Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno II - n. 11 - 15 dicembre 1896

214 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI Il " LORENZACCIO ,, delDeMusset. Per la prima volta s'è rappresentato a Parigi l'unico grande dramma che abbia scritto il De Musset: Lorenz-accio. Sarah Bernard ritornando, nella maturità del suo talento, al travesti che le riuscì così bene da principio, quando incarnò Zanetto di Francesco Coppée, à creato l'eroe del dramma. L'impresa non manca di ardimento. Strano lavoro di fatti, questo del De Musset. È rotto in molte scene tra le quali il poeta non s' è preoccupato di stabili1•e un legame. In un solo atto non e' è meno di undici quadri staccati, scuciti, in apparenza. Ecco un bel da fare a mettere in scena. L'opera fu concepita nel 1832, durante il viaggio che il De Musset fece in Italia con George Sand, famoso viaggio che ebbe sul dtstino e sul genio del poeta un'azione così decisi va: fu allora infatti che l'amore, la bellezza del paese, la sofferenza fisica e morale scossero fortemente la sua anima e aprirono in lui le fonti dell'emozione profonda. Giunto a Firenze fu come rapito: si diede a ricerca1·e i musei e le cronache, sbozzò tre o quattro poemi; come dice suo fratello, « son génie prenait le mors aux dents » e così Lorenzaccio nacque tra una febbre di lavoro. Fu scritto rapidamente, e divenne - cosa inaspettata - la causa della prima quistione fra i due amanti. C' è da credere che si sieno lasciati trasportare dalle meschinità della gelosia letteraria? PHt veramente, fu tra i due esseri così diversi, l'urto involontario e brusco di due concezioni opposte della vita e dell'arte, il sintoma rivelatore del divorzio intimo che doveva rompere la loro effimera unione. Mus,et, uomo di mondo, dandy, divideva i gusti e i pregiudizi della « jeunesse dorée », egli guardava dall'alto le aspirazioni popolari, fiero di essere gentiluomo, sicuro di appartenere a l'élite, felice di contare fra i privilegiati; aveva per la folla una pietà sdegnosa. Profondamente pessimista, scherniva i sogni umanitari, e quasi non ammetteva che si potesse avere interesse per della gente mal messa, rozza, impastata d'ignoranza e di volgarità. George Sand, ella, viveva nell'angoscia del problema sociale. Credeva, fortissimamente, a un avvenire migliore per l'umanità sofferente. Pensava ai modi di lenire ed anche di sopprimere la miseria, e involgeva d'una simpatia tenera e quasi materna i deboli e i derelitti. Trascinata da un ottimismo generoso e candido sforza va il suo talento e la sua energia a mettere nel mondo un po' piit di giustizia e di felicità. Come, questi due spiriti, questi due caratteri così diversi avrebbero potuto fare a non urtarsi? Come mai Loren:::accio, specialmente, avrebbe potuto non dispiacere alla grande romanzatrice? Non é forse Lorenzaccio un elixir di misantropia, una quintessenza di amarezza, una storia che conclude al nulla d'ogni cosa: della gloria, della virtù, della abnegazione, della stessa speranza, c che finisce logicamente con un vero suicidio? * * * È noto il soggetto del dramma ; io lo rammento in poche parole. Si è nel 1537, a Firenze. Alessandro De' Medici, imposto alla sua città natale dal!' Imperatore Carlo V, à preso il titolo di duca e regna da tiranno, sorretto com' è dalla forza brutale della guarnigione tedesca. Ebro del suo potere si immerge nei vizi, si compiace nei delitti, è il Jiagello della sua patria. Allora, un suo cugino, un giovane, Lorenzo o Lorenzino, concepisce il disegno di essere il liberatore di Firenze: di diventare un novello Brutus. E come l'inimico dei Tarquini, per ingannare i sospetti e per liberare Roma si finse folle, così Lorenzo per esser vicino ad Alessandro, per addormentare la sua diffidenza e poterlo uccidere sicuramente, diventa il ministro de' suoi piaceri, il compagno delle sue orgie, il servo de' suoi capricci. Lorenzo per ciò diventa Lorenzaccio. E quando a furia di bassezze egli s'è guadagnato il disprezzo e la confidenza del duca, conduce questi una notte nella sua camera e l'assassina. Però, Firenze è troppo corrotta per profittare della morte del suo padrone: la Francia, la Germania se la disputano come una preda ; i cittadini non sanno organizzarsi, rendersi liberi e Lorenzo, eh' è fuggito a Venezia, si lascia uccidere senza opporre resistenza, poi eh' egli è disgustato di ogni cosa e di tutti: di sè stesso e di coloro per i quali egli à creduto di laYorare. Si vede il duplice interesse del dramma. Da una parte è uno studio : il quadro vivente d'una repubblica che agonizza, d'una società come fradicia nella quale c coraggio ed energia e amore del!' indipendenza non possono più ridestarsL D'altra parte è uno studio psicologico: l'autore mette in piedi un essere eccezionale, una sorta di eroe decadente, un Brutus nevropatico una specie di fanaticc senza fede, di anarchico senza speranze che à intrapreso la sua opera di giustizia con entusiasmo, che la compie per orgoglio e che avendo fatto senza risultato quel che s'era giurato di fare non à più ragione di vivere. Lo studio storico accurato e solido fa rivivere un angolo di quell'Italia della Rinascenza che fu così brillante e cosi rammollita. Musset à saputo risuscitare Firenze morente, feconda ancora di grandi artisti, elegante, raffinata, conservante del suo glorioso passato tradizioni e velleità di libertà, ma impotente di volere risolutamente, resa ignave nell'abitudine del lusso e del benessere, rassegnata a lasciarsi asservire e calpestare. Personaggi, costumi, sentimenti, è tutto dell'epoca quello che l'autore à scelto, tutto fino all'idea di codesta cospirazione calcata sull'antichità, fino a questo plagio di Brutus. Una prova? Si pensi a' tre giovani milanesi che vollero liber,1,re la loro patria dalla tirannia di Galeazzo Sforza : si esercitavano fra loro alla scherma di pugnale con delle armi spuntate preparandosi conscienziosamente all'uccisione; prendevano per modello Harmodio e Aristogitone, i liberatori di Atene, e riuscirono come Loren- :::accio a colpire il tiranno, ma due di loro morirono

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