182 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI quattordici milioni si comprende che l' aumento di un altro milione nelle condizioni presenti nostre sarebbe stata una enormita. E si spiega l'atto del Re. L'apparente generosità non è in fondo che una misura di prudenza nello interesse delle istituzioni. Ma se il Re restituisce con una mano ciò che prende coll'altra perchè quel disegno di legge presentato dal Presidente del Consiglio? La ragione è chiara: lo Statuto lo prescrive tassativamente! Per non fare sentire ai contribuenti in modo sgradito le conseguenze del matrimonio del P~incipe ereditario, quindi, si è dovuto ricorrere ad una piccola menzogna convenzionale e stabilire una piccola partita di giro nel nostro bilancio. Alla buon' ora: i ministri del Regno d' Italia si sono rammentati in questo caso che c' è uno Statuto da rispettare ! Senonchè il giochetto, la menzognetta può nascondere dei pericoli: la partita di giro può essere insidiosa. Infatti l'appannaggio di un milione al Principe rimane consacrato da una legge, e il milione ver1'à pagato ogni anno puntualmente - in oro e senza detrazione di ricchezza mobile. E se il Re obbliasse - honny soit qui mal y pense ! - la promessa sua annuale restituzione? C'era un modo spiccio e semplice per conciliare capra e c\l,voli, per mettere di accordo il rispetto dello Statuto col desiderio di non rendersi odiosi al popolo diminuendogli la razione di pane, per provvedere sfarzosamente al mantenimento della famiglia dell'Erede del trono; presentare cioè contemporaneamente il disegno di legge dell' appannaggio ed un altro col quale il Re rinunziava ad un milione della lista civile. Noi siamo sicuri che se ciò non si fece si fu per semplice dimenticanza e che il Re per eliminare ogni irriverente sospetto sulle sue buone intenzioni farà fare una errata c01·rige alla seduta del 30 novembre: rinunziera ad una buona parte della sua troppo vistosa lista civile. Così si rientrerebbe nella realta e ci avvicineremmo alla giustizia, per quanto a passo di formica. Questa rinunzia ad una parte della lista civile è stata troppe volte annunziata dai monarchici zelanti; ora si presenta propizia l'occasione per tradurla in fatto. LA Rt\'lSTA Per mancanza di spazio siamo costretti a rinviare al numero prossimo la risposta all'articolo di Merlino •• Democrazia e Sotiialismo ,, pubblicato, nel numero passato, in questa Rivista. LIQUIDAZIONE COLONIALE. Della pace conclusa tra il Re d'Italia e il Re di Etiopia per ragioni indipendenti dalla mia volontà - che si riassumono nell'epoca della pubblicazione della Rfrista - arrivo a parlare in ritardo qui, dopo che i giornali quotidiani hanno, come suol dirsi, esaurito l'argomento. Ciò non ostante me ne intrattengo per procurarmi una legittima soddisfazione, e per mettere in sull'avviso i lettori della Rivista su ciò che ci riserba l'avvenire in Africa per trarre utili insegnamenti dal passato e indicazioni opportune pel futuro. Oggi nelle classi dirigenti si contano numerosissimi gli avversari della politica coloniale a base di violenza e di conquista militare. Ma del senno di poi son piene le fosse; sia dunque consentito a me che da undici anni combatto contro la <lisa strosa e scellerata intrapresa africana, nella Camera e nei libri, nelle riviste, nei giornali e nei comizi, di ammonire gli avversari del partito repubblicano ad essere più cauti per lo avvenire nel trattarci da utopisti ( 1). In questa occasione, come in cento altre, la ragione, l'avvedutezza, il senno politico stavano dalla parte nostra : i fatti lo hanno dimostrato. Nè la discussione oggi ba valore retrospettivo soltanto, perchè s'illudono - e vorrei ingannarmi - coloro che credono, che verremo via dall'Africa o che ci ridurremo al semplice possesso di Massaua, ritornando al trattato Hewett. Quest'ultima ipotesi sarebbe la meno dannosa se ,realizzata: soddisfarebbe - in misura omeopatica - la nostra vanita con poca spesa e con pochi pericoli. In quanto agli utili probabili sono fantastici e lo dimostrai nel mio libro sulla Politica coloniale. Se, come si asserisce, ci sono grandi ricchezze nel Sudan o nell' Harrar, esse non prenderanno mai la via di Massaua. Al nostro scalo nel Mar Rosso non sarebbe destinato che il commercio del 'l'igré, ricco di ambe brulle e desolate. Ma il possesso di Massaua ci indurrebbe ad una ripresa della guerra contro l'Abissinia? Non lo credo. I politici matti e delinquenti non pullulano facilmente anche tra le nazioni smemorate e degenerate; e dalle follie nuove, se conserveremo un briciolo· di buon senso, saremo trattenuti dallo (:) Nel 1885 appena cono~ciuta la spedizione per Massaua iniziai una vera campagna contro la nostra politica colonie.le nel Fa,cio dtlltt Demoe,.azia. );l'el ISSGdurante l't1gitazicne elettorale in diversi discorsi tenuti nella provincia di Caltanisetta e a Sciacca la combattei i tornai a combatte1·la nelle conferenze di Fa,.nza a di Firenze nel lf'Si e nei <liRco..si eleuorali cli Palc1·mo, cli Catania, di Girgenti e di Caltanise11n nel 1890. :scii' Epoco, nel Secolo e nel Me,saggero ~astenni val'ie pclcmiche contro l'intrapresa africana - una vivacis sima contro Ja T,•ibuna; e i miei convincimenti incrollabili e documentati ir articoli pu;,hlieati nella Nouoelle Jleoue di Parigi, net Kleine.Journal di Berlino nella Die Ztit di Vienna e in un libro pubblicato in Palermo nel 1892, La politica Coloniale. Editore Clauaon.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==