscongiurare nuovi danni e nuovi pericoli alla patria. Che sia venuta lo provano a luce meridiana l'ultima discussione e le ultime votazioni sull'abbandono dell'Eritrea, che chiarirono una strana concordia d' intendimenti tra tutta l'Estrema sininistra e tra i migliori della destra con alcuni del centro e con molti dei cosìdetti progressisti, zanardelliani o giolittiani. Al polo opposto della Estrema in questa importantis$ima questione sta oggi mai una semplice pattuglia rimasta nel paese e nel parlamento a rap• presentare quello che fu un esercito o una folla prepotente di megalomani, che sacrificò la libertà e il benessere popolare alla folle gloria militare, utile soltanto ad una casta e ad una famiglia. E la pattuglia rimane quasi ad ammonimento pel futuro e come gl' Iloti ubbriachi servivano per educare i figli degli Spartani. Certamente Abba Garima fu più potente di tutti i ragionamenti a base di giustizia e di ben intesa utilità che potè esporre l'Estrema sinistra nel convincere i politici testardi e le nullità. parlamentari, che ciecamente seguirono i primi, della stoltizia .della nostra politica coloniale ; ma i testardi avrebbero continuato nelle loro folli imprese se non fosse stata la indefessa e santa propaganda dei repubblicani, dei socialisti e dei radicali, che aveva preparato un grande mutamento nella pubblica opinione; mutamento i cui effetti furono accelerati e resi visibili dal disastro africano. Però la Rivista, che crede di rispoµdere ad una vera missione attenendosi sempre alla realtà, anche quando questa le riesce ingrata, amara, sente il d?vere di constatare che la preparazione nel paese non è riuscita dappertutto ugualmente efficace ed intensa ; poichè è innegabile che nel mezzogiorno si mantengono ancora numerosi coloro che sono ad un tempo monarchici, militaristi e colonofili; nel mezzogiorno, più che nel settentrione, nelle credenze, nel possesso della terra e nei modi di coltivazione - nelle idee e nella vita economica e sociale rimangono ancora le maggiori tracce del regime feudale, come del resto potè rilevarsi dalle ultime votazioni sulla mozione De Marinis. Ond' è che non si può affatto dar torto all'on. Giusso quando constatava la differenza tra le due Italie, sebbene egli abbia errato nel commentare il fatto e ancora più nelle frasi adoperate, che certamente tradirono o andarono oltre il suo pensiero: errore che somministrò propizia l'occasione a Felice Cavallotti di improvvisare una risposta smagliante, quantunque sostanzialmente retorica (1). Gli eventi ad ogni modo si sono imposti a tutti ; sicchè l'abbandono dell'Eritrea è maturo anche (1) A proposito delle_ragioni, sbagliate, esposte dall'on. Giusso per ispiegare le differenze che v'erano tra il settentrione e il mezzogiorno d' Italia in quanto alla politica coloniale un arguto deputato meridionale sussurrò che i settentrionali non sentono il bisogno possedere una colonia perrhè ne hanno una all' interno : la Sicilia e le provincie Napoletane. Noi riteniamo che -lo sfruttamento sia verissimo - e sarà in queste stesse colonne dimostrato - ; ma riteniamo falsa addirittura la motivazione dell'anti-africanismo settentrionale, almeno nelle masse popolari. Si è più nel giusto affermando che la borghesia grassa, che vedeva un buon affare nella politica coloniale - e in piccolo l'ha fatto solo nel Benadir, come ha bellamente provato l'Italia del Popolo - si è ritratta dal malpasso perché vi è rimasta scottata.

RIVISTA.POPOLA.RE DI POLITICA.LE'l'TEkEE SCIÉNZESOéIA.LI 423 nella coscienza di coloro, che il giorno 22 non lo approvarono esplicitamente e rimasero fedeli al governo, che volle rimanere arbitro della situazione e delle successive determinazioni. Quali siano le intenzioni del ministero e sopratutto dell'on. Di Rudinì non è dubbio: esse sono eccellenti. Il Presidente del Consiglio lasciò chiaramente intendere che dell'Africa non vuole più saperne e che la politica di raccoglimento e la concentrazione a Massaua devono preludere all'abban dono completo e definitivo. Non sarebbe che quistione di tempo e di opportunità. Ora se questo fosse sic et simpliciter, anche la parte estrema della Camera avrebbe potuto votare la sua fiducia nel governo; ma il guajo è che le buone intenzioni se non bastano nei casi ordinari della vita, molto meno bastano in fatto di politica coloniale ; la quale rappresenta la perfetta anti - .nomia colla cosidetta politica di raccoglimento. L'antinomia sorge irriducibile ed ineliminabile, perchè nelle colonie le migliori intenzioni del mondo vengono annientate dall'imprevisto che costituisce la nota saliente della vita delle medesime. L' imprevisto oggi, domani può farci abbandonare la politica di raccoglimento ; l' imprevisto può costringere anche i più convinti partigiani della pace a ricominciare la guerra in quelle aride zolle africane che le ossa e il sangue degli italiani non riusciranno mai a rendere fertili. Ed è per la paura di questo imprevisto, che noi non ci stancheremo dal consigliare e dall' invocare l'abbandono definitivo dell' Eritrea. Est periculum in mora. LA RIVISTA. ANTONIO FRATTI Mondo Greco e mondo Latino : fondamenta e sintesi della civiltà umana: inspiratori di ogni nobile e generoso pensiero, di ogni forte e magnanima azione : - educatori delle alte coscienze, alle quali la missione della vita appare esercizio di virtù e adempimento di dovere. Scuola rivendicatrice ed affermatrice della civile coscienza del mondo - e dell'umano progresso. I falsi educatori di corrotti sistemi vorrebbero sottrarre la gioventù alle passioni ed alle tempeste della politica·-, domarne i baldi impeti -, spegnerne le fiamme dell'Ideale, accarezzarne le frivole e basse inclinazioni, ridÙrla umile, calcolatrice, mercantile. Ciò chiamano formare uomini ben pensanti, d' intendimenti pratici e di ordine. E Antonio Fratti avviato nella vita con quella educazione, i primi anni della sua giovinezza sperperò. Ma se alla scuola della servitù si adattano gli spiriti eunuchi ed imbelli - da quella si affrancano le anime generose. Ed al contatto della vita, allo studio della storia, alla parola della verità, alla luce dell'Ideale, frementi insorgonò, santamente ribelli, e diventano militi combattenti, confessori del Vero e della Giustizia. Fu il libro di Giuseppe Mazzini, fu la parola di Aurelio Saffi, che tanto feconda opera produssero nell'animo di Antonio Fratti. E lo spensierato giovinetto trasformarono in apostolo convinto, combattente pertinace, milite volonteroso, pieno di fede, pronto al sacrificio, devoto ad ogni causa bella, nobile, santa. Ed eccolo, per l'indipendenza e l'unità d'Italia volontario nelle schiere di Garibaldi nel 