RYVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI 63 EVOLUZIONE E PESSIMISMO. Lettera al Prof. Errico i\Iorselli. Illustre signor professore, Ciò eh' ella scrisse in un fascicolo della sua non dimenticabile « Rivista di filosofia scientifica» che io leggo ora dopo tanto tempo, intorno al " Pes- . simismo ed Evoluzione,, del Trezza, e l'accenno benevolo ch'ella fa alla graduale emancipazione del mio spirito e alle opere mie, che questa emancipazione riflettono, mi porge la grata opportunità · di manifestarle come io l'intenda circa ali' importante questione così splendidamente agitata e a modo suo risoluta dal pensatore veronese: non per la speranza di recare in essa alcun lume, ma per la necessità, in che le sue parole mi han messo, di chiarire l'intento dei miei ultimi lavori, delle " Poesie religiose ,, in ispecie, da lei benignamente citate, come quelle che segnano la mia redenzione dal pessirnismo e l'acquetamento dell'animo mio nella contemplazione e nella rappresentazione se1'ena del vero. Ecco: se per pessimismo ella intende quello sistematico dello Schopenhauer, e quello sentimentale del Leopardi, io non solo me ne sono liberato, ma non saprei dire in coscienza se l'abbia mai pienamente sentito e in quale delle mie opere abbia esso lasciato una traccia. Secondo me, il pessimismo, di cui oggi si parla tanto, come conseguenza necessaria delle nuove dottrine, non è da confondere con quello del filosofo tedesco; il quale guidato in ogni sua -speculazione dal preconcetto di accordare tutte le dissonanze della natura, della storia e della coscienza in un sistema, riuscì a darci una costruzione (e chi può negarlo?) ingegnosa e geniale in molti particolari, ma assolutamente metafisica nel1' insieme ed c.ssurda. Quella famosa volontà necessaria, che finisce con l'affermazione della propria libertà nell'annientamento di sè stessa, e la conseguente glorificazione dell'ascetismo, considerato come la più alta espressione della saggezza, della perfezione e quasi della santità vera dello spirito umano, tolgono alla dottrina schopenhaueriana il diritto di concorrere scientificamente alla soluzione dei grandi problemi che travagliano le menti contemporanee. Il pessimismo che sgorgherebbe dalle teorie nuove non .ha nulla di comune con esso. Anche accorciando alla felice ipotesi darwiniana il valore d'una legge universale, noi non possiamo certamente risolvere con essa il problema delle origini, nè spiegarci in modo positivo e sodisfacente il dolore e la morte, duplice sfinge, che dilania fra le tenebre il povero spirito umano. Pretendere coi positivisti (') Il G1a11notta ripublica in questi giorni il Giobbe e lo Poesie reliyiose nel voi. I V delle Opere del Rapi•ardi. N. d. R. che la ragione, riconosciuta la propria impotenza, rinunzi per sempre alla ricerca dei principj dell'essere; asserire, che il regno del mistero, o come dicono, dell'Inconoscibile, sia per rimaner sempre inconcusso ed intatto agli assalti audaci del genio e alla paziente indagine scientifica, è una contradizione patente a quella stessa legge d'evoluzione, ond'essi s' impromettono tanti miracoli. Ma pur concedendo che il dominio dell'Ignoto sia come il territorio delle pelli rosse, per valermi della similitudine del Fauerbach : si vada, cioè, restringendo sempre più agli avanzamenti continui della civiltà; e che si possa un giorno scoprire una legge che ci spieghi i primordj dell'universo, chi può lusingarsi, che una verità di tal fatta sia per liberare gli spiriti dalla tristezza, onde li fascia il tetro spettacolo del cotidiano dissolvimento di tutte le forme? Forse il dire che l'individuo soggiace alla morte, ma la specie se ne libera e si perpetua, perchè della conservazione e della propagazione della specie ha cura precipua, anzi unica, la natura, basta a consolarci del dissolvimento di tutto ciò a cui presentemente è legata la nostra esistenza ? Bella consolazione davvero ! O che cosa è là specie, di grazia ? Esiste essa forse altrove che Iiel cervello dei filosofi classificatori? Nella natura io non vedo altro che individui. Or finchè la vita è una individuazione, il pensiero una funzione, ia coscienza una stratificazione; finchè la morte è 'il disgregamento di quelle parti, onde il pensiero, la coscienza e la vita ebbero principio e nutrimento, e da cui trassero la mutua forza e l'armonia indispensabile a ogni lor menoma operazione, l' idea di un tale disgregamento, fosse pure scompagnato da qualsiasi dolore fisico, getterà sempre un profondo sgomento nelle menti più nobili e generose. E questo sgomento pullula spontaneo dalla concezione meccanica dell'universo, dalla conoscenza, cioè, che _lavita non è altro che un gioco dell'essere nel1' infinito. Certo un sì fatto sentimento non dà campo a fantasmagorie ed allucinazioni religiose, a miti oltramondani, ad abdicazioni vigliacche; esso può anzi esaltare in sè stessa la mente del pensatore, generare quasi un'ebbrezza dell'anima, dando luogo a pensieri éd immagini sÙblimi, quali han saputo darceli qualche volta i filosofi geniàli come lo Schopenhauer e i poeti divini come lo Shellej, ma chi può negare, che codesto sentimento indeterminato versi su l'anime più libere un'ombra di profonda malinconia e avvolga come in un labirinto inestricabile i cuori più forti e le menti più sagge ? Come sperare che se ne liberi il pensiero moderno, se non ne andarono esenti neppure i Greci, che furono di noi più gagliardi e più sani, e meno di noi penetrarono nelle cose? Nè giova
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