48 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI I cooperatori, mettendo direttamente in relazione i produttori e i consumatori vogliono fare scomparire gli intermediarf, i parassiti, tutti coloro che vivono - in qualunque modo - sul lavoro altrui. Essi vogliono rovesciare l'attuale ordine di classi, che del lavoro fa il servo del capitale, rendendo al contrario il capitale strumento del lavoro. É noto che nelle società cooperative il capitale non à parte nei profitti e à solo il diritto a un interesse molto modico come remunerazione del servizio reso. Si ·può dunque dire che ormai esso, il capitale, è ridotto alla funzione di salariato, ed è questo un principio nuovo nella nostra organizzazione economica. Infine essi vogliono sopprimere la concorrenza e la lotta per la vita sostituendovi l'unione per la vita. Al principio individualista del « ciascuno per sè » essi oppongono la formula « ognuno per tutti », Ogni rivalità e ogni concorrenza è di fatto soppressa non solo tra gli individui membri di una stessa associazione cooperativa, ma anche fra differenti associazioni appartenenti a differenti paesi che non ànno motivo di conflitto fra 1:,ssep;oi che esse non ànno a disputarsi clienti e profitti. È anche da notare che ogni associazione cooperativa à per iscopo essenziale di sopprimere gli antagonismi tra il venditore e compratore ; la società di credito, l'antagonismo tra il creditore e il debitore; la società di produzione, l'antagonismo tra il padrone e l'operaio. E l' alleanza cooperativa internazionale che è stata costituita a Londra nel mese di aprile dell'anno passato e che deve riunirsi quest' anno a Parigi nel mese di ottobre, ci mostra abbastanza che le contestazioni internazionali sono anche nel numero di quelle che la cooperazione si propone di abolire. Ora sono pur questi ugualmente alcuni desiderata de' socialisti, comunque questi ne abbiano altri quali sono esclusi dai programmi cooperativi. CHARLES GrnE. Perleterreincoldte'Italia. Il problema della trasformazione agraria delle terre incolte è senza dubbio tra i più gravi d'Italia. L'Italia, la magna parens frugum, è ridotta a comprare cereali dall'estero: l'anno scorso ne comprammo per oltre quattrocento milioni di lire; l' ltalia, paese essenzialmente agricolo, manda via dalle sue terre duecento mila lavoratori l'anno, contadini, la massima parte che non possono campare la vita in paese; l'Italia, il paese della vite, dell'olivo, dell'arancio, il paese della coltura promiscua e delle piccole industrie agrarie, è trn vagliata da quella gran piaga sociale eh' è la disoccupazione, madre della miseria. Pur fra tanta angustia di situazione er.onomica, espressa chiarissimamente dalla importazione de' cereali, dalla emigrazione, dalla disoccupazione, menti insane, e propositi delittuosi hanno fatto sperperare un tesoro di forze per la conquista di estr~nee contrade dove non si raccoglie che miserie e rovine. Ben è vero che i sapientoni negano financo l'esistenza di un grave problema agricolo economico-sociale italiano, ed han financo l'audacia di far annunziare in cifre ufficiali che il tanto strombazzato problema delle terre incolte è una bolla di sapone I Tuttavia - giova riconoscerlo - la necessità di redimere le nostre terre incolte dall'abbandono in cui si trovano, si va facendo strada nella coscienza del pubblico. Oggi infatti se ne scrive e se ne parla molto più spesso che per lo passato, ed i più esprimono la convinzione che questa sia l'unica via per ridare all'Italia il suo equilibrio economico. Ma per vero dire, il problema non è neppure al1' inizio della sua soluzione. Chi si facesse a ricercard la ragione vera di ciò la troverebbe subito nell'inadeguata, diciamo anzi irrisoria misura dei mezzi coi quali si vorrebbe raggiungere questo alto intento; mentre un problema di tanta entità e vastità o lo si affronta seriamente o è 11ieglio lasciarlo dormire in pace. Ora non è davvero coi quattro miserabili milioni l'anno che si destinano dal governo a questa povera dimenticata che è l'agricoltura (che viceversa di sua parte ne paga oltre cinquecento) che si può pretendere la soluzione di questo gravissimo problema. Ed è vano fare a fidanza coli' iniziativa privata. In Italia questa iniziativa è minima; eppoi essa incii.mpa in uno scoglio insormontabile: il difetto del capitale. Quando la proprietà fondiaria è già oberata come lo è da noi, da un debito ipotecario di olte sette miliat·di, quando gl' interessi di esso accoppiati all'ammontare delle imposte superano il reddito netto dei fondi, quando il denaro in Italia, dopo tanto sperpero bancario che se n'è fatto, è diventato talmente raro e caro da costituire una vera usura uf fi.ciale, che cosa volete sperare da una massa di gente squattrinata ed inerte, che per giunta non è direttamente interessata nella quistione? " * li difetto del capitale è dunque lo scoglio insormontabile che più di tutti gli altri ostacola la bonifica delle terre incolte. Spezzate pure il latifondo, appoderatelo, conducete sopra luogo famiglie di buoni coltivatori, fate loro i più equi, anzi i più vantaggiosi contratti: tutto que- ~to varrà nulla se voi non sarete al caso di fornire a questa gente il capitale necessario per il bestiame, le sementi, i foraggi, le macchine, gli attrezzi, eppoi il vestito ed il vitto almeno per un primo anno di esercizio. La storia di qualunque bonifica e' insegna che l'insieme di questo capitale d'impianto e circolante è niente affatto indifferente, e che nella maggior parte dei casi esso è superiore al valore stesso del fondo/
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