1866, sulle balze del Trentino: - l'anno dopo eccolo sulla via di Roma, a Mentana il diritto della patria riaffermare : - e nel 1870 - allorquando la sventura fledeva sulla terra di Francia - correre in difesa dell'indipendenza di quel popolo generoso, contro il violento conquistatore. Integrità nazionale, fratellanza tra liberi, redenzione delle plebi, sono ormai gli ideali ed i palpiti della sua vita - e la fede repubblicana che questi concreta - lo anima, lo conduce. Pensiero ed azione è scritto sul labaro delle umane redenzioni, ed egli, dopo accolto il maturo consiglio, nell'azione si getta, combattendo, orando, scrivendo. Offrire il proprio sangue sui campi di battaglia, suscitare il sentimento con la calda parola, educare con lo scritto, pensiero inciso - infondere fede con l'esempio, coi detti, con la ragione - tutto ciò chiamasi esercizio efficace di azione forte, continua, costante. Affrontare le persecuzioni, i dolori, i pericoli per il dritto, per la libertà, per la giustizia - conseguirne condanne, carcere, povertà - e fra tante lotte, mantenere viva la fede, incorrotti gli ideali - armonizzarli sempre in modo che la redenzione di Trieste sia sacra come la redenzione degli altri popoli, come la redenzione dei diseredati - tutto ciò chiamasi adempiere razionalmente, nobilmente il còmpito della vita. Così visse, così morì Antonio Fratti. - Non le delusioni necessarie, non le amarezze, non gli onori non plauso popolare, modificarono il suo carattere, turbarono la sua coscienza. Modesto, equanime, sereno, immutabile visse, morì ! Rinviato dal popolo nel Parlamento Nazionale, volle dell'affetto della nazione rendersi ancor pm degno, suggellando l'azione della vita con lo splendore della morte. Il popolo greco tradito, abbandonato dalla codarda Europa in lotta disuguale, pugna contro la barbarie turca: già quasi è so-

424 RIVISTA.POPOLA.REDI POLITIOAL. ETTEREE SCIENZESOCIA.LI praffatto. Antonio Fratti corre in Grecia silente, come affannoso di non giungere in tempo. Non mormora, non chiede: si unisce ai primi combattenti, si affretta al posto del pericolo - e tra i primi consegue la morte. Sacra falange, eletti della morte, il sangue da voi versato per la redenzione di un nobile popolo, è gloria ed onore d'Italia. Voi dE1pl rincipio di nazionalità affermatori - voi lottatori per le solidalità fra popoli - voi combattenti per il Diritto e la Giustizia - voi che la libertà umana santificaste con l'espressione più alta - il sacrifizio ! hIBRIANI PoERIO, Traversammo insieme più di un quarto di secolo in una comunione di affetti, d'ideali, di battaglie, di lotte. Non vi è una carta, un libro eh' io rimova nella mia stanza che non mi parli di quelle memorie. Eppure questa sovrabbondanza di affetti e di ricordi che nel commemorarti al cospetto del popolo mi hanno fatto rispecchiare nell'impeto della parola la commozione prorompente dell'animo, mi fa nodo al cuore e al cervello quando prendo la penna nella solitudine del mio studio, e ho più voglia di piangere che di scrivere. Forse dirò di te un giorno - ora nol posso - non mi fido - o Fratti, fratello mio, quando a conforto delle crescenti delusioni verrò a cercare sul tuo tumolo, nei ricordi del passato, il coraggio e la forza di proseguire nelle battaglie combattute insieme per la stessa fede. Oggi di questi ricordi, in questa rivista che si collega a tanta parte del tuo spirito eletto e del tuo inesauribile apostolato, mi basterà rievocarne un solo. Quando Guglielmo Oberdan, votato al sacrificio, consegnò a te, suo compagno di studio, il testamento sacro alla gioventù d'_Italia - di cui volle deliberatamente ritemprare l'animo e l'intelletto a prezzo del proprio sangue - divinava egli forse che di quel deposito eri tu, fra tutti, il più degno - tu che lo avresti un giorno riconsacrato sui campi ellenici col sacrificio supremo della tua vita, rav - vivanda alla tua volta le depresse energie dell'anima nazionale ? Dinanzi agli occhi miei le vostre due teste bionde si fondono in una sola. visione, illuminata dalla luce purissima che si irradia dal vostro duplice sacrificio e che ravvolge nello stesso fascio luminoso il culto della patria e quello della fraternità umana. EDOARDO PANTANO. L'on. Colajanni, cui pervenne la notizia della morte di A. Fratti in Napoli, commosso e commovendo, lo commemorò nella scuola d'igiene di Santa Patrizia al principio della sua lezione di demografia per i medici laureati. Ricord6 le doti singolari intellettuali e morali dell'eroico caduto di Domoko. Disse che anche nel tempio della scienza si doveva commemorare un uomo che ha onorato il nome d'Italia nella santa causa della libertà ellenica e che col suo sangue dimostrò che qui, nel nostro paese, non sono spente le alte e nobili e grandi idealità. L'on. Colajanni concluse ricordando che a· compenso del triste spettacolo che presenta l' Italia ufficiale si hanno questi esempi di abnegazione e di eroismo di alcuni suoi figli e che il fatto conforta e fa sperare ancora nella energia del paese. Quindi fu spedito il seguente telegramma al Municipio di Forlì : « Inconsolabile per infaustissima nuova. Conobbi, ·stimai, amai eroico Fratti come amico, collega, compagno lotta ogni campo. Medici assistenti numerosi corso demografia questa Università, associandosi lutto , ineffabile dolore Forlì i-everenti mandano saluto alla patria di chi riaffermò valore italiano. Colajanni. FINANZAE PARTITIPOLITICI. (Monarchia ..... e Monarchia). Col primo titolo l'egregio Ing. F. Nicola pubblica un articolo ove vi sono molte cose buone e nelle quali interamente consentiamo. Ma ci pare invece che sia grave errore il concetto ·che egli ha del partito repubblicano, scrivendo: « Non teniamo conto del campo repubblicano perchè anziehè campo di partito nel vero senso della parola, esso non è che luogo di accolta di pochi illusi, i quali anteponendo il nome alla cosa e non ricordando che la prosperità economica delle nazioni è figlia delle buone leggi 8\ delle buone amministrazioni ·e ritenendo quindi in buona fede che la felicità dei po-- poli è fatta quando chi li dirige è un capo elettivo anzichè ereditario, e quando le monete so.io coniate col beretto frigio anzichè colla corona reale, insistono perchè avanti tutto e sopra tutto si cambi il titolo di Re e di monarchia in quello di presidente e di repubblica». L'egregio autore non ha forse avvertito che quelle parole si possono volgere contro ai monarchici come contro ai repubblicani; poichè in sostanza vengono a concludere che la forma di governo preme poco, e che pel benessere del popolo non ha maggiore efficacia di quella che avrebbe il sostituire un impronta ad un altra sulle monete.

