RIVISTA POPOLARE DI POLITICA. LETTERE E SCIENZE SOCIALI 191 « e per baliste e catapulte quando si tratta di as- « salire quelli degli altri ». Da queste sue parole s' intravvede già in quale conto egli. tenga i lavoratori della terra, la cui importanza egli compendia in un' ottava del suo Don Chisciotte siciliano. Ma lasciamo la parola al poeta che in questo brano si mostra sommo igienista, che sa conoscere la causa vera della fiacchezza dei lavoratori, e da economista filantropo addita la iniqua ripartizione dei prodotti. Egli .. scrisse: « La forza scende ai muscoli dai buoni alimenti, « presi in dose sufficiente e ben digeriti dalle cor- « porali fatiche; queste sono necessarie, è vero, « alla buona salute e alla robustezza del corpo, « ma devono essere da quelli precedute: se s' in- « verte quest'ordine, e specialmente se mancano i « buoni alimenti tu.tto va male; i muscoli non reg- « gono alle fatiche ed il corpo per esse si demo- « lisce. Ubi f ames, dice Ippocrate, non oportet « labo1·are. Non solo si deve badare alla quantità « sufficiente degli alimenti, ma alla qualità simil- « mente. Un uomo, che si è sfamato con le sole « erbe, trovasi molto debole. « I più sani alimenti sono le carni, il pane, gli « uovi, il latte, i caci, i vini, i legumi, le radici « e i frutti farinacei, come le castagne etc. Tutti « questi prodotti, e queste derrate colano nelle « città somministrateci dalla terra, mercè i sudori « e le fatiche de' Bifolchi, e dei Villani; e pure « questi disgraziati benefattori, sono i soli, che ne « assaggiano o poco o niente : e si può dire di « questi infelici : « Sic vos non vobis fertis aratra boves, « Sic vos non vobis mellificatis apes, « Sic vos non vobis nidificatis aves, « Sic vos non vobis veliera fertis oves. « Frattanto il ceto cittadinesco sedicente civi- « lizzato e siffattamente dalla dominante corruzione « affascinato, che non vede, nè conosce l'enorme « ingratitudine, che esso usa verso de' suoi veri « benefattori, a segno che l'Autor del Don Chi- « sciatte siciliano. temendo di tirarsi addosso l'in- « dignazione del- secolo col far palese questa per « lui umiliante verità, fu costretto di metterla in « bocca del suo stravagante Eroe: « Vui autri Picurara e Viddaneddi, « Chi stati notti e jornu sutta un vausu, « O zappannu, o guardannu picureddi, « Cu l'anca nuda, e cu lu pedi scausu, « Siti la basi di città e casteddi, « Siti lu tuttu, ma 'un n'aviti lausu, « L' ingrata Sucietà scòrcia e maltratta « Ddu pettù, chi la nutri, ed unni adatta ». La importanza del contadino, per il quale la società si mostra tanto ingrata, viene meglio segnalata da queste frasi : « Si può asserire senza tac- « eia di esagerazione, nè di maldicenza: che la « perdita o la morte del più miserabile bifolco « porta più danno allo Stato di quelle di cento « Paglietti, Baroni, Medici, Razionali, Secretari etc. « e la ragione ne è evidentissima : giacchè tutti « questi consuman_o,e perciò scemano i viveri, e « le derrate dalla massa universale, quello ne som- « ministra e ne ripone alla medesima ». Non si direbbe che l' idilliaco poeta sia stato un sobillatore degno di ammonizione e di domicilio coatto? Giovanni Meli che conosceva le tristi condizioni dei lavoratori della terra e sapeva apprezzare la utilità e le benemerenze, aveva chiara la visione dei provvedimenti che sarebbero riusciti adatti a rilevarne le sorti e perciò consigliava di : obbliga1·e i g1·an possidenti dei fondi agrari a cursire o a {ar delle lunghe gabelle dei medesimi e vari individui· Un secolo fa, adunque, non si pensava diversamente da quanto si pensa dai politici avveduti per. ovviare alle conseguenze del latifondo; ma il provvedimento è ancora un pio desiderio. E tale rimarrà se i contadini non sapranno far comprendere alle cla~si dirigenti, che essi vogliono energicamente che la terra torni a coloro che la lavorano; che la terra almeno serva· a sfamare coloro che la fanno produrre. SICULO. IL RE. Gli antichi lettori della Rivista, che ne conoscono il programma repubblicano-federale si saranno accorti, che noi pur costatando e deplorando le flagranti e ripetute violazioni della costituzione non abbiamo mai fatto risalire la responsabilità degli atti illegali al Re proclamato irresponsabile dallo Statuto. Crederemmo di venir meno al nostro dovere se continuassimo nel riserbo in cui sinora ci siamo mantenuti. Ad uscirne ci spinge la convocazione della Camera pel 5 Marzo, che ai più sembra atto lodevole che fa rientrare il governo nell'orbita della legalità ed in sostanza non è che una gherminella che riduce il nostro regime parlamentare ad una farsa in~ecente. Non occorrono lunghe dimostrazioni per giustificare il nostro modo di vedere. I senatori e i deputati onesti e indipendenti in una a quella microscopica parte del paese che può pretendere di reppresentare la nostra fiacca opinione pubblica protestarono contro la proroga del 21 Gennaio e reclamarono la riapertura delle Camere, che riuscirono ad imporre per mezzo dell'enigmatico Saracco. Se fosse lecito, prendendo alla lettera lo Statuto, tenerla chiusa quando l'Italia si trovò impegnata in una vera guerra, fu discusso nel numero precedente; che fosse doveroso riaprirla dal punto
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==