Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno II - n. 5 - 15 settembre 1896

RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI 85 altra occasione di esaminare quest'ipotesi, conchiudo col dichiararla irrealizzabile. La monarchia e i monarchici non vogliono l'Estrema al governo colla fisonomia propria e col suo programma; ma vogliono la defezione e la conversione dei suoi; vogliono ripetere quella pesca di pesci g1·ossi e piccoli, che dette magri risultati prima con Fortis e poi con Ferrari. Convinto di ciò, ritengo che interpretano malamente il pensiero dell'amico Cavallotti, coloro che lo credono maturo e pronto per la defezione, e son sicuro che debbono prendersi alla lettera le parole da lui pronunziate a Rapallo : non essere, cioè, disposto a sacrificare tutta una vita di coe1·enza per raggiungere il potere. I commenti compromettemi del Don Chisciatte nell'articolo sul fatto di Corteolona, credo che rappresentino il desiderio del giornalista e non la intenzione dello splendido oratore della democrazia, attorno a cui si ripete quel lavorio di attrazione e di seduzione esercitato fruttuosamente per parecchi a,nni dagli organi di Francesco Crispi attorno all'on. Fortis. Questo nuovo lavorio, son sicuro, non riuscirà perchè Felice Cavallotti troverà nella propria coscienza e nei risultati dell'esperienza il dirieto a quel battesimo e a quella cresima, che non solamente Bo,·io ed io negheremmo, ma pur molti degli intervenuti a Corteolona negherebbero se la nascita del neo-ministro avvenisse in condizioni infelici. Ma se Cavallotti - quod Deus avertat l - commettesse l'errore, (e certamente lo commetterebbe con rettissime intenzioni) che cosa avverrebbe? Egli trascinerebbe seco dieci o Yenti membri dell'Estrema certo con fortuna maggiore di quella avuta da altri che gli aprirono la via di Damasco, però senza incontrare una sorte diversa di quella avuta dal Fortis; se non pure analoga a quella di Odilon Barrot e di Enrico Ollivier, i quali si perdettero nella catastrofe che inghiottì la monarchia degli Orleans, e l'Impero del 2 Dicembre! • • * Tuttavia, supponiamo adesso per un momento che l' ipotesi sia realizzabile: quale vantaggio avrebbe il paese dall'evento? Vilfredo Pareto, nell'ultima cronaca del Gio1·- nale degli Economisti, esaminato benevolmente il mio articolo sull'Est1·ema, chiede: « Sono più di trent'anni, che esiste il regno di « Italia; ebbene che utile ne ha avuto il popolo? » Di accordo nella risposta : nessuno ! Poi soggiunge: « Che cosa ci potrebbe dare la Estrema Sinistra al governo? \'ulla: non la nazione armata, non la libertà commerciale, non la riforma radicale della magistratura, non la revisione dello Statuto ... » Adagio. Tutto ciò gradatamente potrebbe e dovrebbe dare l'Estrema al governo; ma per potercelo dare essa dovrebbe pervenirvi con il suo programma immutato, come gruppo autonomo. Non sarebbe tutto quello che entrambi potremmo desiderare e dovrebbe essere da tutti desiderato; ma il poco ottenuto oggi preparerebbe il terreno per ottenere il resto domani. Lo stesso Pareto teoricamente tanto intransigente in quanto al liberismo economico e sociale, in vista de' benefici che producono gli attuali gm·erni dell'Inghilterra e della SYizzera, giustamente accorda tutte le sue simpa· tie a questi due Stati ; non ostante che nella repubblica elvetica, accanto alla massima libertà politica coesista il massimo intervenzionismo economico e che in Inghilterra al liberalismo doganale faccia contrappeso tutta la legislazione delle fabbriche in antitesi perfetta colle teorie dell' ecrnomia 01·todossa, di cui il Pareto è valentissimo sostenitore. Ciò prova che si può considerare come ottimo uno stato, un programma, un partito, anche quando non racchiudano e non q~ppresentino tutto ciò che si considera come eccellente e preferibile. Se la ]:-strema non potesse dare tutto ciò che piace all'amico Pareto, non dovrebbe egli augurare pur sempre il suo avvento al governo per la parte che potrebbe assicurarci ? Il metodo positivo consiglia questa contentabilità, tanto più che l'ottimo è nemico del bene e che una parte è sempre meglio di niente. Ma l'amico Fr·atti in nome del santo ideale repubblicano si ribella dinanzi al concetto della realizzabilità dell'ipotesi, e teme elfo democratizzando la monarchia si monarchizzerebbe invece la democrazia con grave scandalo del popolo, in mezzo al quale pullulerebbero quei sospetti dileguatisi nella reggia, dove si fregherebbero le mani per avere domato la vecchia ribelle. L' assurdità e il danno che verrebbe dalla realizzazione dell'ipotesi egli, infine, riassume, domandando: perchè non si fa I:ipotesi cli un ministero Liebknecht-Bebel-Singer in Germania? Nel rispondere, comincio cl'onde egli finisce. Le origini dell'Impero Germanico sono assai diverse dalle origini del regno d'Italia ; l' uno é il prodotto della violenza e della conquista ; l' altro venne dalla rivoluzione ed ebbe la sanzione dei plebisciti. L'impero Germanico sorse contro la democrazia ; il regno d'Italia ebbe con sè la democrazia. Dico meglio: i repubblicani più ardenti, più veri e piu grandi - da Mazzini, a Garibaldi, ad Alberto Mario - ; tutti i repubblicani - gli unitari e i federalisti - contribuirono in vario modo e misura a creare il regime che vige in Italia . L'intransigenza di Brusco Onnis, che sbarca a Talamone perché sulla bandiera dei Mille lesse : Italia e Vittorio Emmanaele venne scambiata uniYersalmente - sebbene a torto - per vigliaccheria. Giuseppe Mazzini, dopo sei anni di esperienza dolorosa, si distacca per un momento dal suo fido Maurizio Quadrio, che, sconsigliava ai repubblicani ogni partecipazione alla guerra da lui dichiarata regia; ma la nazione, ma i giovani , ma i repubblicani furono con Mazzini, e corsero a migliaia sotto la bandiera di Garibaldi, ch'era ancora quella dei 11fille. Non forse, ainico Fratti, eravamo insieme sulle balze del Tirolo a combattere contro gli austriaci ? E non sarebbe paradossale che i repubblicani, che hanno tanto contribuito a creare lo Stato, si mettessero fuori dello Stato ? Nessuna analogia, tra le origini dell'Impero Germanico e del Regno d'Italia ; moltissime, invece, - me lo permetta il Fratti - tra la situazione che scaturì in Inghilterra dall'atto di assestamento del 1868 e quella che trasse origine dai plebisciti in Italia. Pit1 alte ragioni m'inclurrebbero a veder bene in un avvenimento, che il Fratti vorrebbe condannare col bisticcio che fa sorgere tra democratizzazione della mona1·chia e monarchizzazione

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