> I RIVISTA POPOLAREDI POLITICALETTERE E SCIENZESOCIALI 425 In ciò v1 e gran parte di vero, specialmente se la forma di governo si toglie solo dal nome, ma è falso ove per forma di governo s' intenda l'insieme delle istituzioni di un paese. L'Inghilterra è una repubblica che ha· nome di monarchia, e la Francia una ·monarchia che ha nome di repubblica. Per altro, l'essere il capo dello Stato elettivo o no, non è cosa di tanto poco momento come pensa l'autore. L'elezione del capo apre, in Francia, la via a futuri miglioramenti, che non si potrebbero sperare se vi fosse in quel paese la monarchia ereditaria. L'autore ha torto di credere che i repubblicani in Italia sieno solo persone che vivono fuori della realtà e che trascurano le cose per badare alle parole. Vi sono da noi repubblicani che si contenterebbero di una monarchia come quella inglese, ma che vistosi impedita la via per giungere a quella meta, vogliono rimuovere e superare gli ostacoli che a loro si parano dinnanzi ; e poichè . quegli ostacoli sono lodati e ben voluti da coloro che in Italia si dicono monarchici, è naturale che chi quegli ostacoli biasima e vuole togliere si dica • repubblicano; nè certo così facendo contende di parole, bensì contende di cose e di cose sostanziali. Gli inglesi hanno potuto mutare le cose senza mutare il nome, onde si seguita a chiamare bianco ciò che in realtà è nero, e può darsi che sia possibile conseguire ciò anche in altri paesi, ma giova pure riconoscere che la via diretta pare la più semplice, e che naturalmente le cose si chiamano col proprio nome. ln realtà la monarchia inglese e la monarchia italiana hanno il nome solo di comune. Per prima differenza troviamo appunto quella che non si può in Italia stampare in che cosa tali due istituzioni differiscono, mentre in Inghilterra è lecito pubblicare tutto ciò che si vuole sulle istituzioni del paese. Se io recassi qui gli onesti argomenti scientifici che a me paiono valere contro gli argo!Ilenti ·del nòstro autore, sarei cagione_di un seqnestro alla Rivista; e se fossi in Italia, forse mi metterebbero in carcere. Se i nostri avversari vogliÒno discorrere soli avranno ragione di certo; ma per me rifiuto di dare luogo tra i sillogismi ai sequestri ed al carcere; ho letto e riletto la logica di Aristotile e non ce li ho mai trovati. Poi viene una seconda differenza, ed è che in Italia il cittadino non lia nessun diritto; ciò che egli può dire e fare dipende dalla tolleranza del governo; la quale alle volte si allarga, onde invece della libertà abbiamo la licenza; alle volte si l'e· stringe ed abbiamo un' oppressione dispotica. Nessimo più di me è favorevole alla libertà economica, ma prima ancora di quella libertà domando l'habeas corpus. Come e perchè quella legge, fondamento ed origine di ogni libertà in Inghilterra, non sia da noi in vigore per colpa delle nostre istituzioni, mi proverei a dimostrare, se _mi si concedesse libertà di parola; ma ;poichè mi:si nega, è manifesto che gli avversari vincono non per buone ragioni ma solo per forB materiale. Dopo l' habeas corpus, e sempre prima della li-' bertà economica, chiederei che, come in Inghilterra, la legge stendesse il suo impero su tutti i cittadini. In Inghilterra il cittadino offeso nei suoi diritti da un impiegato del governo può muovere lite a quell' impiegato. In Italia, i governati sono soggetti alle leggi ; i governanti no, se essi stessi benignamente non concedono ai tribunali di giudicarli. In poche parole, in Italia la giustizia non c' è. In Inghilterra c' é il principio che un giudice non manca mai a chi lo chiede. In Inghilterra è impossibile uno scandalo come quello enorme del fatto Crispi-Cavallotti. Il Cavallotti dà querela al Crispi; il magistrato non dice che il Crispi è innocente, dice che non può giudicarlo e lo rimanda alla Camera, la quale non se ne incarica; e cosi il delitto di cui è incolpato un cittadino rimane senza che nessuno ne giudichi. Di questo e di altri simili fatti palesi c'è chi dice esservi ragioni occulte. Io non asserisco nulla su ciò, dico che gioverebbe che la cosa fosse messa in chiaro, e che tutti quei raggiri giovano solo a corrompere governo e governati. Quando si vede mi galantuomo come il Rudini fare un passo avanti per mettere a dovere le birbe che spogliarono le banche, e poi subito dopo fare un passo indietro, respinto da una forza occulta, è ben naturale il desiderio che tali fatti non abbiano da ripetersi indefinitamente; e ciò non è. contesa di parole ma di cose. & guardi la storia dell'Inghilterra da sessanta anni in qua, e si dica se c'è un solo esempio che il parlamento sia stato sciolto per impedire ad esso di dai·e il suo giudizio sull'opera di un ministro prevaricatore; e se, dopo avere sciolto in quel modo il parlamento, si sono imposti in Inghilterra tributi con semplice decreto reale. Ora dunque se ciò non accade e non potrebbe accadere in Inghilterra, mentre in Italia segue ed è lecito, mi pare manifest_oche c'è una grande differenza· tra gli ordinamenti politici di quei due paesi. Lo stato presente dell' Ita-lia somiglia a quello dell'Inghilterra nel secolo scorso. La storia c'insegna che per ottenere la libertà economica gl' inglesi dovettero prima conquistare la libertà politica. In Italia, la lega del Cobden sarebbe stata sciolta, gli amici del Cobden mandati al domicilio coatto, come ora vi si mandono i socialisti. Chi ne dubita, legga i discorsi tenuti nei meetings di quella lega, e vedrà che « l'eccitamento ·all'odio di classe» vi è molto maggiore che nei discorsi che valsero la prigione

