Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno II - n. 19 - 15 aprile 1897

t RIVISTPAOPOLARE DI POLITICALETTERE E SCIENZESOCIALI Direttore: Dr NAPOLEONE COLAJANNI DEPUTATO AL PARLAMENTO Il ALIA: anno lire 5; semestre lire li - ESTERO: anno lire 7; semestre lire 4. Un numero separato Cent. 20. Anno Il. - N. 19. Sommarlo. LA RrvrsTA - Attraverso le sale di Montecitorio. Cavallotti. IL SoCIALISTOIDE- Per un articolo cestinato. A6bonamentopostalo M. PANTALEONI- A proposito-del «Cours d'Èconomie politique » di Vilfredo Pareto. PAOLO VALERA- I Baccaristi di « Tranby Croft » e il Principe di Galles erede del trono dei Brunswick. Lo Zonco - Degnerazione. PIETRO FONTANA- A la scoperta della letteratura italiana. Cronaca Politica. Recensioni. Ancora una volta torniamo a pregare vivamente tutti coloro che non abbiano pagato l"abbonamento, a volersi mettere in regola con l"Amministrazione. o 1> cl H -1-3 [/J CD ::1 ot CD (/) Roma 15 Aprile1897

362 RfVISTA. POPOLAlm DI POLI'Ì'IOA. LE'l"l'E:R'E E SCIENZE SOCIA.LI Seg_ uestrtao

RMST A. POPOLARE DI POLITICA.LETTERE E SCIENZESOCIA.LI 363 Sequestrato CAVALLOTTI. Le elezioni del 21 Marzo sono state un trionfo dei repubblicani e dei socialisti come partiti ed hanno giustificato l'azione politica di Felico Cavallotti, che per oltre un anno ha affrontato i sospetti, le insinuazioni e le calunnie pur di ottenere lo scioglimento della Cameu uscita dalle elezioni del 25 Maggio 1895 - la Camera che condusse ad Abba Carima e del tentativo disonesto di seppellimento della quistione morale. L'ira furibonda dei deplorati caduti e dei loro organi costituisce il migliore titolo di onore per Cavallotti; ma a lui venne pure leale e sincera la confortante parola di chi dell'opera sua diffidò, di chi anche non gli risparmiò accuse non giuste. Alludiamo a Filippo Turati che all'indomani dei ballottaggi scrisse: «: Se i voti delle città e delle regioni più civili hanno < ,,ualche prevalenza morale sugli espe1•imenti elet- « torali dei borghi putridi e delle varie Vandee, Cri- «: spi, l'Africa e il voto plurimo sono i veri battuti « dai recenti Comizi. Cavallotti, che mirò special- « mente al primo termine di codesto trinomio, vinse « in realtà sugli alti·i. Dobbiamo rendergli questa «·giustizia noi per i primi che non approviamo in « massima il metodo eh' egli ha seguito ; e i quali « speriamo che ora almeno - spezzati i legami arti- « ficiali - ritrovi la via degli ardimenti che già fe- « cero, e potrebbero rifare di lui, ancor per qualche « tempo, forse la maggior forza della vita politica « italiana ». Anche noi si associamo con tutto l'ardore dell'anima nostra a questo voto. Forse non lo vedremo soddì-

364 RIVISTA.POPOLAREDI POLITIOAL. ETTEREE SCIENZESOCIA.LI sfatto immediatamente perchè Cavallotti ·crede utile alla causa della democrazia seguire una via più prudente, e che gli sembra più sicura pel consegoimento delle alte idealità, della. prima; ma è certo che il sospetto di coloro che vedevano nel Deputato di Corteolona un volgare imitatore di Fortis oramai sa.rebbe ingiurioso. Può darsi che Ca.vallotti non rendendosi esatto conto delle condizioni della monarchia italiana s'illuda ancora di potere imporre al Re un ministero in cui entri a bandiera spiegata l'Estrema sinistra, qual' essa e, senza. trasformazioni; ma chi come lui nella Sala Rossa ha solennemente dichiarato che l'Estrema deve rimanere quale fu ognora, un organismo politico intessuto con filamenti repubblica.ni e comprende che gli è preclusa la strada per dare decorosamente, come lndividuo isolato, la scalata al potere. La Rivista ha sostenute che ciò non fu mai nelle intenzioni di Cavallotti e se ne rallegra e gli manda saluti affettuosi ed auguri di vederlo uscire tl'ionfante da qualche altra battaglia più radicale e oiù risolutiva che non sia stata. questa ultimi elettorale. La Rivista Popolare di Politica Lettere e Scienze sociali esce il 15 e il 30 d'ogni mese, in fascicoli di 20 pagine in 4' grande. SpedireVagliao Cartolina-Vaglia aff'on. Dr. Napoleone Colajannl Roma. PER UN ARTICOLO CESTINATO Dura.nte la lotta elettorale, anzi qnand J questa era agli sgoccioli, scrissi un articolo sul contegno dei soriialisti e sui giudizi storti o falsi emessi dalla loro stampa contro la repubblica e contro i repubblicani e lo inviai alla direzione della rivista, che nel numero precedente lo annunziò. Confesso cne il ruio articolo si risentiva ddl'ira e dell'amarezza, che in esse avevano suscitate le corbellerie e le esagerazioni dei socialisti; ma all'indomani dei ballottaggi mi sono sentito disarmato dallo splendido spettacolo, che essi avevano dato votando dappertutto disciplinati pei repubblicani e facendone trionfa.re parecchi. Perciò, anche consigliatovi da comuni carissimi amici, ho pregato la direzione della rivista di cestinarlo. Ciò feci anche nella speranz; che nell'avvenire i socialisti smettessero dalla intransigenza sinora mostrata e procedessero concordi coi repubblicani sino a tar,to che potl'anno battere la medesima strada. ll programma mir.imo forse lo realizzeranno in un giorno? e nel programma repubblicano non c'è forse alme· no tani.o qnanto nel primo? Ci sarà tempo a bisticciarsi ed a combattere. Oh I ce ne sarà ..... Intanto questo voglio notare. Il Turati alla vigilia delle elezioni scrisse che i repubblicani « scambiano «: illusi, con luce d'aurora i guizzi e i barbagli vani «: del loro tramonto. > Ebbene gl' illusi alla Camera sono venuti precisamente in numero doppio dei socialisti (1). Se l'aritmetica non è uua opm1one, socia· listi e monarchia con un altro paio di elezioni mi sapranno dire se i guizzi e i barbagli degli illusi non sono invece luce meridiana. IL SOCIALISTOIDE Aproposdietol" Coudrs'Économie pol tiq,,ue di Vilfredo Pareto. Non v' ha lettore dell'opera del Pa.reto che non riceva l'impressione di aver che fare con una opera di primissimo ordine, per la originalità dei pensieri, per la larghezza delle vedute, per la cultura affatto singolare dell'autore : cultura che abbraccia la filologia e la storia, come pure la matematica, la fisica e la storia naturale, sempre egregiamente messa in opera, là dove occorreva, e nel modo più efficace. Nessuno ha letto quell'opera senza che ne riceva la impressione, che essa, ad un tempo, elimina canti naia di opere precedenti e sarà la falsa riga, o il testo fondamentale, su cui, per un ventennio forse, se ne fabbricheranno altrettante. Ma, colpisce molti un senso di disordine. Come vada ripartita la materia in un trattato di Economia, tutti sanno, dai tempi di J. B. Say a questa parte: