RIVISTA. POPOLA.REDI POLITICA.LETTERE E SCIENZE SOCIA.LI 375 ordine di cose e contro un dato modo di vedere sarebbero dei degenerati! « Uno dei sintomi della degenerazione per Nordau sarebbe la mania irnsistibile della imitazione. E allora non sarebbero degenerati tutti i fanciulli nei quali è generale e potente l'istinto dell'imitazione? La tendenza all'aggruppamento per Nordau è un segno di degenerazione; ma questa tendenza non costituisce la sociabilità, eh' è caratteristica di tutti gli uomini - salvo pochissime eccezioni? « La base delle degenerazioni è così incerta, continua il critico della Société Nouvelle, che 1ordau non si accorge delle sue frequenti contraddizioni. Così a p. l3-:1: afferma che l'uomo no1·male, vigoroso, prova un naturale bisogno di conoscenza e eh' egli cerca il perchè e il come dei fenomeni Ora a pag. 40 egli aveva scritto che questo è un sintomo di degenerazione. A pag. 143 scrive che la tendenza all'opposizione è propria dell'imbecille ed a pag. 147 celebra i primitivi che lottarono contro l' insegnamento ricevuto! » ( l) La conclusione è ancora più istruttiva: se quelli designati dall'A. fossero davvero segui di degenerazione il più grande degenerato sarebbe il :\ordau ohe quasi tutti li presenta - non esclusa l' asimmetria ..... Questa pare che sia anche l'opinione del Lombroso che scrive: « Insomma se anche nella Dege- « nerazione il ~ordau lascia l'impronta del suo « genio, egli non potè sfuggire alla lacuna ed agli « errori così comuni ai geni e ch'egli così spesso « esagera a loro danno. » (p. XXXIX). ~on è evidente che il maestro constata con un s0rriro non privo di malizia la pazzia del discepolo? .. 11 Nordau afferma ch'egli ha scritto il suo lib1·0 nell' intento di affrettare « mediante opportuno « t1·attamento la guarigione delle classi superiori « della civiltà dell'attuale malattia del loro sistema « nervoso. » (p. 559). Ed a questa guarigione egli crede. « L'isterismo dell'epoca non avrà durata. I po- « poli, si riavranno dalla loro attuale spossatezza. I « deboli, i degenerati periranno; i forti si adatte- « ranno ai portati della civiltà oppure subordine- « ranno questi alla loro propria facoltà organica. « I pervertimenti odierni dell'arte non hanno alcun « avvenire; spariranno allorquando l'umanità civi- « lizzata avrà superato il suo strato di prostrazione. « L'arte del secolo ventesimo si connetterà in ogni « punto a quella del passato, ma dovrà adempiere « ad un nuovo compito: quello di portare una va « rietà imitatrice nell'uniformità della vita artistica « effetto che la scienza sola sarà in grado di eser- (I) I.e pagine l'itatc sono quelle de,ll'çdizione, francese nel 1894, « citare sulla grande maggioranza degli uomini « molti secoli più tardi. » (p. 557). Ilo niente da obbiettare contro l'ottimismo del Nordau; mi permetto soltanto di osservare che per un libro che si propone la gua1·igione della malattia del secolo è troppo piccola la pat·te assegnata alla terapica; la quale è vaga, indeterminata, troppo anodina per non dirla inconcludente. Se è vero poi, e non esito ad associarmi a questo parere - ch'è quello del Bearci - che il nervosismo moderno è prodotto dal grande consumo delle forze organiche, è evidente che il solo 1·imedio efficace non può e non deve cercarsi che in una grande trasformazione sociale mercè la quale il lavoro venga meglio ripartito tra gli uomini eliminandosi que!Je degenerazioni che negli uni sono determinate da un eccesso di larnro manuale e da deficiente alimentazione e negli altri da un eccesso di lavoro psichico accompagnato da soverchia alimentazione. Lo ZOTICO. Alascopedretalllaetteratiutarlaiana I. Da un mese il campo letterario ò a rumore: ha mosso la discussione lo Gnoli in un articolo della Antologia lamentando la mancanza di carattere nazionale nella nostra produzione letteraria dal '70 in poi e consigliando un bagno di italianità; l' Ojetti, rispondendo, ha ripreso la sua tesi dello scorso anno su l'inesistenzo, di una letteratura italian!J, contemporanea, inneggiando a l'individualismo: il Carducci è entrato in mezzo con una cenciata a le mosche cocchiere del cosmopolitismo letterario, e chi s' è schierato da una parte e chi dall'altra. E intanto nessuno, eh' io mi sappia, s'è fatto quella che sembrerebbe dover essere la prima domanda: ma è proprio vero ohe la nostra produzione letteraria dal '70 in poi abbia perduto il carattere, l'impronta nazionale? La ragione di ciò parmi ·si debba cercare nell' essersi creduto che la tesi dello Gnoli sia quella stessa, di oui l' Ojetti, con la discussione dello scorso anno, sembra aver fatta persuasa l'Italia letteraria: il che non è vero. L'Ojetti infatti sosteneva che, <lacchè è costituita in nazione, manca a l'Italia una letteratura singolarmente italiana, intendendo con ciò che la nostra produzione letteraria non ha avuto e non ha quell'unità spirituale e d'indirizzo, quell'anima comune cho, secondo lui, è necessaria perchè possa chiamarsi una letteratura, e quindi a maggior ragione non ho, avuta un'anima comune singolarmente nazionale: ne trovava la causa nella mancanza di un'anima comune e singolarmente italiana nella nuova Italia. Lo Gnoli va anche più in là: negata una letteratura italiana nel senso dell' Ojetti, resta sempre il problema se questa produzione letteraria che, per mancanza di unità, non costituirebbe una letteratura e
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