426 RIVISTA. POPOLA.RE DI POLITICA.LETTERE E SCIENZE SOCIA.LI ai socialisti italiani. Io non dico che non si possa ottenere la libertà economica seguendo una via diversa da quella tenuta in Inghilterra, ma tocca a chi vuole lasciare la strada antica per la nuova di dimostrare che questa conduce sicuramente alla meta. Ora è di moda in Italia di gridare contro al « parlamentarismo ~ Io non lo voglio difendere e lo biasimo quanti altri mai; ma per l'appunto gli ultimi fatti in Italia sono favorevoli al Parlamento. Non fu la Camera che impose il Crispi al paese, poichè fu mandata via precisamente perché non lo voleva. Se la Camera non fosse stata allora sciolta, il Crispi sarebbe caduto e non avremmo avuto le disfatte africane. Ciò mi pare evidente. Inoltre badisi che in Italia, la maggior parte dei deputati sono eletti dai prefetti, onde se la Camera è cattiva ne ha colpa principalmente il potere esecutivo. Tra due candidati, il governo sceglie quello che ha schiena più pieghevole, quello che meglio è disposto a vendersi, e lo fa eleggere. Quale meraviglia, se una Camera composta in quel modo non è buona ? ' Proviamo ad avere elezioni libere, proviamo ad avere ministri i quali non diano retta alle « raccomandazioni » dei deputati, e poi vedremo se buona o cattiva sarà veramente l'opera del parlamento. Non credo che sarà mai ottima, ma infine non so vedere cosa si vuole sostituire di meglio, onde pel minore male conviene conservare quel reggimento parlamentare e cercare solo di migliorarlo. Non credo che la libertà economica si possa fa. cilmente disgiungere dalle altre liberta, e credo che in Italia, o le avremo tutte o non ne avremo nessuna. VILFREDO PARETO. LO STATUTO NON É PLEBISCITARIO, Il deputato T. Villa ha. detto testé, in Torino, su lo statuto piemontese queste parole : « Poteva la nazione dimenticare che a quel patto « lealmente mantenuto si erano associate tutte le « provincie italiane, cc,lla solenne emanazione dei « plebisciti ? » Così il Villa batte sul vecchio e comune errore che lo statuto sia plebiscitario. E non è: errore che dev'essere confutato. Una serena discussione intorno a quest'arduo tema giuridico e politico è di suprema importanza: ed io, nella misura delle mie forze, l'accennai, quando il deputato Brunialti pubblicò uno scritto su la Costituzione italiana e i plebisciti. Sicchè ora mi occorrerà ripetere, più o meno, le stesse cose, con le stésse parole. Ma è bene che questa discussione scientifica - se da certi dottori non si ha interesse a schivarla - si faccia alta e chiara nel paese : si faccia dalla stampa, dalla cattedra : si faccia ne' circoli, ne' comizi, nel parlamento. * * * Il senatore Lampertico dice che lo statuto ritrae le sue origini bensì da autorità di principe; ma come legge fondamentale perpetua ed irrevocabile. Così per lui lo statuto si distingue, essenzialmente, e dalla carta octroyée del 1814 e da quella che si é detta la carta bdclée del 1830. E il deputato Brunialti - classificando le costitu• zioni politiche in storiche, dommatiche o convenzionali, e ottriate - crede che la nostra costituzione, essenzialmente dommatica-, si sia venuta trasformando in costituzione storica. È, come si vede, la teorica del trasformismo applicata alla storia costituzionale d' Italia I S'intende bene che il trasformismo, nel senso sci1mtitlco della parola, non è il trasformismo politico a base di reazione, che segna un regresso nella vita nostra civile contemporanea : e al Lampertico e al Brunialti si può ripetere, col Dubois-Reymond, che il come é difficile - il come, per esempio, secondo il naturalista tedesco, da.li'insensibile germina il sensibile. Il Lampertico e il Brunialti dovrebbero dimostrare, evitando le contraddizioni, come la costituzione piemontese octroyée si sia trasformata in costituzione dogmatica italiana e questa in costituzione storica, * * * L'on. Brunialti, per confutare il Bertani, che nel Parlamento disse : - lo statuto non è plebiscitario - si domanda: « Lo statuto è ottriato, nel senso storico della « parola, o è plebiscitario? lmperocchè evidentemente « non può essere, a un tempo stesso, l'una cosa e « l'altra. Che cosa è la costituzione, alla quale pur « si riferiscono i plebisciti ? » Problemi delicatissimi e gravi, dice l'egregio pro• fessore di diritto costituzionale: intorno a' quali non tutti hanno idee precise. Sicuro l E dunque, precisiamole. Statuto ottriato e statuto plebiscitario sono contraddizione in termini: o dono di principe, octroi royal - o volontà di popolo, supremitas. Ma lo statuto vigente, eh' è lo statuto piemontese, è ottl'iato - perchè largito da Carlo Alberto nel 1848: dunque, appartiene alla terza e più numerosa specie di costituzioni, di cui parla lo stesso Brunialti, come la costituzione danese del 1665, le carte francesi del 1814 e 18;$0 e la maggior parte delle costituzioni italiane - costituzioni meccaniche, ottriate o donate ai popoli dai principi che tenevano su di essi prima del dono, impero assoluto. * * * Compito del Brunialti e del Lampe1 tico doveva essere questo: mostrare come la costituzione piemontese si sia metamorfosata in costituzione italiana - come, cioè, lo statuto ottriato sia divenuto plebiscitario. Bisognava, dunque, provare che lo statuto del 1848