prima s' ha da parlare di produzione di ricchezza ; quando si sa come viene prodotta, è tempo di vederla circolare, e poi distribuirsi ; finalmente,.... eh, finalmente ha da finire, cioè, da essere consumata I Questo è ordine logico, questo è ordine naturale. Così siamo andati avanti da J. B. Say a Stuart Mill. Che dico? A Stuart Mill ? Dio buono, siamo nel 1897, e debbo fermarmi ·al grand·e traité théorique et pratique, in 4 volumi, del Leroy Beaulieu I Ora, il Pareto, dicono, o pensano, perchè qualche volta hanno paura di dire, il Pareto ha un po' l'a1•ia d'un uomo il quale, volendo disegnare una figura, incominci a disegnare l'occhio, e poi ne faccia un orecchio, e seguitando a questo modo, saltando un po' qua un po' là, tutta la faccia. - Tutta? Davvero? Col vostro disordine, Signor mio, non :ci si arriva. Volete vederne i frutti? Se pigliamo l'indice dell'opera del Leroy-Beaulieu e ricerchiamo la voce « Salarié », ce la troviamo; se, invece apriamo l' indice dell'opera del Pareto, la ricerca rimane infruttuosa: l'indice non contiene nemmeno la lettera S J E guardate un po' che razza di ordine sia il seguente I Eccovi due volumi, l'uno di 430 pagine, l'altro di 426 in tutto 856 ; queste 856 pagine formano due parti. Voi direste: metà e metà I - Nossignore I - Allora direste : un terzo e due terzi I Insomma, una cosa simmetrica I - Nossignore, nemmeno I E ora ve lo dico (1) Ecco i nomi dei DepuLalirepubblicani: Barzilai, Beduschi, BosdAri,Bovio, Budassi, Cclii, Colajanni, Credaro, De Andreis, De CrisLofori, Fratti, Gaetani di Lauren1,ana, Garavetti, GalLorno,Jmbriani, Luzzatto R., Mazza, l\'lirabelli, Panzini, Pantano, Raccuini, Rampoldi, Ravagli, Socci. Taroni, Vendemini, Zabeo. A questi, che hanno fatto esplicita adesione al gruppo repubblicano si devono aggiungere le doppie elezioni di Bosdari e d'lmbriani. Probabilmente se !'on. Pinna si fosse trovato in Roma sarebbe stato con Garavetti a rappresentare nel partito repubblicano la fiera provincia d1 Sassari.

RIVISTA POPOLAREDI POLITICALETTERE E SCIENZESOCIALI 365 io : Ci sono 75 pagine, l' 8 %, se vi piace, che sono «: Principcs d'Économie pure» e poi 780 pagine che sono « Économie politique appliquée », e questi sono divisi in tre libri: I. I capitali, suddivisi in capitali personali,capitali mobiliari e capitali fondiarii; IL L'organismo economico, suddiviso in 4 capi che trattano dei principii generali dell'evoluzione sociale, della produzione, del commercio e delle crisi ; III. La ripartizione della ricchezza, in due capitoli, uno sulla curva dei redditi, l'altro sulla fisiologia sociale. E 01•a dite un po' se non c' è da perderci la testa, sovra tutto quando non si trova nell'opera nemmeno un capitolo intestato : teoria dei salarii? Noi ammettiamo che i singoli capitoli siano gemme preziosissime, taluno un brillante, altri zaffiri, rubini e perle, ma tutti insieme non formano un «: concerto :>. Rispondo, e senza ironia alcuna, che compatisco coloro che così sentono; dico senza ironia, perchè ho incominciato per compatire me stesso, allorchè, non lontano dalla quarantina, mi sono accorto che l'Economia andava studiata da capo. Era comoda, e era tanto lucida, la divisione degli elementi della natura in acqua, terra, fuoco e aria l E accorgersi un bel giorno, che i corpi semplici superano i 65, e che hanno un pandemonio di proprietà, fa venire una voglia maledetta di condannare al rogo tutti i guasta mestieri della razza dei Pareto, i passati, se ancora si potesse, ma almeno gli attuali e i futuri, pei quali si è ancora in tempo, e ciò per vivere da uomini «: veramente conservatori e francamente liberali». Eppure, gli avvertimenti di tirarci su le braghe, non c'erano mancati. Quel vecchio, che, per torglierselo da mezzo, relegarono nella laguna veneta, che è scordato prima di essere morto, il Ferrara, quante volte ha dimostrato che la « teoria del baratto» o dello « scambio », comprendeva quella della « produzione » che l' istessa « legge del valore » si manifesta nella « produzione », nella « distribuzione :» e nella «: circolazione » della ricchezza, e che da essa, come semplici corollarii, si deducono tutte quante quelle leggi che gli economisti fanno comparire come cose distinte, riponendole nei loro quattro cassetti, acqua, terra, fuoco e aria, e che ne derivano parecchie altre ancora, che essi non vedevano, perchè i loro cassetti erano pieni ? Quante volte ha il Ferrara esposto quella « law of substitution » e quel « Substitutionswerth », chiamandolo costo di riproduzione per surrogato, o per succedanei? Quante volte ha sostenuto, che una legge isolata dei sala.rii, o dei profitti non potesse darsi, perchè trattasi di un sistema di cui tutti i punti si determinano reciprocamente? Quello che gli altri enunciavano sotto i nomi di teoria dei profitti, dei salarii e della rendita., nella trattazione sua figura va in una unità organica, già caratterizzata tale dal titolo: « Applicazione della teoria del valore al Reddito ». E quanta finezza nella analisi del concetto di « bene economico »; e che demolizione delle distinzioni erronee tra bisogni veri e fiitizii, tra r;cchezze onerose e gratuite, tra prodotti materiali e immateriali, tra capitale materiale e in_ tellettuale, tra terra e capitali etc. etc. C'era molto che era difettoso; c'era molto che era monco. E il salto dal Ferrara al Pareto è enorme. Ma, l'avvertimento era dato. E non fu compreso che da pochi. Perciò ora le meraviglie. Il concetto fondamentale della dottrina del Pareto, che è pure quella -walras e del Marshall, e di tutti coloro che hanno compreso co_sa significhi «: equilibrio economico >, può essere riassunto in quattro proposizioni : I. Su di ogni mercato havvi una domanda. complessiva di ciascun oggetto di consumo, domanda. complessiva. che è la somma delle domande fatte da ciascun individuo; d'altra parte havvi, analogamente una offerta complessiva di questi prodotti di consumo fatta dagli imprenditori. Supponendo i prezzi dei prodotti di consumo dati a caso, non ci sarà uguaglianza tra la domanda complessiva e la offerta. complessiva. - II. Su di ogni meroato ha.vvi una domanda complessiva di fattori di produzione, - u10 della terra, delle facoltà umane e delle varie specie di capitali - domanda che viene fatta. dagli intraprenditori per la produzione dei prodotti di consumo e la fabbricazione di capitali; d'altra parte havvi, analogamente, una offerta complessiva di ciascuna specie di fattori di produzione per parte degli individui del mercato. Supponendo, di nuovo, i prezzi essere arbitrarii, o dati a caso, non ci sarà