376 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI quindi neppure una letteratura nazionale, abb;a o no carattere, colorito, fisonomia, impronta nazionale: questo appunto nega lo Gnoli là dove dice che « fatta l'Italia, nell'affannoso lavoro di svecchiarsi o di appropriarsi la modernità che qui non era, i letterati banno smarrito il senso dell'italianità e, camuffati da russi, da tedeschi, da norvegesi, da inglesi, si sono presentati al pubblico che ha detto : no, da voi italiani voglio arte italiana ». Così i problemi sono due: Ha avuto la nostra produzione letteraria dopo il '70 fisonomia e impronta nazionale? Ha inoltre avuto quell'unità, quell'anima comune, che l' Ojetti crede necessaria per parlare di lettera tura italiana ? Poicbè la questione è di cose e non di parole, è inutile discutere se sia giusta questa definizione che della parola letteratura dà l' Ojetti. Anche è, per risolvere il primo problema, inutile parlare astrattamente di «letteratura> nazionale e internazionale; ed è inutile,~per la soluzione del secondo, notare ohe neppure si può parlare di una filosofia e di una scienza italiana negli ultimi decenni, perchè si tratta di fenomeni diversi soggetti a leggi diverse. Per risolvere lo due questioni è necessario lasciare le astrazioni e le analogie e fare una specie di anal:si psico'.ogica della no-stra produzione letteraria µioderna. Allora., visto in che si risolva ve:-amente l'influenza otraniora, sarà possibile risolvere un ultimo problema, se essa cioè sia stata utile o dannosa. Però su quell'antinomia dell'arte nazionale o cosmopolita è meglio intendersi. A mio parere la let.. teratura europea annunziata dal Goethe e dal Mazzini è, per quol che riguarda la materia prima dell'opera d'arte, quasi un fatto e non è più possibile cercare l'indice della nazionalità nella rappresentazione di uua vita €Sclusivamente propria di una nazione, chP, nel progressivo agguagliarsi delle condizioni di vita spirituale e sociale, quasi più non esiste. Lo stesso deve dirsi degli indi1·izzi artistici, la cui universalità discende di1•0ttamente da l'universalità del'a vita che l'arte ritrae e che, sorti dove questa .vita è più intensa, si propagano a le altre nazioni. Ma l'essere europea e universale la materi!l prima e l'indirizzo artistico non toglie che una letteratura poss'l. essere quanto si vuole nazionale, purchè a quella materia e a quell'indirizzo si si1t dato carattere, fisonomia, impronta nazionale: a provarlo basta ricordare che la materia epica francese e il romanticismo d' origine germanica hanno dato in Italia quelle due fio. riture lettera rie che si citano come t;pi di letteratura singolarmente italiana. Così l'italianità della nostra produzione letteraria dal '70 in poi non si deve cercare nel monopolio di un contenuto e di indizi artistici esclusivamente nostri: basta che i nostri letterati abbiano dato carattere e impronta italiana a un contenuto o ad indirizzi che p0ssono bene essere comuni o ::rnche derivati da altri popoli. Ma, un' ultima nota preliminare. In che consiste questo carattere, questa impronta italiana? Brevemente: vi sono due maniere di itol;anità: una superiore, quella di Dante e del Macchiavelli, del Parini e dell'Alfieri e del Manzoni: una inferiore, quella del Boccaccio e del Poliziano, dell'Ariosto e del Metastasio e del Monti. In due generi d'arte differenti sono tutti scrittori nazionali: ma quali sono, se è possibile dir così, più nazionali, più vicini cioè a l'anima media della nazione 'l Purtroppo bisogna ben ammettere che sono i secondi e lo dimostra il fatto che con essi e dietro essi è la schiera infinita dei minori. Ora quali sono i caratteri comuni? Se negli uni vi è, dovuta a la deficienza nostra di quella interiorità di vita che caratterizza le razze nordiche, la tendenza a rappresentare piuttosto il mondo esteriore che il mondo intimo, piuttosto le cose che l'anima, piuttosto fantasie e sogni di bellezza. che le forme più alte della. vita intellettuale e m01•ale, vi è negli altri una ra.ra potenza. di realizzare anche queste forme di vita. e inca1•narle in forma sensibile: se nei primi prevale la chiarezza e la potenza. esp1·essiva a la profondità a l'intensità a la. suggestività, nei secondi la presenza di queste doti non caccia, come spesso avviene nelle letterature nordiche, le prime. A ciò si aggiunge una certa sobrietà e proporzione e ordine e misura che viene da la nostra euritmia mentale e dal nostro buon senso artistico, un certo calore e movimento derivante dal nostro carattt?re passionale, un'invincibile tendenza al culto della forma che richiede la nostra imaginazione concreta e plastica. Così essendo, è giusto quello che, in un articolo on the essential caracteristic of French literatw·e, scriveva il Brunetière, che cioè di fronte a la letteratura francese sopratutto sociale e a la tedesca sopratutto filosofica, the essential characteristic of the Italian literature is lo be an artistic literature. II. E ora veniamo ai nostri problemi: Ha o no questi caratteri, questa imp1·onta nazionale la pr0duzione letteraria che l'Italia ha avuto <lacchè veramente forma una nazione? E' a. mio parere necessario dividere questo spazio di tempo in due periodi da considerarsi separatamente: è naturale ch'io n0n possa quì far più che accennare. Il primo che va dal '70 ciroa sin verso il '90 s'apre veramente con una gran foga d'imitazione straniera; se il Carducci era lo scudiero dei classici, quelli ch'egli chiamò la terza generazione romantica erano gli scudi eri dei romantici francesi e tedeschi. Lo Zendrini traduceva e imitava lo I-Ieine, Emilio Praga faceva una mescolanza di Heine, di De Musset e di Baudelaire, il Boito imitava i tedeschi, e sotto l'influenza tedesca il Fogazzaro in disparte scriveva Valsolda; poco dopo incominciò l'imitazione dei realisti francesi, Sl)pratutto dello Zola. Ben presto però tre correnti si disegnarono, che hanno formato tutta la letteratura di questo periodo: neo classicismo ·carducciano, il verismo steccbettiano e il realismo: hanno esse o no caratteri e impronta nazionale? Sarebbe ridicolo forma1si a provare l'italianìtà del Carducci e del moto poetico che da lui più o meno e derivato; al Marradi e al Mazzoni, a Severino Ferrari e al Pascoli è possibile muovere, perchè io l'ho
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