RIVISTA POPOLARE DI POLlTIOA LETTERE E SCJBNZESOCIALI 427 fu compreso ne' plebisciti nazionali. Questo il solo modo rossibile. Se si, lo statuto è plebiscitario: e il Bertani, il Mario aveano torto; - altrimenti!hanno {torto il Villa, il Lampertico e tutti coloro, che nella carta Albertina ravvisano la legge fondamentale dello Stato. Ora il vero è - diceva il Bertani - che su le tavole plebiscitarie di statuto non c' è parola. Il Palma scrive che, mediante i plebisciti la presente na,zione italiana fu ordinata a regno costitu• tu.zionale sotto la Casa di SavoJa e lo STATUTO DEL 4 MARZO. 1848 - e ho già notato, altra volta, che cotesta è un'aggiunta dell'emerito professore calabrese. Così anche il Mamiani. Ei, nel dialogo sul Potere Costituente, fa dire al Machiavelli, tra l'altro : «: Ma a questi p1·incipi vo- « stri sei corone vennero offerte dal queto ordinato «: e libero atto dei plebisciti, ciascuno dei quali in- «: vocava con rara concordia lo statuto fondamentale « del 48 :>. No: non è, precisamente, cosi. Fu, proclamato re, universaliter, Vittorio Emanuele: questo è vero. Ma non in tutti i plebisciti si parlò di successori o discendenti : quindi i principi vostri del Mamiani spiegano le ali. E, per ciò, non si può dire, come fa il Lampertico, che ne' diversi stadi, a traverso i quali l'Italia, costituita in regno, si emancipò via. via, fu auspice costantemente una sola idea: l' idea del govtrno costituzionale monarchico - monarchico nella famiglia.del Re. Il discorso non può di certo abbracciare la 'roscana l'Emilia, le Marche e l'Umbria. Ma è innegabile, che i plebisciti non invocarono punto lo statuto fondamentale del '48. Ne' plebisciti di Toscana, dell'Emilia, delle Marche e dell' Umbria si parlò di monarchia costituzionale : ne' plebisciti delle Province Napoletane e della Sicilia di re costitu,zionale: ne' plebisciti di Mantova e di Venezia., di Roma e delle Province romane si parlò di governo monarchico costituzionale. Or io sono d'accordo col Lampertico, che la varietà di forme non altera la identità del pensiero, in questo - che tutti i plebisciti esprimono una volontà sola : quella del governo costituzionale monarchico. Ma .ciò importa che l'Italia volle un re e una monarchia costituzionale: e quando si chiede che che cosa è la costituzinne, alla quale pur si riferiscono i plebisciti, la risposta. è facile: è la costituzione, nel suo significato scientifico più ristretto - è, cioè, una forma di monarchia, non assoluta; ma. (direbbe un altro senatore e professore emerito, il Pierantoni) temperata. da.Ha ricognizione de' diritti umani, dall'azione de' poteri, dalla formazione di ,un corpo legislativo, composto da un re e da' migliori. È chiaro: monarchia costituzionale, re costituzio· nale, gove1·nomonarchico costituzionale vogliono dire, evidentemente, questo : non -monarchia assoluta, non re assoluto, non governo assoluto. La formola plebiscitaria. era fatta pel popolo e bisogna. prescegliere del voca.bolo l'accezione più popolare: il popolo ignora definizioni scientifiche di Aristotile, Roma gnosi e di Pellegrino Rossi. Il popolo usciva, da.lle monarchie assolute - e costituzione per lui suonava limita.zione del potere~_regio, negazione dell'assolutismo.· ,. * * Un aneddoto. Nel '48 Michele Viscusi, na.to di civile condizione - dioe 0 Luigi Settembrini - piacevole, arguto e beffardo,. come napolitano, prese a predicare al popolo, e spiegargli che cosa fosse la costituzione. Andava Don Michele nelle piazze più popolose, e montato in a.lto parlava ad una gran moltitudine, che lo interroga.- va.no e gli rispondevano. «: Sapete che è la costituzione? È come il giuoco del «: tocco. Il Re è padrone del vino, e se lo può bere « tutto se ha stoma.co, ma. se ne vuol dare ad altri «: deve a.vere il permesso del sotto-pa.drone che è il « Parla.mento. La Costituzione è come una rota. di < carro : il Re sta. in mezzo E>dè il ni.ozzo: i mini• « stri sono i raggi, e il Parlamento è il cerchio di «: fe1•ro che stringe in mezzo ogni cosa. E così la rota « cammina. - Don Michè, e addò cammina ? - Map- « pata di ...! ncoppa a le spalle noste. - Embè ! - « Embé che? Mo sentimmo lo chierchio, prima sen- « tevamo le pponte che ce trasevano dinto a le co- « state. - Viva Don Michele l :> Ma Don Michele è morto, in gran parte, disilluso, ed ecco, nel senso popolare e comune, la costituzione. ,. * * Il deputato Brunialti dice: - Non può essere che lo Sta.tuto sia ottriato e la Costituzione plebiscitaria - e se la piglia.va col Bonghi, che avea collocato, senza più, lo statuto italiano fra quelli octroyés. Ma qui sta il punto e l'er1•ore comune, in parte, al Bonghi e al Brunia.lti : che non v' è uno statuto italiano - che una costituzione italiana plebiscitaria non esiste. O' è una monarchia costituzionale plebiscitaria, cioè una monarchia. non assoluta - ma monarchica costituzionale non dice QUALE la costituzione sia, nel senso dell'on. Brunia.lti - e, cioè, il complesso di leggi e consuetudini, che determinano i principii direttivi di questa forma di governo, ed in modo particulare la legge, carta, patto o statuto, comunque chiamisi, che ne contiene i principii fondamentali. Così, non è che si neghi alla costituzione italiana il titolo plebiscita.rio : si nega che una costituzione italiana vi sia: il titolo plebiscitario si nega allo sta.- tuto ottriato piemontese, non compreso nelle tavole de' plebisciti. Orèe J'afi1rnaz:or.e dfl Villa si riu1'e in una.vescica sgonfia.ta, Da ciò segue esser vano il dire che l'origina.rio statuto piemontese s' è trasforma.to, poco a poco, in costituzione italia.na, diventando un vero patto nazionale: e, continua.ndo a trasformarsi su la ba.se de' principii della monarchia costituzionale, è venuta a.d acquistare un carattere dogmatico-storico. Se lo statuto Albertino si sia svolto e completato in una serie di principii costituziona.li, dal '48 al '59, è problema, che si connette a.lla storia politica e civile del Piemonte. Io voglio ben fermare questo, ora. che lo statuto del '48 - per diventare patto na-

