RiVIST A POPOLARE DI POLITICA. LETTERE E SCIENZE SOCIA.LI 413 numero dei proprietari con qualche vantaggio pei lavoratori, ma lascerebbero immutata la soggezione di costoro, tanto più che la coalizione dei proprietari, comunque numerosi, non sarebbe evitabile. Non ignoriamo che l'alto intelletto del Loria non accetta il rimedio del George ; ma confessiamo di non comprendere la necessità delle perniciose conseguenze che, seoondo lui, produrrebbe la imposta assorbente la rendita, e di comprendere anche meno la possibilità di attuazione del sistema da lui proposto, d'elisione della rendita in vantaggio degli operai industriali, da ottenersi per mezzo dei prezzi differenziali delle merci, che sarebbero imposti ai proprietari, più o meno elevati, secondo la fertilità differenziale delle loro terre. Certo, nè la imposta sulla rendita produrrebbe inconvenienti agricoli maggiori che non ne produca attualmente la enfiteusi, nè il sindacato operaio sulla fertilità delle terre e la eliminazioni degl'inganni e delle frodi snrebbero mai umanamente possibili. A noi pare che il solo mei.zo di rendere innocua la concorrenza, prodotta necessariamente dal moltiplicarsi della popolazione e dal crernente bisogno delle derrate, sia quello di fare in modo che gli effetti della concorrenza, cioè la elevazione della rendita, aumentando le risorse dell'erario, tornassero a vantaggio di tutta la popolazione, e che questo fine non si possa raggiungere senza attribuire tutta la rendita fondiaria allo Stato. Vediamo ora come neanche dal punto di vista della equità pratica avrebbe molta importanza il diritto di coloro che avessero comperato la rendita ooi frutti del p1•oprio lavoro. Anzitutto, in una società come la nostra., venuta su dai favoritismi, dagli arbitri, dai furti e dalle violen7le, di data tutta,ia recente, il numero di coloro che possiedono la terra a giusto titolo, e specialmente le grandi proprielà, è molto sparuto. Anche quando si tratti di latifondi comperati, e non ereditati occorrerebbe ricordarsi che il lavoro ònesto non arricchì mai nessuno e che, novantanove su cento, il denaro sboraato era il frutto, non già del proprio ma dell'altrui lavoro. Così, per esempio, i grandi gabelloti, che comperarono gli enfeudi dell'aristocrazia impoverita, non si arricchirono che in grazia dei bassi affitti di un tempo, cioè riuscendo a far passare nelle proprie tasche la rendita dell'aristocrazia. Oltreciò, siccome in poco meno di mezzo secolo la rendita della terra si è più che triplicata, la maggior parte dei nuovi latifondi, compresi i compratori dei beni ecclesiastici, stante la triplicazione dell' interesse, ebbero tutto l'agio di ottenere l'ammortamento del capitale da loro impiegato, tanto da non perdere effettivamente nulla del loro, se venissero domani espropriati della rendita. Ma potendo questa espropriazione aver luogo gradatamente, cioè imponendo subito, per esempio, il· 50 0t0, e poi l' 1 0t0 all'anno per 50 anni, vede ognuno come nello spazio di due generazioni il danno dei proprietari di rendita sarebbe semplicemente nominale. Ma non basta. L'imponibile fondiario oggi comprende il reddito delle migliorie, che attualmente, nell'interesse dei grandi proprietari di terre incolte, cioè per confondere dinanzi all'erario la causa dell'ozio opulento con quella del sudato lavoro, viene confuso colla rendita. Ebbene esonerando le migliorie da ogni balzello, è evidente che tutti quei proprietari, generalmente i piccoli e i mezzani, che avessero migliorato le proprie terre, nulla perderebbero, poiché nel complesso, dopo la riforma, verrebbero a pagare meno di prima. Quanto agli altri, poichè lo Stato consentirebbe, come si è detto, a lasciar loro nelle mani una gran parte della rendita per almeno mezzo secolo, essi potrebbero benissimo, migliorando la terra, ridiventare più rìcohi di prima ; oppure, se infingardi, non avrebbero alcuna ragione a lagnarsi d'una riforma tutelati•ice dei dritti del lavoro. Confessiamo ohe il frazionamento dei latifondi, il trionfo della piccola proprietà, l'impulso efficace alla coltura intensiva, l'emancipazione del lavoro per effetto della libera concorrenza all'uso delle forze naturali, la possibilità di sopprimere tutte le imposte sul capitale e sul lavoro, cose tutte che sarebbero la conseguenza necessaria della graduale espropriazione della rendita, costituirebbero tali vantaggi per la società da farci dimenticare qualche lieve danno privato che potesse derivare dal poco rispetto verso il principio convenzionale della prescrizione. Aggiungiamo che, al fine di rendere possibile la pronta soppressione d'ogni balzello senza ridurre il bilan11io dello Stato, la graduale nazionalizzazione della terra per mezzo dell'imposta dovrebb'essere accompagnata da un'imposta progressiva sull'entrata; la quale dovrebb'essere decrescente a misura che la rendita venisse assorbita, ed estinguersi col totale assorbimento di essa. Tale imposta progressi va tenderebbe a pareggiare la troppo ingiusta ineguaglianza delle fortune, proveniente dal passato disordine economico, e permetterebbe, inoltre, di riscattare ogni debito pubblico, di nazionalizzare le ferrovie, non che tutti i servizi pubblici, pei quali non è possibile la privata concorrenza. Noi siamo persuasi di p1•<ldicareal deserto, poiché si continuerà, chissà fino a quando, a rinchiudersi nel circolo vizioso di pretendere la. trasformazione politica prima di attuare la trasformazione economica, quasichè la lotta per la seconda non fosse per le moltitudini il migliore e più spiccio avviamento alla prima. Siamo persuasi che i socialisti e gli anarchici continueranno a sognare l'organizzazione della solidarietà, cioè della carità sociale, senza preoccuparsi se negli animi faccia generalmente difetto il sentimento della giustizia, che si tratterebbe appunto di infondere modificando, nel senso che abbiamo accennato, l'ambiente sociale. Ma noi abbiamo fede nella vittoria finale della verità e del buon senso; e se il giorno della risu1•rezione non potrà essere affrettato per opera delle nostre razze meridionali, troppo sfatte dai pregiudizi, dalla ignoranza e dalle abitudini di servilità, non per questo non dovrà finire per risplendere gloriosamente sulla razza umana il sole dell'avvenire. RUGGIERO ORLANDO.
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