uguaglianza tra la domanda e la offerta. - HL Su di ogni mercato havvi un certo risparmio, che consiste nell'offerta per parte degli individui di quantità tali di fattori di produzione che, ai prezzi che corrono, il loro importo in numerario sia superiore all'importo in numerario delle quantità di prodotti di consumo da essi domandate, e havvi una quantità di capitali nuovi fabbricati dagli intraprenditori. Supponendo il tasso dell'interesse arbitrario, non ci sarà uguaglianza tra il risparmio complessivo, espresso in numerario, e il valore dei capitali nuovi, pure espresso in numera1•io. - lV. Ogni individuo è supposto di comportarsi sul mercato nella trasformazione dei beni che offre nei beni che domanda secondo un principio di utilità massima e ogni imprenditore, sia che fabbrichi beni di consumo sia che fabbrichi capitali è supposto spingere ogni produzione fino a quel punto in cui la produttività marginale di ciascun fattore di fabbricazione sia uguale al rapporto fra il prezzo del fattore e il prezzo del prodotto, cioè fino a quel punto in cui l'ultimo incremento di ciascun fattore non produce che la propria rimunerazione._ (Pardo §. 101 e §. 135). Sarebbe dunque questo, in breve, anzi, diciamo addirittura, « in quattro parole », il sistema del Pareto? Ecco, lettore mio, se questo glie lo domandassi a lui egli ti risponderebbe recisamente di no. E allora, dirai, che chiacchiere ti vado contando ! Rispondo: le cose difficili vanno comprese a tozzi e bocconi, come le salite vanno fatte al passo e non prese di corsa. 11 Pareto considera gli uomini come molecole attirate da varie forze. Quelle forze sono incognite, e vengono determinate dalle condizioni dell'equilibrio. Ho nominato, come gente che fosse d'accordo in tutto, Edgeworth, Marshall, Walras e Pa1ìeto. A rigore non

366 RIVISTA POPOLAREDI POLITICA.LETTERE E SCIENZESOCIALI è così. Sono d'accordo i due primi e sono d'ac'1ordo i due secondi nel trattare il problema economico. Tra di loro si differenziano in questo, che se supponiamo una serie di punti in un piano, p. e., i punti a, b, c, d, e, f, che si attirano secondo una certa legge, il Pareto e il Valras li suppongono tutti quanti liberi e stabiliscono le condizioni dell'equilibrio che determinano tutte le distanze tra di loro, là dove i due scrittori inglesi semplificano il problema, considerando come data e fissa la posizione di certi punti, poniamo, di a, b, c, e determinano soltanto la posizione dei rimanenti, d, e, f. Il Pareto e il Vv alras trattano dunque un problema ancora più g,merale di quello dell'Edgeworth e del Marshall. L'equilibrio economico è un fatto. Questo fatto è deter.ninato da certe condizioni. Esprimendo queste condizioni si viene a determinare il fenomeno economico. Quali siano queste condizioni è il merito grande del Walras di aver indicato per primo e nel modo più generale. Come ognuno vede, il sistema del Pareto mette in rilievo la stretta e mutua interdipendenza tra varie quantità economiche, la produzione dei beni di consumo, il risparmio, la trasformazione di capitali vecchi e la produzione di capitali nuovi, e che non vi abbia uno stato di equilibrio se non se le ragioni di scambib e il tasso d•'interesse siano tali, che le domande e le offerte di cià.acuna specie di quantità economiche si uguaglino. La trattazione della materia occorre quindi che abbandoni la via antica e diventi questa: prima conviene fornire la teoria dell'equilibrio economico su di un mercato in cui le quantità di ogni bene economico sono date; poi converrà mostrare come le ragioni di scambio formatesi su questo mercato reagiscono sulla domanda e offerta di fattori di fabbricazione, ossia dei servizi produttori, e come le quantità in cui questi vengono prodotti determina a sua volta un nuovo equilibrio sul mercato. (§ 105). Nel concetto fondamentale che informa l'opera del Pareto non sta la sua originalità; questo concetto concetto fondamentale in forma rudimentale e imp.erfetta è di molti e di nessuno, come non è di Newton, o di Leibniz, il concetto fondamentale del calcolo dif• ferenziale. Questi ebbero precursori nel Cavalieri, e forse anche nell'Archimede, e gli economisti che diedero la forma attuale alla teoria dell'equilibrio li ebbero nel Dupuit, nel Gossen, nel Ferrara e altri. Non si tratta di un vero del tutto nuovo, ma bensì di aver completato delle verità parziali, se di queste a rigore ve ne possono essure. Il Pareto ha preso dal ,valras l'idea dell'equilibrio generale e vi ha aggiunta quella delle approssimazioni successive. Ma, la grande novità dell'opera del Pareto sta in tre categorie, o gruppi, di proprietà. In primo luogo, questo trattato é il primo che io mi sappia, che di.mostri induttivamente ogni pròposi· zione economica. La singolarità sua sta e nella compiutez:rn di queste dimostrazioni induttive, se una ad una le esaminiamo, e nell'essere p1·oprie di ciascuna tesi economica. Ricordo, che allorchè il Pareto mi parlava, o mi scriveva, di questa sua opera, feci quanto era in me per dissuaderlo da questa via che egli batteva. I miei argomenti erano sostanzialmente questi: le argomentazioni induttive non sono possibili per tutte le proposizioni economiche e là dove sono possibili sono già state date dai Roscher, dai Tooke e Newmarch, dai Th. Rogers e dai ClementJuglar: le argomentazioni induttive sono superflue in moltiJ casi, perchè trattasi di proposizioni così ovvie che basta rispondere a chi le contesta, come lo stesso Pareto rispc se ad un tale che gli diceva di non credere alle leggi economiche: « mi sa indicare una trattoria in cui potrei pranzare gratis? » Alle mie argomentazioni il Pareto rispondeva con le cartelle della sua opera, e, a misura che venivano, mi persuadevo, che le dimostrazioni induttive dei suoi predecessori ci guadagnavano a essere rifatte, là dove ne esistevano, e che esse si potevano anche estendere là dove non le avevano tentate. E così è venuta fuori un'opera, finora affatto unica, per la scelta e la quantità dei fatti ('he suffragano le dottrine economiche, fatti accuratamente vagliati e che abbracciano, dal mondo greco-latino in poi, tutto il campo delia storia, fino al documento statistico più recente. Ho avuto qualche volta l'impressione, che la piccola ma densa opera del Roscher « sulle Colonie e la politica coloniale :. fosse la madre di un grosso volume sulla « Colonisation chez les peuples modernes ». Ebbene, non mi meraviglie1•ei se l'opera del Pareto fosse pure feconda quanto una gatta. Havvi là un pozzo di S. Patrizio per tanti egregi tconomisti: essi res!Jingeranno l'opera