428 RIVISTA POPOLARE DI POLITIOA.LETTERE E SCIENZE SOCIALI zionale e, cioè, patto fondamentale tra popolo e re - bisognava che fosse esplicitamente compreso ne' plebisciti, i quali attestarono la volontà del popolo italiano : documento storico e giuridico della sovranità nazionale. Cosi lo statuto non sarebbe stato più piemontese, ma italiano: non più costituzione ottriata, ma dogmatica o convenzionale, per usare la fraseologia del Brunialti, ed oggi, dopo 37 anni di vita costituzionale italiana, statuto storico. ,,_ * * Questa dimostrazione dovea: farsi e non è stata. fatta : qui sta il punctum saliens. E non è dimenticabile la genesi del risorgimento nostro nazionale. L'on. Villa sa bene che il gran dissidio del mezzogiorno d'Italia, nel U60, tra' repubblicani ed i cavourriani, fu non già se dovesse accettarsi o no la monarchia., che s' imponeva. al paese come una necessità. e il paese l'acclamava; ma, invece, se le province meridionali dovessero « sorgere inter- « preti e custodi del comune Diritto chiamando, « in nome della sua- sovranità, la nazione a COSTI- « TUIRE con liberi suffragi e maturi consigli il pro- « prio Governo, ed il monarca ad assumere la su- « prema magistratura dello Stato, non come patrono « di liberti, ma come ministro della Ragione e della ,_ « volontà del Paese ». - Così il Saffi. Quistione di educazione nazionale, diceva Mazzini. E, nel '60, Garibaldi, Cattaneo, Mario, Bertani, Mordini, Criilpi e altri parteggiavano per le assemblee, da cui era inscindibile il concetto di elaborare e votare la carta, un patto fondamentale nazionale. Questa è storia. I plebisciti, adunque, non indicarono quale fosse la costituzione, cui si riferivano : nè si può intendere che fosse la costituzione piemontese del 1848. Non si può: però che è, assolutamente, inconcepibile che la nazione, nell'esercitare il primo atto di sovranità, infliggesse a sè stessa una degradazione civica, votando lo statuto, che rispecchia l'autorità. esorbitante del re, con una legge, che dispoticamente dava lo sgambetto a circa sette milioni di cittadini, i quali erano appunto la maggiorità plebiscitaria. Sarebbe stato un suicidio politico, una vera confisca. della sovranità popolare. Del resto (come bene osservò quel forte ed elegante polemista, ch'era Alberto Mario, la çui morte è stata una grande sventura irreparabile per la Democrazia italiana) uno statuto - lo statuto del' 48 - che Gioberti, Rosmini, Sclopis, Cavour, Balbo, Revel, Des Amb1•ois, il Parlamento subalpino, CarloAlberto istesso riconobbero e apertamente dichiararono incompatibile con la monarchia nuova fondata su la sovi•anità popolare di alcune province, non poteva esser compatibile con l'unità politica proclamata del1' Italia, con la sovranità della nazione intera. E Terenzio Mamiani fu costretto a mettere in bocca a Niccolò Machiavelli queste testuali parole: - « Co- « me può ella una legge fondamentale largita ad una « angusta provincia quale era il Piemonte acconciarsi « bene ali' intera Italia che il contiene cinque volte « e risulta di parti tanto diverse ? ) * * La quistione ora risorge nel Parlamento, dove il gruppo repubblicano - proclamando che l'esame della Carta è oramai il primo e urgente bisogno del paese - si riannoda alla grande tradizione di Garibaldi, il quale - inspirato da Alberto Mario - dichiarò, nel 1870, che lo statuto è fuori il diritto pubblico italiano : non è plebiscitario. Il che è sfuggito all'esame di certi censori-immemori che la rivendicazione del diritto costituente fu l'ultima parola politica di Garibaldi. Onde la parte fondamentale di diritto pubblico del gruppo parlamentare repubblicano non è, confondibile con gli altri partiti, e dà a quel manipolo audace, nel paese e nell'assemblea legislativa, un&significazione ed una fl.sonomia propria. Le contra.ddizioni di ohi ravviva nello statuto il carattere plebiscitario mi paiono evidenti. Ecco. Il Brunialti dice che - « ottriato nell'origine, lo « statuto piemontese diventando, insieme alle con- « suetudini che lo svolsero e completarono, la ccsti- « tuzione italiana, assunse un prevalente carattere « convenzionale >. Fermiamoci qui. Che cosa significa carattere convenzionale? E che rono le costituzioni convenzionali o dogmatiche ? Risponde il Brunialti: « Sono quasi sempre il risultato di una rivoluzione: « il popolo avverte, ad un certo punto della sua vita « la mancanza di un elemento necessario al proprio « sviluppo e vergognoso di sè medesimo, come Ri- « naldo, vedendo riflesse nello scudo inc11.ntato le « sue vesti feminee, rivendica i proprii diritti. Allora « il suo Statuto non è il frutto di secoli, ma l'affer _ « mazione di un principio, di un dogma politico, e si « mette assieme per via di una Convenzione o Costi- « tuente nazionale, nella quale entrano gli eletti del « popolo ». Ora, se lo statuto e piemontese, non può essere il resultato della rivoluzione italiana - nè il nostro statuto fu messo assieme, come vuole l'on. Brunialti, per via di una convenzione o Costituente nazionale. Dunque? Dunque, mancano le condizioni precipue, essenziali - perchè allo statuto piemontese possa, secondo la parola del Brunialti, affibbiarsi il titolo di costituzione dommatica o convenzionale. - Ma è plebiscitario. - E noi chiediamo: che significa statuto plebi~citario? - Il Brunialti risponde : « Messe assieme di solito da speciali assemblee, « rado da sommi legislatori, le costituzioni dogma.ti- « che possono essere plebiscitarie, s~ alla validità « loro si domanda il voto popolare ~- - E cita i Cantoni Svizzeri e gli Stati Uniti d'America: oltre di che, più giù, ribadisce il concetto con queste altre testuali parole: « Si hanno per più decisamente ple- « biscitarie quelle Costituzioni, le quali, preparate dagli « eletti del popolo, vengono poi da esso approvate ». Ora, Dio buono! quale fu, · nel '60, intorno allo statuto il voto popolare? e qua,le, l'assemblea o convenzione o costituente ?

