• RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI 285 intenda la identità della morale colla politica? ... No. Non avete voi, come noi, due dannazioni; la dannazione religiosa inflitta dal prete e la dannazione _ sociale inflitta dal giudice ? O gran popolo d'Italia, tu sei simile al gran popolo di Francia. Ahimè, fratelli nostri, voi siete, come noi, Miserabili! » - Sembrano parole scritte ieri, scritte oggi! Ma non voglio insistere perchè è un'altra frase che, rileggendo la lettera, mi colpiva; questa, « Poche nazioni sono rose più profondamente dell'Italia da quell'ulcera dei conventi eh' io cercai di studiare~. Era vero nel 1862 ed è vero, purtroppo, anche nel 1897, dopo tante discussioni, tanti decreti e tante leggi ! I conventi sono più floridi e numerosi di prima e siamo a questo che, per rifarne uno si trovano subito i quattrini a centinaia di migliaia, ma per aprire una scuola non si trova la metà di un centesimo. Il denaro è conservatore, anzi volentieri retrogrado e se un progresso qualunque, di fatto o di pensiero, batte alle porte, eccolo gridare aiuto ed invocare le guardie gentilmente concesse o i giudici compiacenti interpreti di leggi spesso eccezionali. Di tanto che siamo progrediti, rinciviliti e migliorati in sette faticosi e lacrimosi lustri! Qui, a Bologna, l'Università muore dianemia e nessuno la soccorre, ma son tornati i Gesuiti che dal primo regno d'Italia in qua non vi avevano aperto più casa. I Gesuiti, non so, ma forse dei quattrini ne troveranno; certo l'Università non ne trova e questo è il bel progresso che abbiamo fatto. E rileggendo l' amara lettera del poeta e fa. cendo queste malinconiche riflessioni, ritornai col mem0re pensiero all'ultimo giorno di luglio del '91, giorno sereno, lieto, pieno di sole e di gaudio, in cui con mio figlio, allora quasi bambino, salivamo a piedi e cantando la dura strada che conduce al convento della Verna. Avevamo percorsa, così pedestri, la Romagna toscana risalendo la valle del Montone e visitando i luoghi che Dante ricorda; indi, calati a San Godenzo, avevamo valicato la Falterona bevendo alla fonte del!'Arno, per calar poi in quel delizioso Casentino che da Stia a Bibbiena è tutto un paradiso di verde, di fresco e di festiva urbanità. Ma anche qui, quanti frati! A Camaldoli, bianchi, silenziosi ed oziosi i Camaldolesi. A Strada, appiattati in una valle poco nota, i Gesuiti con un collegio magnifico. A Pratovecchio due conventi di monache. A S. Maria del Sasso i Domenicani. Da per tutto, se non il frate, il suo ricordo, a Vallombrosa, a S. M. delle Grazie, a Poppi, a Strumi, a Fronzola, a Certomondo a Badia Prataglia, a Talla. I luoghi piu belli, o più ricchi, o più sicuri erano dei conventi. Ed ora salivamo per raggiungere il crudo sasso intra 1'evere ed Arno che è come il Calvario dell'ordine francescano. La via è erta, sassosa ed arida. Oltrepassata S. M. del Sasso e attraversato il Corsalone, c' è un po' di adulazione nel chiamarla strada. Qualche quercia frondeggia solitaria, malinconico ricordo delle selve distrutte, e il paesaggio ha un aspetto triste e desolato che contra5ta con la ridente ubertosità del Casentino. Alla Beccia, poco sotto al monastero, si trova una osteria che, per la sua modestia ricorda le consorelle dei monti della Sabina e dove vedemmo la cagna più magra che abbia vissuto mai, credo, in Europa; fenomeno di osteologia animata, prova meravigliosa della resistenza della vita nei quadrupedi addomesticati. E di lì salimmo al convento. La Verna è come un' amba, cioè un monte tagliato a picco in ogni parte fuorchè in un esiguo istmo dal quale si accede al piano che è come la faccia superiore di questo immenso dado di macigno. Presso all'istmo è il convento che, da lontano, pare attaccato, incollato alla rupe, ed il piano dell'amba, inclinato e boscoso, non si vede se non entrandoci. La parte rocciosa è orrida, la selvosa amenissima e tutto l'insieme ha un non so che di strano, di violento, di imponente che costringe al1' ammirazione. Ma i frati guastano un poco. Dice la pia leggenda che S. Francesco, giunto qua sù, fu accolto dagli uccelli accorsi a salutarlo col loro canto e che egli li ringraziò e benedisse. lo non c' ero e non posso dirne nulla, ma pure la leggenda ha quella certa poesia delicata che alita spesso nelle origini francesi. I frati hanno eretto una piccola cappella sul presunto luogo del miracolo, a pochi passi prima dell'ingresso e da una finestrella dell'uscio ci fanno vedere un S. Francesco, non so se di gesso -o di legno, ma tutto lustrato e verniciato, in atto di benedire pochi passeri e balestrucci impagliati, quasi spennati e pendenti con un filo dal soffitto. Adelio poesia della leggenda! Però c'è la cassetta per le elemosine e il visibile spettacolo è destinato, a quanto pare, a promoverle numerose ed abbondanti. E non solo qui, sull'uscio, i frati hanno sciupato la leggenda poetica e buona. Da per tutto hanno voluto ficcare il ricordo, anzi la prova apparente del miracolo, come Sasso e cc.,me in quella incavatura della rupe, la quale, quasi cera molle si sarebbe aperta pel santo minacciato dal demonio e ne conserYerebbe l'impronta; e l'inevitabile cassetta apre la larga bocca che sembra ridere ad ogni soldone che ingoia. Il convento offre l'ospitalità per tre giorni gratuitamente. S'intende che ciascun ospitato sente l'obbligo di galantuomo e si sdebita con elemosine; ma spesso volere non è pote1·e e lasst1 capita anche gente che non può. Sono perciò due le fore-
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