Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno II - n. 10 - 30 novembre 1896

190 RIVISTA. POPOLARE DI POLITICA. LETTERE E SCIENZE SOCIALI aziende un ufficio politico o decorativo e dovrebbero vegliare alla regolarità delle spese, alla conservazione del pat.1•imonio eh' è loro commesso, fanno venire, in chi si trova a disposizione somme di denaro o cose, la ,1,ossibilità di servirsene od appropriarsene; ed ecco come svanisce rapidamente la percezione del proprio e dell'altrui, del lecito e dell' illecito. * * * Ma poichè questo non si può evitare, poichè per 1·agioni intrinseche od estrinseche le pubbliche e le grandi amministrazioni che hanno a trattare col pubblico, rendono possibili, anzi facilitano i reati, dovrebbe esse1·vi da parte della legge una coazione proporzionata al danno, t.ile da servire di esempio, e nella società una condanna morale che ne mettesse i ddinquenti ali' indice. Purtroppo la legge è mite nelle sue sanzioni non solo ma spesso è resa vana dall'abile maneggio amministrativo, per meizo del quale, se apparisce la certezza morale del reato, ne manca la prova materiale; è inceppata dall'intervento di solidarietà e di protezioni; è fuorviata dalla influenza dell'elemento politico. .. La. società dunque dovrebbe inil•ggHe una pena morale a qeesti colpevoli, e con tanta maggio1· ragione in quanto la loro colpa porta danno, non ad isolati cittadini, ma al pubblico in genere. Eppure i funzionari colpiti da pene più o meno severe, ritrovano nel mondo un pietoso consolatore. Si aprono a loro uffici privati, si conferiscono incarichi, si rimettono insomma in circolazione con nuove funzioni; ed essi a buon diritto portano alta la testa, accolti, ricevuti, sopportati come prima. E la ragione è intuitiva: Da noi come dovunque si è formata una nuova, strana, cinica concezione del lucro. Non si bada se è ottenuto con danno di operai, di impiegati di azionisti, di consumatori da parte del direttore di società industriali, bancarie o commeroiali, come non si bada se il commerciante inganna l'acquirente, se il proprietario usurpa l'altrqi dominio, se l'erede si vale di un documento, se il fallito ruba ai creditori, se il contraente inganna di proposir.o chi contratta con lui; si bada invece al resultato. Quando uno è arricchito e può compiacere od imporsi agli altri collo sfarzo e colla potenza, sebbene porti lo stigma del falsario, del ladro, dell'usuraio, del banbancarottiere, molta gente che in simili circostanze avrebbe fatto altrettanto s'inchina ed invidia; quella che avrebbe volontà di protestare e di ribellarsi deve per convenienza o per ragioni di convivenza lasciar correre. E questo è il denaro, la proprietà facile ad accumularsi, che procura godimenti senza fatica, che perpetua e moltiplica la potenza anche ai non operosi ed agli idioti ; è la borghesia che non ha. neppure il pudore di celare le origini della. sua fortuna. Perchè dunque oggi ci si dovrebbe meravigliare se cassieri scappano, se i tesorieri rubano, se gli azionisti sono truffati dai direttori, se gli impiegati vendono favori o spillano denaro sulle spese, o tra.fugano la roba non loro? In Francia questo pervertimento è stato rivelato dagli scandali del Panama delle fen·ovie del Sud, del Petit Sucrier, in Italia si è constatato col fallimento della. Banca Romana e con iutti i piccoli scandalucci che l'anno susseguito. È differenza di misura e di proporzioni ma la causa è la stessa. CESARE CASTELLI. LA SICILIA NEL r8or. I moti siciliani del 1893-94 1·ichiamarono l'at. tenzione ~ulla perla del mediterraneo, che del resto fu sempre oggetto di studi importanti. 1on solo si ricercarono le cause dei mali deplorati e si proposero numerosi rimedi - indizio sempre di infermità greve se non inguaribile! - ma si disotterrarono scritti antichi di siciliani, che si occupavano delle condizioni della loro isola in altri tempi. Questi scritti non hanno soltanto un valore storico; ma servono mirabilmente a dimostrare che il male è antico e che certi rimedi ritenuti adatti a guarirlo anche oggi invano furono raccomandati da un secolo in quà perchè l'isola disgraziatamente fu sempre governata nel modo più cattivo, che si possa immaginare. L'illustre professore Ricca Salerno nello scorso anno ci fece conoscere i pensieri di Balsamo sulla quistione siciliana ; oggi il prof. 1avanteri ci dà i giudizi di Giovanni Meli esposti in un manoscritto del grande poeta dialettale che si conserva nella Biblioteca Comunale di Palermo e che porta il seguente titolo : Rijf,essioni sidlo Stato presente del Regno di Sicilia - 1·iguardo a ci6 che conce1·ne l'agricoltu1·a e la pastorizia - abbozzate dietro la sco1·ta clel senso comitne e dell'esperienza - 1801. Il Navanteri ha riprodotto integralmente il manoscritto del Meli, che sembra dbttato oggi, tanto sapore di modernità vi si riscontra (l ). Due concetti prevalgono nello scritto del grande poeta siciliano: l'odio intenso contro gli avvocati e l'amore vivissimo pei contadini, dei quali conosce le condizioni per averle studiate da medico in un paese agricolo della provincia di Palemo, in Cinisi. Più volte si scaglia contro gli avvocati e deplora sopratutto che « siano strappati i figli, i fra- « telli, i nepoti del contadino agli studi campestri « per applicarli al pagliettismo ad oggetto di ser- « virsene per baloardi alla custodia dei suoi beni {1} Giovanni Meli : Rifleasioni sullo stato presente del regno di Sicilia (1801). Intorno ell'a(Jt·icoltura • alla pastorizia. Pubblicato per cura del Prof. Giuseppe Navank?ri. Ragusa, 1806.

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