RIVISTA. POPOLA.RE DI POLITICA. LETTERE E SCIENZE SOCIA.LI 429 Ma lo statuto piemontese, comunque originaria.. mente ottriato e non frutto di rivoluzione, si trasformò nel '60 in costituzione convenzionale, senza bi• sogno di convenzione o costituente: e così pure è diventato costituzione plebiscitaria, senza bisogno del voto popolare ! E il come? On, il come - l'ho già. detto e dimostrato - il come..... è qui che casca l'asino! Altro che la. materia. carbonata acquoda di Dubois-Reymond rispetto al movimento de' suoi atomi l R. MIRABELLI. Deputalo al Parlamento. Quale sarà la soluzione? (a proposito della crisi agrumaria)• Avviene nella vita sociale ciò che non rare volte avviene anche nella vita animale: una malattia che sia al suo stadio più acuto non è se non l'indice e la risultante d'un malessere cronico che afiligge e disfà. tutto l'organismo. Quest' idea ci è sorta riflettendo sulla crisi agrumaria che agita e impressiona sì intensamente i}. mezzogiorno d'Italia e più specialmente la Sicila. La mancanza di tale nozione ci dà. conto della deficienza e della leggerezza davvero sbalorditiva di cui hanno dato prova e governo e classi dirigenti nella soluzione di un problema tanto serio e sì gravido di minacce, che ci vien posto da. un fatto, per quanto brutale, molto semplice : la chiusura pei nostri agrumi del mercato americano, ove si dirigeva nientemeno la metà. circa della nostra espo1•tazione, mercè forti dazi doganali intesi a proteggere la produzione nazionale già. sviluppatasi su vasta scala. I pr->vvedimenti escogitati dai deputati interpellanti ed accolti dal governo, si possono suddividere in ti-e classi: a) apertura del mercato interno, mercè la rinuncia da parte del governo di tutto il 27 ¼ di compartecipazione al prodotto ferroviario e mercè la diminuzione delle gravezze fiscali. b) modificazione del nostro regime daziario sul grano e sui petroli a danno della Russia e degli Stati Uniti, per costringere entrambi queste nazioni ad un trattamento più favorevole. c) ricerca di nuovi sbocchi all'estero. Però, escluse le due ultime soluzioni, ritenute del resto difficili dallo stesso governo, per le ragioni 1·iposte che il ricorrere alla guerra di tariffa contro la Russia e gli Stati Uniti, quando si è economicamente sì deboli, e il fare a fidanza sull'amicizia della Germania., del Belgio, dell'Olanda. e dell'Australia. in materia. che non viene regolata se non in base di soli (•) Dopo composto questo articolo, da Palermo l'amico nostro Giovanni Cottone ce ne mandò un altro sullo stesso argomento, che, naturalmente, non possiamo pubblicare. I lettori, però, sono pregati di leggere lo Sperimentalismo sociale di questo stesso numero nel quale presentiamo alcuni importanti dati di fatto sull'importante quistione agrumaria. N. d. R. interessi, è, por lo meno, ridicolo; escluse le due ultime soluzioni, diciamo, non ne resta che una sola, la prima: fa1·e agire, cioè, la macchina dello Stato in favore dei produttori di agrumi estendendo per mezzo di congrue concessioni, il consumo a.il' interno. Ora, non ci vuole uno sforzo eccessivo di mente per poter comprendere che, tenuto conto dei buchi che la riduzione delle t.ariffe ferroviare e gli sgi·a.vi fiscali verr.ibbero necessariamente ad apporta.re allo sconquassato bilancio dello Stato, e tenuto conto altresì dell'assoluta impossibilità che tali buchi venissero ta.ppa.ti a parziale e tanto meno a totale carico della Vandea imperante, ne segue che la produzione agrumaria verrebbe evidentemente protetta. a tutte spese del lavoro produttivo e delle tisiche industrie. E non ci vuole nemmeno molto acume per arrivare a convincersi che, se provvedimenti sifflltti potranno riuscire di vantaggio per i produttori di a.grumi, riusciranno certa.mente di non lieve nocumento all'economia nazionale, la quale continuerà. nella sua depressione cronica.. Perchè è. ovvio che, variandosi la distribuzione della ricchezza sociale non si viene a reintegrare quella parte della medesima che sia stata sottratta. Non vi sarebbe per le nostre classi dirigenti che una sola via di uscita: fare tesoro del bell'esempio, anzi della solenne lezione ricevuta dagli Stati Uniti e adoperarsi attivamente, la loro parte, ad emancipare il nostro paese dall'impellente necessità. di dover ricorrere ai prodotti dei paesi industriali. Le forze e le ricchezze naturali, di cui è ricca l' Italia, si offrono ed aspettano. Gli è vero però che gli Stati Uniti sono paesi prosaicamente moderni, i cui abitanti fanno consistere la loro gloria e la loro forza molto più nei numerosi stabilimenti dai lunghi fumajuoli anneriti, eternamente fumiganti, destinati alla produzione, nella maggior copia possibile, di quanto occorre ai bisogni materiali dell'uomo, e nelle numerose vaporiere intersecanti, veloci e fragorose, per lungo e per largo l'intero. territorio della nazione, destina.te allo scambio della. produzione medesima; anzicchè in un numeroso e brillante esercito, in maestose e formidabili navi corazzate, in grandi guerN colonia.li, e.... nel sicuro e proficuo 4 lt2 °fo. Qneste constatazioni ci fanno riflettere, con amara tristezza., alla grave jattura che arreca al nosn•o paese la mancanza d'una. forte e salutare reazione allo sfacelo della sua. economia; o, per meglio esprimerci, la mancanza. d'un moderno ed energico partito repubblicano, il quale vedendo nella monarchia la cittadella nella quale la ti·oupe semi-feudale imperante difende i suoi interessi o tutela i suoi ·privilegi, e non già un quid di per sè sta.nte, avulso dal conflitto delle classi sociali, faccia risoluta.mente suo il còmpito che gli assegna la storia : organizzare tutti quei ceti, composti di industriali, piccoli proprietari, esercenti, professionisti, artigiani - i quali essendll come il proleta.riato, in deciso antagonismo con 1~ classe attualmente dominante, hanno tutto il loro vitale interesse nella semplificazione dell'organismo