del Pareto, col pretesto che sia roba da matematici - e le matematiche non ci si vedono che in qualche nota - ma, poi, giù i vecchi nelle vasche inesauribili dtli fatti,! E le gatt 0 , lo si sa, fanno figli con qualunque gatto, di qualsiasi colore, comunque fatto, ovunque .... purchè s:a buio e possa succedere l'accoppiamento. Volete ad es., parlare delle associazioni operaie, volete discutere di quelle libere e di quelle regolamentate, volete sapere come le cose stessero iu Grt'c:a, a Roma, dalla repubblica al basso imper,,, nel medioevo, in Inghilterra, in Franc·a, V< ltite sapere cosa ne sia ora di q11<sto ar 6 omento in varii paes: che hanno regimi tipici?, ebbene, non av, tò che da mtttere la mano nel sacco non v~stro, voglio dire, scartabellare nel capitolo sulla « proJuzione ». Sono 126 pagine e c' è questo e quanto altro desiderate. Vi interessano i « Trusts », i sinda~ati commerciali? Volete sapere _quando e come riescono e quando e eome fanno fiasco ? Volete sa pere cosa ci sia da fare, o cosa si sia fatto, contro di essi con e senza successo ? Volete dei fatti? Volt'te sapere come storia e statistica possono contribuire alla dilucidazione dei problemi che presentano? Meglio assai del volume edito dallo Schmoller sull'argomento vi servirà il Pareto, nel capitolo sul Commercio ; dico che meglio vi servirà perchè non vi diluisce poca sostanza in molte parole. Volete la stor:a della moneta? ,olete quella dell' interesse? volete quella delle banche? Allora bisogna lasciare il secondo volume, nel quale trovansi gli ar·

RIVISTA. POPOLAREDI POLITICALETTERE E SCIENZE SOCIALI 367 gomenti di cui ho detto poc'anzi, e ricorrere al primo. Troverete là an~he la storia della proprietà collettiva, la storia della ricchezza mobile, la storia della p:>polazione. Non è certamente di aprior_ismo che anche questo economista vorranno accusare certi signori che, presso gli economiEti, si dicono essere degli ·storici e, presso gli storici, degli economisti. Eppure, sta a vedere che ci riusciranno, a quel modo, s'intende, come riescono nelle altre cose loro. In particolare c'è un tasto che va toccato subito, per sentire come suoni. Si tratta di uno « sciboleth » al quale taluni ci sott:>pongono ora tutti quanti. Se si risponde, si è salvi, se non si risponde, si è ghigliottinati. Sa il Pareto cosa sia il « materialismo storico? » È noto che in Italia, al dire di certuni, non è molto, nessuno sapeva cosa fosse il materialismo storico: e venne il Loria e ce lo insegnò. Ma non lo sapeva, pare, neanche lui, e accadde che ce lo insegnò di traverso. E saremmo finiti male, come nelle altre cose nostre, proprio male, se l'Engels non avesse dato al Loria una di quelle lezioni che non si scordano, perchè non si scordano le C<'Seinsolite, e sono fortunatamente cose insolite le ingiurie sostituite agli argomenti. Il nostro è paese esposto alle epidemie. Ne ricordo ,·arie dacchè mi occupo di studi economici. Ci fu un tempo in cui si correva rischio di esse1•e lapidati, se non si era pronti a risponderti che si sapeva e si riconosceva, che il Cocca, o il Lampe1·tico - c' era la scelta - avessero scoperto le « leggi limiti ». Poi, ricordo pure, si passava un guaio, se non si era perfettamente convinti, che la terra libera, o non libera, fosse la causa causarum di tutti i fenomeni economici. Antecedentemente, il salmo che ci procur.i.va indulgenza plenaria, se lo sapevamo cantare, e ci faceva spedire diritti all'inferno, se si pigliava una stecca, era il wagnerianismo: mica. quello musicale, ma stonato altrettanto. Adesso poi c'è questa croce del mater:alismo storico. Non bastava che Engels avesse detto delle insolenze in tedesco al Loria; un altro da dovuto dirgliene anche in italiano. Trattasi di una grottesca tenzone. 1 più - dirò or ora d'una correzione - stanno litigando da parte e d'altra, a chi abbia per primo e più chiaramente detta una castroneria ! È Marx, o é Loria, che per primo, e più compiutamente, abbia mostrato come « in ultima istanza ogni fatto storico si spieghi per via della sottostante struttura economica ? » È Marx, o é Loria, che per primo, e più compiutamente, abbia mostrata la preeminenza del fenomeno economico, e l' essere epifenomeni la morale, il diritto, la religione, ecc. ecc.? Al lettore, cui non baleni dinnanzi alla mente la speranza di essere il terzo inventore del materialismo storico, consiglio di non mette1·si tra i litiganti e di impiegare il suo tempo più utilmente impa1·ando a cono3cere nel primo capitolo del secondo volume del Pareto, cosa significhi realmente " indipendenza di fattori sociali », e come convenga di trattarla per cavarne qualche cosa. Egli vedrà quante volte sia assurdo perfino la domanda di « cosa sia causa di cosa », egli vedrà che si fa una domanda sciocca quando vuol sapere, se il 7 sia causa che con il 3 si ottenga 10, o se lo sia il 3; egli si persuaderà che non hanno compresa la interdipendenza dei fattori sociali coloro che vogliono ridurre sia pure « in ultima istanza » ogni fenomeno sociale ad un solo fattore, sia esso il clima, o i mezzi di produzione (sotto struttura economica) o la razza, o la posizione geografica, o la costituzione politica, o la religione ecc. ecc., ed egli si persuaderà che, per ora, una divisione in cause fondamentali e in epifenomeni è affa.tto arbitra.ria, o, per lo meno, non può essere quella che propongono i fautori del materialismo storico. La controversia sorta su di questo argomento sarà ricorda.te. per una sola cosa ed è questa, ohe ha fatto scrivere un libro in vero e()cellente ad Antonio Lahriola. È libro geniolè, arguto, dotto e, in giunta, sc1•itto come sa sc1·ivere il Labriola, ii che vuol dire, come sanno scrivere pochi altri. Senonché, il materialismo storico, per quanto una teoria più completa di altre che l'hanno preceduta, teoria· in cui c' è assai più di vero, perchè il fattore economico ha certamente una influenza maggiore sul fenomeno socia.le di quello che abb:ano gli altri fattori a cui tutto attribuiscono altre dottrine, non giunge ad afferrare la mutua dipenden,:a di tutti ì fattori. Quale sia la specie di errore compreso nella teoria del materialismo sto• rico - che sia poi quelli!. del Marx o quella del De Molinari non monta - può essere reso chiaro con un paragone che è del Pareto. La predominanza del fattore economico sugli altri, (sul fattore morale, sul fattore intellettuale etc.), é tanta, che considerandolo esclusivamente, si cade in un errore che ha una analogia qualitativa con quello che si commetterebbe se si considerasse soltanto l'attrazione che il sole