Rivista di politica lettere e scienze sociali - anno II - n. 7 - 15 ottobre 1896

RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI 131 iandoli prima alla loro indole, rappresentano la lotta continua, incessante, vigile che il popolo impegnava. col Sovrano nel comune interesse: d'onda essi era.no più che approva.tori degli atti del Sovrano, il primo dei quali era la richiesta. della pubblica pecunia. Queste genti, tenaci, forti, rudi, i cui Sovrani e i cui Rappres<Jntanti popolari non si concedono scambievolmente tregua, si tempravano nelle loro selve e nelle loro città a vita rigogliosa, dando spetta.colo al mondo che la civiltà come la lampada nelle feste panatenee non spegnesi mai e comunicasi da popolo a popolo senza interruzione. La civiltà è omai passata. dal mondo romano al mondo germanico, e le genti germaniche con la dirittura del loro carattere, con l'integrità della loro vita pubblica e privata, con la loro coltura generale e speciale diffusissima, per le quali cose formano, massime in Inghilterra., dove a cagione principalmente della postura, geografica del paese la libertà è più sicura di sè, un impero altrettanto grande e forte quanto il romano, danno p1•ova che ciò è una verità di fatto e non un epifonema. Ma ancora sugli albori della repubblica romana noi troviamo nell'Apologo di Agrippa alla plebe ammutinata. l'insegna.mento della necessità politica delle distinte funzioni del patriziato e della plebe nello Stato, per le quali il Senato e il Popolo (S. P. Q. R.) formavano la forza della repubblica; e v' ha di più, perché con le ripetute richieste, magari con la violenza, che la plebe faceva dei suoi diritti ai pati-izi, i quali a uno a uno, a cominciare dal tribunato, glieli concedevano, i nostri padri ci hanno anche insegnato che non è con l'acquiescenza che si provvede ai propri diritti e alla propria grandezza, costituenti la grandezza e la prosperità di tutti i cittadini nello Stato. Questo ci insegnarono le genti germaniche e la nostra Roma : ma. le genti neolatine sono sonnolenti • e accademiche, meno quelle di Francia, le qua.li esperimentano nuove forme politiche, che sono a. tutto vantaggio della loro prosperità e della loro grandezza. Di qua dalle Alpi noi combattiamo invece con molti sofismi e fiumi di inchiostro per una istituzione, la quale così come è oggi, come è stata fin dal suo inizio e come sarà purtroppo in avvenire, se non metteranno senno tutti i cithdini dello Stato, non rappresent'I. che la ratificazione degli atti del potere esecutivo e quindi la morte della libertà, per la quale si è tanto combattuto e sofferto ; e ci dolghiamo che la sorella latina al di là delle Alpi ci berteggi e ci offenda, ella che è una delle più grandi, potenti, intelletuali, commerciali, industriali regioni del globo. * * * L'Italia che ha fatto un gran parto, l'unità, sentesi ornai esaurita: questo è vero negli individui e nei popoli; ma se ella non dimenticherà col latte della libertà la sua figliuola, rischierà di fal'la mori .•e di inedia. Perché questo avvenga bisogna che il senso moderno divenga senso comune; bisogna più propriamente che vengano allontanate le cause del nostro malessere, le quali sono molteplici e principalmente due: l'ignoranza e la miseria, cioè la povertà dell'intelletto e del corpo. In vero quando il popolo sarà instrutto e saprà le relazioni della natura e della storia, quando si beatificherà col realismo delle arti e sarà padrone di sè e fattore della sua vita pubblica e privata e amerà perciò la società. in cui si integrerà., allora solo avverrà il nostro risorgimento. * * * Scienza, arte, politica, religione, industria democratica son forme simultanee che reciprocamente si compenetrano per formare quell'al'monia sublime delle parti nel tutto, che solo può dare scopo alla vita singolare e collettiva. In quest'armonia gli strumenti discordi, gli organi oziosi e sfruttatori non hanno diritto di essere, e stabiliscesi quel diritto alla vocazione e all'orerosità del lavoro, per la quale ultima conseguenza é la coscienza e la responsabilità dei p1·op1·iatti. EUGENIO SCALFAR!. Ledecime e gli avvenimenti diSicilia. Non dispensare o due o tre per sei Non la fortuna di primo vacante No,1 decimas quae sunt pauperum Dei. (Dante, Par: Canto Xli). « Coloro che il nostro tempo chiameranno antico, « troveranno certamente argomento di meraviglia, « nell'apprendere la storia della nostl'a legislazione, « come l'Italia, nata dalla rivoluzione e costituita dai « plebisciti, sia stata capace di cacciare lo straniero, « di rovesciare quattro dinastie, di proclamare la de- « cadenza del potere temporale dei papi, di abolire << le corporazioni religiose e la manomorta, i feudi e « le sostituzioni fidecommissarie, e sia poi vissuta 27 « anni nazione libera e forte, senza sapere sgravare « la proprietà fondiaria dall'onere iniquo delle deci- « me, proscritto dalla ragione civile, dalla· ragione « economica e dall'esempio delle nazioni più colte di « Europa ». Così, col solito stile smagliante ed un tantino frugoniano, per cui si è spinto fino all'esempio che proscrive, l'on. Fagiuoli incominciò la sua dotta relazione alla Camer<1.,'nella tornata del 22 Aprile 1887, al disegno che il 14 Luglio 1887 col N. 4727, divenne legge dell'abolizione delle decime. Continua il brillante relatore: « E parr.i. tale fatto « anche più mera.vigliC1so,quando si sarà posto mente « allo strano fenomeno d'una nazione così frettolosa « di conseguire l'unità politica, l'unità della legisla- « zione, e nondimeno disposta a tollerare per più di « cinque lustri che nella. materia delle decime alcune « regioni italiane godesse,·o il beneficio di leggi in « tutto od in parte evasive, ed alt1·e fossero lasciate « in balia di ,:onsuetudini antiquate e soggette alla « più dura e viù spereqttata fra tutte le tasse ». Questa legge fu sancita specialmente per le provincie Venete e Marchigiane le quali pagavano ancora le decime sacramentali, mentre per le altre preesistevano leggi e decreti dittatoriali che, in tutto od in parte, le avevano abolite. E ciò si ottenne dopo

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