Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno II - n. 5 - 15 settembre 1896

04 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIA.LI patria che vi die' la culla; no, oggi il dovere più grande, più alto o da cui nessuno può esimersi è il dovere umano che non ha patria, non lingua, non setta, non partito, che abbraccia in un unico amplesso tutti gli umani, facendo del forte, del ricco, del potente, il naturale difensore di chi patisce. In nome di questo dovere, o madri avventurate, non vi chiedo la carità, ma la giustizia per i bambini innocenti ed infelici. GIUSEPPINA STEFANt-BERTACCHI. DELLA FORMA IN LETTERA TURAIl rinomato romanziere e filantropo Russo, Leone Tolstoi, espresse l'avviso che uno dei sintomi più chiari e salienti della f resente decadenza, per quanto riguarda il vastissimo campo della le~teratura si è l'eccessiva preoccupazione della forma. Non oseremmo far eco a questo modo di vedere, rife1·en· dolo alla nostra letteratura, se lo stesso giudizio non fosse stato dato, parecchi anni fa, dallo illustre nostro glottologo Ascoli, nella bella introduzione al suo grande Archivio glottologico. • Egli per lo meno osserva, che uno dei gravi difetti· de' nostri scrittori, si è appunto l'eccessiva preoccupazione della forma. E insieme ad altre notevoli ed argute osservazioni, aggiunge, che la lingua (con frase tolta dal dialetto Yeneto', non è altrimenti una manica da infilare. Cosa nol significare ciò ? Yuol dire senz'altro, che i nostri scrittori, in generale, non prendono le loro mosse ed ispirazioni dal popolo; e nel caso della lingua, dai dialetti. Ma bensì, con metodo aprioristico, informando l'arte dello scriYere a modelli già rrsi stereotipi, senza libertà, spontaneità e vigore, non fanno che ripetersi e cristallizzarsi. Sarebbe tuttavia eresia ben grarn, anche solo il dubitarne, che noi mancassimo di grandi e anzi in- . uperabili scrittori, i quali in fatto di forma e di stile seppero elevarsi al sommo della nota. Basta al pro1,osito citare l'unico Dante. · Ma ap1Junto Lui il felicissimo creatore della nostra prima letteratura, oltrecchè aYer dato mano all'universo, per quanto concerne l'altezza delle sue estetiche e filosofiche concezioni, circa la forma, cioè la lingua e lo stile, ei s'inspirò a' dialetti; ed ebbe sempre in prosa ed in Yersi un fare semplice e retto. Quasi nulla si sente in lui per questo verso nè di greco, nè di latino. Ma fin dai primordi della nostra letteratu1·a, il culto per Dante fu ristretto e passeggiero. Nè il Petrarca, nè il Boccaccio sPguirono pienamente il giusto e largo indirizzo tracciato dal Poeta. E sebbene l'uno e l'altro siano pur essi Yeri colossi, nel primo appare già in parte un sentore di eccessiva preoccupazione della forma, messa in assoluta evidenza da' suoi sdolcinati imitatori, mentre nella lingua e costruzione Boccacciana si sente il latino. Prossimo all'unico Dante, disse felicemente il Gioberti, fu l'Ariosto. Ed ecco uno scrittore, in cui lingua e stile non sono punto nè ricercati, nè contorti. Ed è questa una delle precipue ragioni, insieme ad altre riferibili al contenuto dell'Orlando, per cui il sommo matematico e filosofo, ma anche artista, il Galileo, dimostrò recisa predilezione per l'Ariosto in confronto del Tasso. Non è però che Dante e l'Ariosto, e così i più felici scrittori, siano pervenuti al più alto grado di perfezione, senza curare con ogni loro studio la forma. E noto infatti che una delle più belle e spontanee ottave dell'Ariosto, si è quella che comincia: « La verginella è simile alla rosa ». - Ebbene alla Biblioteca dell'Università ·ai Ferrara, che possiede i preziosi manoscritti del poema ariosteo, chiunque può vedere, come la stessa ottava venne dal suo autore elaborata con suprema diligenza al punto, che essa appare piena zeppa di pentimenti e di correzioni. Lo stesso Dante presenta anche indole pili riflessa del Petrarca e del Boccaccio. Certo si è che i momenti pit'.1belli delle opere di questi due grandi. son quelli in cui insieme alla perfezione della forma, meno vi traspare l'elaborazione usata per conseguirla. li maggior guaio della nostra letteratura si fu adunque, quella benedetta manica da infilare. specie per quanto riguarda la prosa, nella quale siamo poYeri in confronto delle poetiche produzioni. Poichè queste, in genernle, assumono più di fre-· quente lo loro ispirazioni c1.iandio dal lato formale, dal popolo. Ma di contro le forme della letteratura latina s'imposero alla massima parte de' nostri prosatori. Ed essi appunto riuscirono più felici, almeno i maggiori, allorquando in questa subordinazione della formr1, seguirono piuttosto l"uno che l'altro scrittore romano. Perchè a cagion d'esempio il grande Cicerone, che nel suo filosofico e chiaro lavoro De Officiis, ha un'esposizione logica netta e sincera, è ben altro nelle orazioni. Tanto che il Giordani, pur innamorato di lui, e che seppe importar nel suo stile tanta parte della sua magniloquenza, ebbe ad asserire che quanto a coerenza o cogtanza del pensiero logico, il suo Cicerone, nelle Orazioni lascia non poco a desiderarE>. lnfatti lo stesso Giordani prometteva al Gussali, per dimostrarlo, di scopr;re 13 contraddizioni per ogni pagina del grande Avvocato Romano. Prof. VALERIANO V A LERI,\NJ. Gliabbonatide/l"ant,ca"Rivista Popolare,.e del "Rinnovamento.. i qualinonabbianoancorapagato sonopregati di volerlofarepresto. Duronte le vacanze parlamentari spedire Vaglia o CartolinaVagliaall'on. Dr. Napoleone Colajanni - Castrogioranm.

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