esercita sulla teru e non altresì quella che la terra esercita sul sole e si dicesse, che la terra percorre un 'elissi, di cui il sole occupa uno dei fuochi. In realtà, la terra reagisce sul sole, e il foco dell'elissi !)OD é il centro del sole, bensì il centro di gravità della terra e del sole. Soltanto, siccome il sole è molto grande e la terra piccola, quel centro di gravità comune é vicinissimo al centro di gravità del sole. Ora, la teoria del Marx non è.tanto approssimata alla verità, quanto lo sarebbe la teoria <!heconsiderasse il sole come immobile; nè. l'errore di chi, invece del fattore economico, considera w; altro fattore wltanto, è pari a quello di chi supponesse immobile la terra invece del sole : qualitativamente l'errore del mater:alismo stori~o è però di quel genere, quant.unque non lo sia quantitativamente. Andiamo oltre. Dicevo essere di trf' specie i meriti che ravviso nell' opera del Pareto e ho messo in p:ima linea le dimostrazioni induttive che egli fornisce. Con ciò non ho voluto gr.i.duare i prègi, poiché é in fondo cosa del tutto sub:ettiva attribuire un peso maggiore ad una forma di progresso anziché ad un altro. Per parte mia, p. e., apprezzo assai di più il contributo di nuovi teoremi che il Pareto ha forniti. Di questi, se vi sarà giustizia alcuna verso di lui pe1· parte degli altri cultori della scienza economica, taluni dovranno portaN il suo nome per sempre, e ciò in ra.gione della loro

368 RIVISTA. POPOLA.REDI POLITICA.LETTERE E SCIENZE SOCIA.LI importanza nel sistema delle proposizioni che costituiscono la scienza economica e per la assoluta compiutezza. della dimostrazione che ne è fornita, s;cchè nulla resta da aggiungere, o da rettifica.re in essi. Questi teoremi, tutti quanti meno uno, hanno una generalità minore dei due teoremi Walra.siani, cioè del teorema dell'utilità massima nella trasformazione dei suoi beni per parte di ciascuno individuo, e del teorema. del profitto massimo dell' impresa, l'ultimo dei qua.li era già stato rigorosa.mente dimostrato per la prima volta dal Pareto, nel Giornale degli Economisti (luglio 94), e riceve ora nel suo trattato una dimostrazione più rapida e semplice. I teoremi ai qua.li accenno sono i seguenti: Gli intraprenditori, mentre realizza.no il teorema del profitto massimo dell' impresa., determinano i coefficienti di fabbricazione; ora, si dà < che, in l'egime di libera concorrenza, i coefficienti di fabbricazione riescono a essere quegli istessi che si avrebbero, qualora il postulato fosse di ordinarli in modo tale da avere quantità siffatte di prodotti che, opportunamente distribuiti, diano un massimo di soddisfazione individuale a.gli individui componenti un consorzio ». < Per ogni individuo esistono determinati valori di coefficienti di fabbricazione.che procul'ano a lui un massimo di soddisfazione : per ogni classe di individui esistono determinati coefficienti di fabbricazione da.i qua.li seguono tali quantità di prodotti che, opportunamente distribuiti, procurano a ciascun individuo componente la classe un massimo di soddisfazione individuale. « É implicito, ritengo, che si ti-atti di massimi di soddisfazione individuali subordinati alla posizione di fatto originaria di ciascuno componente la classe. Questi teoremi si trovano nel capitolo sulla produzione. In quello del commercio il Pareto fornisce una analisi che è la più completa che si abbia delle condizioni di equilibrio negli scambi tra mercati çhiusi, cioè nel così detto commercio internazionale. È impossibile riassumerla qui in ragione della complessità dell' argomento. Ma, la più nuova, la più singolare, la più feconda delle tesi del Pareto - se essa verrà ad esser confermata - concerne la distribuzione dei redditi. Il Pareto ha preso in esame tutti i fatti finora raccolti su questo argomento e questi fatti sono moltissimi. Essi sono univoci. Se formiamo una tabella di due colonne e in una prima poniamo in ordine di grandezza crescente i redditi e nell'altra il numero degli individui che fruisce di ciascu!lo dei redditi ohe sono classificati nella prima colonna, e se sostituiamo poi ai numeri assoluti di questa tabella i loro logaritmi, vedremo questo fatto _singolare, che i logaritmi dei redditi, presi per ordinate, costituiscono ogno1•a una retta ! E ciò invariabilmente, che si tratti di un paese agricolo, povero e cattolico quale l'Irlanda, o di un paese ricco, industriale, prevalentemente pr<testante, quale l'Inghilterra, che si tratti di un grande paese come la Prussia, o di una serie di città come Parigi, Basilea, Firenze, Perugia etc. La inclinazione di questa retta, cioè l'angolo che essa forma con l'asse su cui sono classificati i redditi varia entro certi limiti, ma, in sostanza., data quella massa di fatti univoci si genera la com·inzione che la distribuzione dei redditi sia determinata quanto il tipo con cui cristallizza un corpo chimico. È inutile sofTermardi alle conseguenze che discenderebbero, o che discenderanno un giorno da questo teorema. Non v'è chi non avverta che se restas;e confermato sarebbe il teorema fondamentale della sociologia, la quale, per esso, entrerebbe :di punto in bianco nelle scienze certe quanto la demologia. Senonché, data appunto la importanza smisurata di una simile legge per gli studii economici e sociali, non saprei per ora consigliare altro atteggiamento che quello di una benevole e interessata aspettati va. Affinché venga accolta una legge di questo genere non basta che tutti i fatti finora esistenti la confermino. Non ba.sta neanche che questi fatti siano molti. Occorre che siano molti ai sensi della statistica, cioè tanti quanti ce ne sono voluti prima che ci si credesse che nascono 105 o 106 maschi per 100 femmine. La precisione di un risultato cresce soltanto come la radice quadrata del numero delle osservazioni. Lo stesso Pareto è il più severo critico della sua courbe des revenus e si limita a dare l'espressione analitica di una parte di essa. Non è quindi lui che ammoniamo, ma coloro che in quella legge che ha tutta la grandiosità di un fenomeno della natura vanno cercando argomenti precoci per meschine lotte del giorno. Un'u!tima parola su quello che, a mio avviso, è il terzo prdgio dell'opera del Pareto. Sta quebto nella grande, nella geniale larghezza d1 vedute. In quell'opera si connettono leggi fisiologiche con leggi economiche, con leggi storiche, con leggi sociali, con principii di meccanica. Si legge un'opera filosofica leggendo il Partto. Si legge un 'opera in cui si rivela il concatenamento di tutto le scienze ed in cui la natura riapparisce una alla mente nostra. Chi, fra gli economisti ha saputo fare altrettanto? Bisogna andare indietro ad uno Stuart Mili per trovare una monte di calibro uguale. MAFFEO p ANTALEONI. I baccaristi di"TranbyCroft ,, E il Principe diGallesrede ltronodeiBrunswick I. GLI ANTENATI So non avessi consumato degli anni rn Inghil terra e non avessi letto che i documenti storienei quali sono sdraiati i monarchi della casa dei Brunswick, avrei, davvero una poverissima opinione degli inglesi. Non crederei alla loro superiorità politica e direi che i sedicenti {reeborn Englishmen sono dei megalomani o dei degenerati c!Ìe hanno perduto nel whisky scozzese, la. fierezza e l 'indipendenza dell'Inghilterra. puritana. Non si capirebbe come i discendenti delle generazioni che hanno lottato e patito e versn to ianto sangue per mantenere ineo-

