132 RIVISTA. POPOLARE DI POLITICA. LETTERE E SCIENZE SOCIALI ~uel lungo lavorio che il misoneismo italiano rende sempre necessario per la più piccola riforma, per quanto di urgente ed evidente necessità. Per la Sicilia, si disse, già esisteva il decreto 4 ottobre 1860 del prodittatore Mordini, ma poiché la novella legge era più liberale, l'on. Fagiuoli aggiunse che « coll'art. O si vollero estesi al Napoletano ed « alla Sicilia quei vantaggi che risultano dalle pro- « poste surriferite, e che non sono stati conseguiti « in quelle provincie per le leggi attualmente in « vigore ». Si volle dunque unificare, perequare, ed accrescere alla sventurata terra trinacria, quei benefici che in parte almeno si dicevano, e realmente si emno già conseguiti. Oh I l'amara ironia I Il parlamento legiferò, la burocrazia cavillò; il parlamento donò qualche cosa, la burocrazia riprese, carpì a piene mani; la legge infranse i ceppi, la burocrazia li ribadì spietatamente. Proprio appena sancita la norma, eccoti lo Stato che si fa a richiedere le decime ai poveri siciliani, i quali dal 1860 in poi piì1 nulla avevano pagato, quelle stesse decime novellamente abolite e che anticamente venivano esatte dagli enti ecclesiastici. Eppure perfino i preti, famigerati per la loro avarizia « che molte genti fe' già viver grame» da più lustri avevano abbandonato il rapace provento! Incominciando dalla procedura seguita, è da osservare che il popolo non poteva essere peggio mistificato all'ombra della legge. Si sono fatte delle voluminosissime citazioni stampate, notificate col metodo ad turbam, a migliaia e migliaia di pretesi debitori i quali, essendo analfabeti, non possono leggere i loro nomi nell'unico esemplare affisso all'albo pretorio, cosicchè un bel giorno, anzi un brutto giorno, si trovano condannati in contumacia a pagare la decima angarica e le spese per contentino I Vedremo più tardi, col sussidio dell'aritmetica, la quale non è un'opinione, come questa 1ecima diventi nientemeno che la terza parte del prodotto netto, cosicchè al povero colono che deve pagare anche il canone e la fondiaria e sopportare le male annate, il fondicciuolo non sia che di peso e di peso gravissimo. Ora per il solo fatto che, insistendo nella iniqua pretesa (sono parole dell'on. Fagiuoli) verrebbesi a concludere che la legge che è legge per il resto della nazione, non é più legge per la Sicilia, si dovrebbe rinunziare a cavilli da cavalocchi e storci-leggi, come direbbe l'on. Bovio. Fermiamoci per un momento ad esaminàre le ragioni politiche, storiche e giuridiche in vil't(1 delle quali il fisco non può e non dovrebbe pretendere queste decime. L'on. Oolajanni, nel coraggioso volume sugli « Avvenimenti di Sicilia e le loro cause » che tanto lo rende vie più benemerito della sua terra natia e dell'umanità, non ha mancato di accennare anche alla grave questione delle decime. Ed anzi vi ha riportato le seguenti pa1•olflpronunziate in parlamento dall'illustre Filippo Cordova, che non era davvero un rompicollo : « Nella provincia di Girgenti a cui si attribuiscono « tanti reati, le terre sono in gran parte soggette « ancora alle decime, e, in virtù di queste decime, « vi sono dei canonici, dei semplici canonici, i quali « percepiscono dei redditi da dieci a dodici mila lire; « e sapete voi da che questi ecclesiastici t'anno sca- « turire i loro titoli di possesso? Da un passo di Ci- « cerone nelle Verrine: omnis ager sicul·us decumauns « est! Perchè, adunque, per l'addietro queste terre « pagavano le decime a Roma, i canonici si credono « eredi dei Cesari e si costituiscono proprietari di « quelle prestazioni >. Ma ai tempi di Roma le decime, se pure veramente esistevano, avevano altra genesi, e poi non erano inasprite dalla fondiaria e dai canoni che ora oberano quelle misere o, meglio, immiset'ite proprietà! Ammaestrato dalle parole dell'ex ministro Cordova il fisco abbandona il passo di Cicerone e si attacca ad una pretesa concessione che dice fatta da Ruggiero il Normanno nel 1093 (ottocento anni addietro} alla Chiesa di Girgenti, non che ad altri ipotetici diplomi congeneri. Ora, per chi ha un barlume di conoscenza di paleologia e di paleografia normanno-sicula, non è un mistero che documenti autentici, di quella autenticità reale che sola può costituiN la base di un pir.to• giuridico, non ve ne sono affatto, riferibili all'epoca in esame. I tarli, il tempo, gli incendi, le rivoluzioni li hanno distrutti. Quel po' che rimane, è sempre di perioli posteriori, rappresenta qualche raro frammento indecifrabile, di copia fatta da qualche prete astuto e interessato ad aggiungere e modificare tuttociò che poteva importare al suo interesse che era quello di approfittare del bujo medioevale ai danni dei poveri contadini. Se si considera poi che tanti manoscritti più recenti, anche dopo riconosciutane l'autenticità, • danno luogo ad interpretazioni diverae e contradittorie, chiaro apparisce a luce meridiana che i vantati papiri non possono avere neanche un serio valore storico, oggi che la critica storica non é campata più sulla ipotesi e sulla tradizione. Ohe dire, quando si pretende derivare un rapporto giuridico di jus in re aliena da geroglifici indecifrabili o che si i,restano alle più opposte letture? L'Avvocatura, che meglio avrebbe speso tanto ingegno e tanta dottrina nelle cause contro gli appaltatori disonesti, e i grossi debitori che non pagano mai l'intero, ha capito il suo debole. Ed allora è ricorsa alla elastica e diabolica teoria degli equipollenti e specialmente all'autorità degli storici. Senza tenere conto che da poche frasi non può desumersi l'opinione di un autore e che non ne mancano altri, non meq_o pregevoli, i quali vadano alla sentenza diametralmente opposta. Per amore di brevità, tralascio uno studio comparativo fra i vari scrittori, da cui risulterebbe che nella maggior parte sono favorevoli alla mia tesi, e mi limito ad accennare al massimo, cioè al Muratori. (Dissertazioni sulle antichità italiane § 30). Se queste mie povere parole, potessero valere af-
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==