RI'VISTA.POPOLA.REDI POLITICA.LETTERE E SCIENZE SOCIA.LI * * A parte il danno materiale, eh' è stato enorme in questi undici anni, ciò che ci nuoce è la disfatta morale che ci ha procurato la politica coloniale. E non alludo a quella perdita morale che consegue e deriva da una battaglia perduta e di cui è facile rilevarsi ; alludo, bensì. alla disfatta morale che abbiamo subito nel confronto tra l'Italia e l'Abissinia: per accortezza, lealtà, sincerità, sobrietà di linguaggio, fortezza di atti ed equanimità è innegabile che i nostri avversari si sono chiariti e provati di gran lunga superiori a noi. Questa sconfitta che i barbari infliggono ad uno stato che si crede civile deve formare il nostro rammarico. Abbiamo bisogno di una rivincita ; ma non è la guerra, che può procurarcela: ci · potrà venire soltanto dalla nostra riforma interiore, che deve cominciare dalla perfetta conoscenza cli noi stessi, che dobbiamo acquistare. In quanto alla rivincita armata e violenta non è d'uopo spendervi molte parole. C'era il giudizio del Generale Primerano - altra volta qui i'iportato - che escludeva la possibilità di una nuova guerra per lo stato di disorganizzazione e d' impotenza in cui si trova il nostro esercito, lo ha completato l'amico Guglielmo Ferrero col suo eccellente articolo nel quale espose le ineluttabili ragioni psicologiche, che resero inevitabile il disastro di Adua. La diserzione degli Alpini - le truppe scelte destinate all'Africa - e lE, loro dichiarazioni di Poschiavo dovrebbero aprire gli occhi ai ciechi guerrafondai sullo spirito dei soldati. La verità indiscutibile è che all'esercito mancava in Africa la forza morale: quella forza morale che a giudizio dei più grandi capitani - da Federico II a Napoleone I a Garibaldi - costituisce il primo fattore della vittoria; quella forza morale che spiega e irradiò l'epopea garibaldina. * * ll trattato cli Adis Abeba fu quale poteva essere, migliore di quello che potevamo attendercelo e a Re Menelik dobbiamo riconoscenza inoltre non per le condizioni fatteci, ma per averci risparmiato un pericolo : quello di cedere i prigionieri al papa. Chiusa la prima fase della potitica coloniale nostra con tale trattato noi dobbiamo tirare le somme e vedere ciò che ottennero coloro, che ne fu- !'Ono i promotori. Volevano distrurre l'indipendenza dell' Etiopia; volevano dare l'aureola della gloria all'esercito ; volevano dare una corona imperiale a Re Umberto. Ebbene a che ne siamo ? Ad avere conseguito fini perfettamente opposti. In quanto all'Abissinia si lasci la parola ad un giornale guerrafondaio per eccellena, che ha scritto ali' indomani della pace": Venti ani fa Menelik era un povero diavolo di capo-tribù, che andava a svegliar rJecchi la notte per farsi imparare il meccanismo di un fucile. Noi gli abbiamo dato le armi ; Gli abbiamo dato l'impero ; Gli abbiamo dato la vittoria; Abbiamo riconosciuto l'indipendenza del suo paese. Il capo-tribù è divenuto il sovrano d'una grande potenza, la quale ha preso il posto del!' Italia. Proprio cosi! Ma la verità non è stata detta che a mezzo ; il resto sta qui: Crispi il grande creat01·edi pat1·ie, scovò Menelik, lo armò e lo incoraggiò e lo fece conoscere all' Europa durante il suo primo ministero. Crispi durante il secondo per liberarsi lui dall'incubo della quistio~e morale che lo inseguiva inesorabile, somministrò la occasione al Re Barbaro di divenire potente e temuto. Questo primo risultato fa intendere quali poterono essere gli altri. L'esercito aveva ardente desiderio di rifarsi la gloria perduta a Custoza; ed ebbe Dogali, Amba Alagi ed Abba Carima. Si voleva dare lustro alla Monarchia e le si tolse ogni prestigio : fu Crispi a telegrafarlo a Baratieri. Si volle dare una corona imperiale a Re Umberto e colla solita imperdonabile leggerezza e fatuità dei passati governanti glie l'assegnarono sulle medaglie commemorative delle campagne d'Africa. Ma di quella corona il Re non potrà dire: Dio me l'ha clata, guai a chi la tocca! Essa non fu mai vera; e se vera fu, oggi si è tramutata in una corona di spine. La lezione e' è stata per tutti ! Dr N. CoLAJANNI. P. S. - Correggo le bozzedi stampa all'indomani del primo giorno della discussione delle iuterpellanze sull'Africa e sento il debito di rilevare che fu davvero esauriente la dimostrazione fatta dall'on. Luchino Dal Verme sull'impossibilità dopo Abba Garima, nella primavera scorsa, di ricominciare la guerra per prenderci Adua quale mezzo per costringere Menelik a restituirci i prigionieri. Lo stesso oratore dimostrò con dati e cifre inoppugnabili che una nuova guerra contro l'Abissinia ci sarebbe costata un miliardo e mezzo e quattro anni di preparazione. Questi dati e queste cifre vennero somministrati da uno dei migliori nostri generali. ~· ' . ' . ' ""' La Rivista Popolare di politica lettere e scienze sociali, si vende anche a numeri separati al prezzo di Cent. 30, il fascicolo. La Rivista Popolare di Politica Lettere e Scienze sociali esce il 15 e il 30 d'ogni mese, in fascicoli di 20 pagine in 4 ° grande.
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