RIVISTA POPOLA.RE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIA.Li lume la supremazia parlamentare e sul trono H modello delle virtù nazionali, siano poi riusciti ad acconciarsi con dei Brunswick - una famiglia di leticoni, di crapuloni, di biscazzieri, di sciupadonne, di men• titori, di farabutti, di ladri, di pazzi di miserabili costly puppets - come li chiamava Bradlaugh. - capaci di qualsiasi vergogna, di qualsiasi infamia, di qualsiasi delitto. Da Giorgio I. a Guglielmo IV.., tu ti trovi continuamente e letteralmente affondato nel fango reale. Sono cento ventitre anni di sozzure, di ignominie, di vi_gliaccherie che ti fanno recere, ti incendiano il cervello e ti strappano caterve di improperii perfino contro questo popolo così grande sullo zoccolo granitico delle sue libertà costituzionali. Sentite se non ho ragione di abbandonarmi all'impreca.zione. Giorgio I. era un bestione che non sapeva neppure la lingua dei sudditi. Baga.sciere, s'ebbe una moglie adultera. Andò alla Corte inglese accompagnato da due prostitute tedesche divenute, in seguito, due peeresses, cioè la duchessa di Kendal e la contessa di Darlington. Fece seontare alla moglie i baci adulteri con trentadue anni di prigione e assassinò il suo amante nel palazzo di Heranhausen. Thacheray riassunse questo mostro reale dicendolo « rigido, egoista, libertino». Lord Chesterlìeld ce lo dipinse come un satiro che procombeva sulla prima donna grassa che gli capitava tra i piedi. Il sentore di grascia lo rendeva foioso. Nelle Memorie della Corte d'Inghilterra di J esse, é detto che Giorgio l « si circondava di odiose prostitute tedesche ». Green lo passò alla storia come « un usciere gentiluomo che cercava sempre denari per lui e per le sue favorite ;,. La sua ascensione volle dire il trionfo della casta protestante. Fu sotto il suo regno che i whig riuscirono ad abolire il Parlamento triennale pel settennale. Giorgio If, figlio del I, odiava il padre di un odio così profondo da non sapersi tt•attenere il risentimento neppure dinanzi il cadavere. Il suo primo atto dopo essere stato salutato sovrano con 101 colpi di cannone, fu di stracciare, in Consiglio, il testamento del genitore. Secondo il Green era nè più nè meno di un sergente istruttore. Lord Hervey scrisse che non si curava che delle femmine e dei soldati. Sua moglie, Carolina, era la donna più depravata del suo tempo. J.=>rocuravale amanti al marito. Lady Suffolck, una delle tante favorite, era dama di onore della regina. Fu Carolina che gli gettò nelle braccia Lady ,valpole, quando Giorgio non era che principe di Galles; come fu dessa che gli condusse nella stanza da letto la contessa di Walmoden. Sir Rober vValpole primo ministro del padt·e e del figlio, non era migliore di questa gentaglia reale. Egli era lieto che il re si valesse di sua moglie. Un giorno che Carolina si doleva con lui del carattere infernale del re, non seppe suggerirle che questo: Fategli conoscere Lady Tankerville ! Giorgio II era orribile. Piccolo, grosso, grasso, con un enorme ventre che gli inghiottiva parte delle gambe. Thackeray, lo mandò all'infamia come « un omaccio stupido con dei gusti plebei ». Padre e madre non potevano soffrire il primogenito. La madre sfogò i suoi rancori materni dicendo a lord Harvey: « Il mio figlio maggiore è il più grande asino, il più grande bugiardo, la più grande canaglia e la più grande bestia di questo mondo, dal quale vorrei che se ne fosse già andato ». Il re, secondo Thackel'ay, era villano, triviale, sensuale. Giorgio III, nipote del II, era un pozzo di nequizia. In pochi anni ridusse il Parlamento « a. un 'ombra ». Il suo sogno era di ave1•enelle Camere legislative il " partito del re » e dei ministri che non fossero che delle schiene. Con lui la Camera dei Comm,i aveva cessato di essere un corpo rappresentativo. I deputati venivano valutati secondo la loro influenza. Durante il suo regno, il Tesoro aveva lo sportello degli onorevoli venduti. In un giomo il cassiere distribuì loro, in tanti biglietti da cinquecento, venticinque mila sterline. Mezzo imbecille, aveva della revulsione per gli uomini di genio. Lungo i suoi sessant- 'anni di tl'ono non sbucano, dalla folla dei suoi consiglieri invertebrati, che due uomini eminenti: i Pitt, uno dei quali, il padre, era esecl'ato. Fox era la sua bestia nera. Non appena lesse il suo nome sulla lista. dei proposti a far parte del nuovo gabinettto, immerse la penna nell'inchiostro, gli passò sopra con un rigone e disse che avrebbe piuttosto abdicato che accettarlo come consigliere della corona. Era nemico implacabile di ogni riforma. Quando gli si diceva che la Camera non rappresentava il paese, perché delle grandi città come Manchester e Birmingham non avevano rappresentanti, andava su tutte le sue furie. L'elettorato era lui I lui che aveva l'impudenza di chiamarsi " un whig della rivoluzione I » Si può dire che la stampa non era nata. Nessuno veva ancora osato affermare il diritto di discutere gli affari pubblici. Questo onore è toccato a John vVilkies, deputato e direttore di quel North Briton che uscì coi commenti sul discorso 1•eale che aveva inaugurato l'apertura del parlamento. Secondo il re e gli amici del re, questo atto di coraggio che preparò la strada 1,forning Chronicle, al Morning Post, al Morning 1-Ierald e al Times, era della sedizione, « perché le sédute parlamentari dovevano rimanere segrete ». Tutti sanno il risultato di questa lotta tra il potere liberticida e il pnbblicista. Il re morì nel 1820 quando la stampa si era conquistato qualche campo proibito e stava per divenire una propalatrice indispensabile ai bisogni della nazione. Taccagno e ostinato, borioso e mattoide, fece perdere alla Gran Bretagna le colonie americane. Pitt il great commone,-, glielo aveva predetto il giorno in cui disse, in piena Camera, di essere « convinto che questo regno non ha diritto di imporre tasse alle colonie. L'America si dice è ostinata! è quasi in rivolta! Sono lieto o signore, che l'America resista I Se fossi americano come sono inglese, 'disse in un altra seduta, e la. truppa straniera sbarcasse sul suolo della mia patria, non deporrei mai le armi! - neve , never, never! Impazzì ufficialmente due volte. Ebbe un codazzo