430 RIVISTA.POPOLA.REDI POLITICA.LRTTERE E SCIENZE SOCIA.LI governativo e nel libero scambio dei prodotti agricoli - per trasformarli in una forza sociale cosciente, la quale, inalveata in uno di quei movimenti pacifici, lenti se vogliamo, ma potenti e inesorabili come forze naturali, i quali sono la caratteristica dei popoli di razza anglo-sassone, riesca, impadronendosi del potere, a porre l'Italia in quelle condizioni che le permetta.no, giusta il vaticinio di Mazzini, di svolgere la potenza di vita economica, commerciale, navigatrice che le dorme in seno (1). . A questo partito repubblicano, giovane e pieno di vita, perché non architettato ·a tavolino, ma erompente dalle condizioni naturali del nostro paese, i socialisti non potrebbero senza venh- meno a sè stessi, ne·gare tutto il loro appoggio, per la ragione che esso lavorerebbe, con azione assidua e fervida, per affrettare l'avvento di quelle condizioni che renderanno nncessaria la soluzione socialista. GIUSEPPE D'ANGELO. IL PENSIERO LETTERARIO DI GIUSEPPE MAZZINI. « I grandi uomini come le grandi scene della natura vo· gliono essere veduti dall'alto». G. MAzz1N1. Op.vol. 1V, pag.170. In una lettera del 14 novembre '42 alla Margiotti (2) il grande agitatore genovese scriveva: « non son lette1•ato che in via secondaria, e per servire al fine », e in altra occasione più esplicitamente dichiara.va che la letteratura fu per lui « mezzo, no fine > (3). Pure, molt'anni più tardi, egli pc,teva dettare queste parole, che suonano insieme nobile compiacenza e mesto rimpianto : « Tutte le mie prime aspirazioni furono letterarie, e il primo modesto nome che ottenni mi venne da lavori di letteratura. E la voluttà dello scrivere solitario mi affascina tuttavia di tanto, che quando, in tal raro momento, m'accade di sognare di potere ancora aver un'ombra di vita individua.le sulla terra, io chiedo a Dio di concedermi, fatta Nazione l'Italia., due anni di vita romita, si ch'io potessi, prima di riposare le stanche ossa presso alla sepoltura materna, scrivere alcuni miei pensieri sulla Religione e un volume di storia popolare d'Italia; e m'è dolore il sapere eh' io non li avrò> (4). E più tardi ancora, scrivendo ad un'amica gentile (5), le confessa che sarebbe pronto a dare la metà della vita che anco1· gli rimane, per scrive1•e due lib1·i: uno sulla rivoluzione del 1789, l'altro sulle questioni religiose e contro il materialismo. (i) MAZZINI- Scritti editi e inediti, voi. vrn, pag. 85. (2) Nuova Antologia, i dic. i884. (3) Opere, voi. II. p. H. (4) Ivi, IX, 304: La situazione (anrio 1857). (5) Lettres à D. Stern, i864-i872. Coulomniers, typ, Moussin, i873, p. i54. Per le altre lettere di lui si cita il volume: Duecento lettere inedite di G.MAZZINI,ecc, Torino, i887. Ma anche senza queste sue confidenze, la vita intera di Giuseppe Mazzini - il più grande antimateria.lista de' nostri giorni, come un suo discepolo ebbe a chiamal'lo (5) - è là a dimostral'e come forte e profonda fosse in lui quella serena e alta idealità, che è prima e necessaria condizione all'opera efficace del letterato e del poeta. Contro il materiali-' smo che .: ha invaso, isterilendole, letteratura, storia, filosofia e poliiica > (Op. III, 205), egli sostenne una guerra acerrima. e non interrotta., denunziandolo come « peste d'Italia » (IX, 242) e « d'ogni dottrina letteraria » (II, 229), e smascherandolo anche quando lo scorgeva. ammantarsi del nome e delle parvenze dell'analisi, per fare delle discipline letterarie « pedanteria, anatomia d'eruditi, miseria di retori e di grammatici » (II, 065). E vigorosamente protesta alt1•ove, per l'onore della patria sua, contro l'asserzione che esso sia dottrina italiana. (III, 206); gli Italiani egli proclama per indole propria idealisti (VIII, 108), di quell'idealismo che è « tendenza. altamente predicata dai combattenti per l'universale emancipazione, per quanto v' ha di più caro e nobile per l'uomo> (III, 85), •. come la opposta dottrina è « filosofia di popoli schiavi, o che stanno per diventar tali ». « Il Materialismo - possano i giovani ascoltarmi, perchè in verità l'avvenire italiano è riposto nella. questione alla qua.le io non posso qui che accennare - perpetuò il nostro servaggio, attossicandoci l'animo d'egoismo e di codardia; all'idea che la vita è missione e dovere, sostituì... l'idea che la vita è la. ricerca della felicità; e <lacchè ogni nobil ·modo di felicità intellettuale e morale è rapito a chi non ha Patria o l' ha. schiava, tradusse in ultimo anche quella. idea di felicità in piacere o felicità d'un giorno, d'un ora, procacciata dall'oro o dal soddisfacimento di misere e traditrici passioni sensuali » (IV, 13) (l ). Non era dunque affettazione la sua, quando, dal carcere di Gaeta, per vincere lo stato di torpore intellettuale che s'era impadronito di lui, [scriveva ad un amico che gli mandasse la storia della lettera.tura inglese del Taine, la cui lettura, aggiungeva, trattandosi d'autore materialista, l'avrebbe, se non altro irritato, o quando compiangeva i miseri profani che solo comprendono « la schifosa favella dei sensi.. .. e passeggiano freddi impassibili per l'unive1•so come per un cimitero, perché han fatto il verno nel core, e la Natura ha scritto sulla fronte a ciascuno d.essi: non amerai l > (II 102). Egli sì amò la natura, nelle sue manifestazioni più modeste e gentili, come nelle grandiose e solenni: egli, che nella prigionia di Savona, dove ideò il disegno della Giovine ltaìia, si compiaceva de' vezzi d'un lucherino « capace d'affetto» (I.36), e che più tardi, in quella più amara di Gaeta, si conforta va. al canto d'un passero solitario che non poteva vedere, e a letto spegneva. la candela per meglio goder lo spettacolo della luna riflessa. nell'onda sottoposte, e s'addormentava poi sognando (1) Lo STANFELDnel volume: A G. i}fazzini, inaugurandosi i"lmonumento a Genova, Genova i882. (2) Si può anche vedere: II, 393; IV, 77; XVI, 2i segg. XVll, 32 segg.; XVIII i35 segg.

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