klVl~TA POPOLARE Dl POLlTICA LETTERE E SCIENZE SOClALI d'amanti. Fu bigamo. Nel 1761 sposò la pri~cipessa Sofia di Mecklenlburgh Strelitz, senza un pensiero per la moglie leggittima, Anna Lighfoot, della quale si sbarazzò rimaritandola con del denaro a un certo Axford. Il principe di Galles, il più inveterato ubb1•iacone di quei giorni, si valeva di questo segreto tutte le volte che era all'ablativo as,oluto. Egli diceva al padre: o i quattrini o ti vendo al pubblico come bigamo! Il ministro ideale di Giorgio II[ era il Conte di Bute - il ganzo della Principessa di Galles vedova. Il Green non vide in questo compiacente gonnelliere che un miserabile cortigiano. < Non era ché la bocca del suo padrone » Il Macaulay lo disse un'altezza ignorante. Phillimore parla di Bute con disgusto. Egli era « una pubblica sventura. > L'armonia della famiglia di questo re che traduceva lo stato sono io, era come quella degli altri Giorgio. Una famiglia di cani e gatti. Composta di persone che si scambiavano invettive che facevano arrossire i grooms. Il fratello del re e il principe di Galles sono rimasti per degli anni senza il bisogno di dirsi good bye. Anche· se assieme, fingevano di non conoscersi. Una volta che la caccia terminò in un villaggio ove non era che una vettura, i primi due se la noleggiarono e frustarono il ca vallo senza punto• volgersi indietro. Il vecchio coronato dovette seguirli a piedi comfortandosi colla banalità dei cortigiani che gli dicevano che avevi\ le gambe di ferro! È morto come un'abbominazione. stramaledetto da tutto un popolo. Giorgio IV fu il _peggiore di tutti. Pe1· degli anni la sua vita di principe non fu che una sbornia. Egli si lasciava cadere sulle gambe o precipitava sul selciato come un facchino di quei tempi. Più di una volta lo si dovette portare al Palazzo completamente alcoolizzato. Spesso era cosi riottoso che i policemen erano obbligati a tenerlo in custodia. Fu il più svergognato dei sottanieri. Egli si fermava sul marciapiade a dare mezze oncie e a dire sudicerie alle misses. Mentre amoreggiava colla Lady Jersey scrisse alla moglie che ne era stufo e che se ne andasse. Il suo rancore contro il padre fu inestinguihile. Una sera un'ex guardia reale fece fuoco sul vecchio Giorgio III mentre stava per entrare nel palco del Drury Lane colla regina. L. erede al trono 1•icevette la notizia a tavola con lady Melbourne - allora allo zenit della bellezza - con una risata. Diede mano alla. bottiglia, ne riempi i bicchieri e invitò a vuotarli col « Beviamo! > Non fu che l'insistenza della lady che aveva paura di uno scandalo, che indusse questo gaglioffo dal sangue reale ad accorrere a congratulare il genitore di essere scampato dal pericolo, Durante gli otto anni di pazzia il figlio reggente non ebbe che parole di disprezzo pel padre e non mise mai piede nei suoi appartamenti. Oh il cuGre reale I Divenuto Giorgio IV, colle campane anc6ra calde dei rintocchi, iniziò ìl suo regno con un'azione da paltoniere. Egli, bigamo, pensò di disfarsi della regina. Pregò lord Liwerpool, il primo ministro, di preparare un bill di divorzio contro la regina e ordinò all'Arcivescovo di Canterbury di omettere dalla liturgia la preghiera per Carolina. Il primo rispose con un rifiuto, il secondo che non era il cardinale \Volsey - si piegò in due. Gran parte dei suoi dieci anni di .regno venne consumata in questa bega. Il popolo fu per la regina. I pa1•i, con una presenza di 207 lordi la condannarono come adultera, con nove voti di maggioranza. L'infedeltà della regina consorte in Inghilterra è un delitto di alto tradimento. Giorgio avrebbe potuto farla consegnare al boia. Ma la na• zione era contro il re. La nazione sapeva che il re aveva sposato Carolina mentre viveva la Fityherbert, la ~prima moglie. La nazione lo aveva veduto, ammogliatò, passare da una mantenuta all'altra. E la nazione lo vide anche durante il processo, proprio quando si presentava al pubblico come un marito oltraggiato, sottobraccio a lady Conyngham, la sua ultima sgualdrina. Carolina morì di crepacuore Il re, saputolo, non ebbe che questa frase: 1.'his is one of the happiest day of my life - questo è il giorno più felice della mia vita! Porco. 1t rimasto nella storia una lurida figuraccia. Da ogni pagina esce' il dissipatore, il dissoluto, lo sfrontato. Fu infedele colle donne e bugiardo con tutti - anche col suo intimo amico Charles Fox, il quale, in buona fede, andò alla Camera dei Comuni a smentire, sulla sua parola d'onore, che il principe di Galles fosse mai stato ammogliato colla Fitzherbert ! Ferocemente inumano. Voi l'avete veduto minacciare il padre di portare in piazza la sua bigamia e disonorare così la propria madre, la Lightfoot, madre di questo sacco di melma reale. Come tutti i Giorgi, cacciò tra i pari del regno la feccia delle sue amanti. Il marito della sua àmasia Cunyngham divenne lord Charles Mount I Il figlio di questa coppia, groom della camera da lelto di sua maestà I Il vizio indemoniato di bere non lo lasciò neppure coronato. Sbarcò a Dublino, sorretto dalla Cuniyngham. Non poteva più reggersi sulle gambe. He was in the last stoge of intoxication. E questo, dice Bradlaugh, era un re d'Inghilterra I Bucle si occupa della « bassezza di questo bonzone di materia purulenta » con ripugnanza indicibile. Fu un re ladro. Trafugò per circa ottantamila sterline di diamanti che servirono alla sua incoronazione. Questa proprietà della corona venne disseminata sul seno delle sue favoured mistresses. In un paese ove la magistratura e il foro non sono alla mercè della ingerenza regale o governativa, Giorgio IV, ebbe l'impudenza di privare della toga lord Brougham, per punirlo di avere difesa la regina con un arringa immortale! Coi denari dei contribuenti era di una prodigalità inaudita. In dieci anni di regno costò loro più di 16 milioni di sterline I Per contentare le sue amanti fece delle alterazioni al Castello di Windso1• - la residenza massima della monarchia britanna - che superarono la spesa di 900.000 sterline. Il padiglione che fece costruire a Brighton, per godersi la marina colle sue drude, venne pagato dalla cassa dello stato venticinque milioni di lire. Il famoso Cottage, ove egli si sfogava con delle orgie carnali ributtanti, venne scontato dai buoni sudditi con mezzo milione di sterline I

RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIAl I 371 Fuori dtll puttanesimo, Giorgio IV era di una ava• rizia sorda. Avrebbe leticato sul settimanale di uno dei suoi guatteri. Nessuno dei ·suoi domestici si ebbe mai il regalo di un gilet sdruscito o di un paio di calzoni chiazzati di untume. I suoi abiti buoni o sfilacciati venivano consegnati al guardarobiere perchè li custodisse gelosamente nella guardaroba. Morto lui si trovarono tanti panciotti, tante giacche, tanti soprabiti, tante tube da far sganasciare dalle risa tutto il servidorame di Corte. Vennero venduti in blocco per 3i5 mila lire. . Green semb.ra abbia avuto vergogna di sciupare dell'inchiostro per questo maiale del trono: Egli si è limitato a dire due parole sul bill di divorzio e ad aggiungere che il dison:ore della famiglia reale e l'impopolarità del re aumentarono il malcontento della nazione. Il Torrian scrisse che la vita puttanesca di Giorgio IV era notoria e che il re non si curò mai di celarla. Passò all'altra vita disonorato e detestato. Sul suo nome vile scese rapidamente e silenziosamente l'oblio I ! Il Molesworth chiude un volume della sua storia , dicendo che, tutto sommato, Guglielmo lV < fu uno dei migliori e se non il più prudente, almeno uno c!'3ipiù utili monarchi che siano stati sul trono inglese ». Può darsi. Perché noi abbiamo veduto, con un riassunto telegrafico, che i Giorgi erano dei ma• landrini o dei hricconi sfuggiti alla servitù penale o alla esecuzione del carnefice solo perchè erano protetti dalla reggia o perché i discendenti di coloro che avevano compiuta la tragedia del 30 gennaio 1649, erano ancora storditi dell'audacia dei loro antenati o annegavano i loro dolori patrii con delle golate di whiskies e delle pinte di bitter e di stout. · Poi non dobbiamo dimenticarci che se la stampa, sotto i Giorgi, non esisteva che di nome, nel 1830 essa si faceva sentire in tutte le manifestazioni della vita. l quotidiani in allora si moltiplicavano, divenivano più intellettuali, si diffondevano con tirature sbalorditive, esercitavano un 'influenza indiscutibile sui problemi che agitavano il paese e sopravvivevano a quel macigno in forma di bolla, che il fisco si ostinava a mantenere loro in testa. Non è dunque che Guglielmo sia stato il migliore o il più utile dei Brunswick. E' che la stampa era spoppata. E' che il giornale si era già conquistato il diritto di critica. E' che il re e il Parlamento non potevano più infischitrsene dell'opinione pubblica. E' che la pubblicità che si dava agli avvenimenti impediva di essere impunemente ribaldi come prima. E' che il regno era già alle porte di un suffragio allargato - il che voleva dire, in quei giorni, una rivoluzione politica. Tanto è vero che Guglielmo dopo soli due anni di regno confessò il suo orrore per questa stampa che si occupa va di tutto, perfino delle cose di Corte !Egli se ne doleva col suo segretario privato dicendogli che la disprezzava e che la considerava il < veicolo di tutto ciò che è falso ed infame >. Anche la sanzione alle riforme del suo regno non fu mai così spontanea come taluni hanno tentato di far c1·edere. L'opposizione di Guglielmo IV non era certamente imperativa con1e quella di suo padre Giorgio terzo, il re che chiuse il ciclo della monarchia legislatrice. I,a sua era un'opposizione noiosa che rivelava l'intimo pensiero reale. Era un'opposizione da pusillo. Un'opposizione che protraeva, che faceva nascere dei dubbì, ohe voleva consultare e che non si ritraeva che invasa dalla paura di perdere il trono. Costretto ad accettare il verdetto della ~azione, prendeva la penna e diceva al primo ministro che lui non era come Guglielmo terzo che firmava ogni cosa che non approvava I Quel po' di popolarità che lo segui sul trono e che non lo abbandonò che qualche mese dopo l'incoronazione, era dovuta a cause indipendenti dal re o a delle inezie. Tra le prime signoreggiava la morte del fratello. Sno fratello era sceso nella tomba come un tronco di peste, inseguii o dalle esecrazioni di tutte 18 classi. Il popolo per non infuriare contro un cadavere, come ave~a fatto l' aristocrazia di Carlo II contro quello del Protettore, volle manifestare questi suoi sentimenti con degli applausi pel nuovo venuto. Peggio dell'altro, si dicevano i sudditi, non potrà essere. Tra le seconde primeggiava l'andazzo dei sovrani di non farsi mai vivi tra la gente che nelle grandi occasioni, quando andavano in processione nel tiro a sei, tramezzo a un nugolo di guardie reali. Guglielmo uscì dal binario della tradizione, andando attorno a piedi e in carrozza scoperta, di qualunque ora. I cittadini che lo guardavano tirandosi giù il cappello, le signore che lo salutavano con un cenno della testa o con un inchino e i ragazzi che di tanto in tanto si abbandonavano al viva il re I solleticavano il suo amor proprio. Gli spettatori dicevano: I like the new king - mi piace il nuovo re. È simpatico. Non ha paura di noialtri. Long li'ce tke king - viva il re I Una sera la moltitudine che assiste, anche d'inverno, alla sfilata dei signori che vanno a teatro, irruppe perfino nelle acclamazioni di viva il nostro re glorioso ! Ma non c'è che la Martineau che pcssa prendere questa'pow polarità volgare e piazzaiuola per dell'entusiasmo vero. Si, lo so. C' è stato un momento in cui riuscì a popolarizzarsi un pochino sul serio. Ma non fu anch'esso che un fuoco di paglia. li re incominciò, appena sul trono, a far sapere in pubblico che la pompa solenne dell'incoronazione era stata spinta, dai suoi predecessori, all'assurdo I I contribuenti lo appia udirono a due mani. Poi aggiunse che bisognava ridurne lo sfarzo e tagliarne le spese. E la nazione andò alle cancellate del Palazzo di Buck.ingham a gridare, come prima, viva il re! Guglielmo IV che aspirava al titolo di padre della patria, o di padre del popolo, rinunciò anche al banchetto spettacoloso che si sarebbe dovuto dare in W estminster. E il re non poteva più passare per le vie senza lavorare di cappello perché lo salutavano tutti con entusiasmo. Al pranzo reale che commemorava l'incoronazione - al quale erano stati invitati i ministri - disse parole che commossero il regno, non 11.bituato a gentilezze regali dai tempi di Elisabetta. Egli volle far credere che lui e il popolo erano una persona sola. Che era inutile il

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